2. Dottrina sociale Chiesa cattolica - parte seconda - la Vita e la Cultura

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2. Dottrina sociale Chiesa cattolica - parte seconda

Vita e Cultura > Centro culturale > Dottrina Sociale

TESTO TRATTO DA: III Edizione © Copyright 2004 - Libreria Editrice Vaticana
Libreria Editrice Vaticana ISBN 88-209-7630-7

Fonte:
http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/justpeace/documents/rc_pc_justpeace_doc_20060526_compendio-dott-soc_it.html


PARTE SECONDA

« ... la dottrina sociale ha di per sé il valore
di uno strumento di evangelizzazione: in quanto tale, annuncia Dio
ed il mistero di salvezza in Cristo ad ogni uomo e,
per la medesima ragione, rivela l'uomo a se stesso.
In questa luce, e solo in questa luce, si occupa del resto:
dei diritti umani di ciascuno e, in particolare, del "proletariato",
della famiglia e dell'educazione, dei doveri dello Stato,
dell'ordinamento della società nazionale e internazionale,
della vita economica, della cultura, della guerra e della pace,
del rispetto alla vita dal momento del concepimento
fino alla morte ».

(Centesimus annus, 54)


  


CAPITOLO QUINTO
LA FAMIGLIA
CELLULA VITALE DELLA SOCIETÀ

I. LA FAMIGLIA PRIMA SOCIETÀ NATURALE

209 L'importanza e la centralità della famiglia, in ordine alla persona e alla società, è ripetutamente sottolineata nella Sacra Scrittura: « Non è bene che l'uomo sia solo » (Gen 2,18). Fin dai testi che narrano la creazione dell'uomo (cfr. Gen 1,26-28; 2,7-24) emerge come — nel disegno di Dio — la coppia costituisca « la prima forma di comunione di persone ». 458 Eva è creata simile ad Adamo, come colei che, nella sua alterità, lo completa (cfr. Gen 2,18) per formare con lui « una sola carne » (Gen 2,24; cfr. Mt 19,5-6). 459 Al tempo stesso, entrambi sono impegnati nel compito procreativo, che li rende collaboratori del Creatore: « Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra » (Gen 1,28). La famiglia si delinea, nel disegno del Creatore, come « il luogo primario della "umanizzazione" della persona e della società » e « culla della vita e dell'amore ». 460
210 Nella famiglia si impara a conoscere l'amore e la fedeltà del Signore e la necessità di corrispondervi (cfr. Es 12,25-27; 13,8.14-15; Dt 6,20-25; 13,7-11; 1 Sam 3,13); i figli apprendono le prime e più decisive lezioni della sapienza pratica a cui sono collegate le virtù (cfr. Pr 1,8-9; 4,1-4; 6,20-21; Sir 3,1-16; 7,27-28). Per tutto questo, il Signore si fa garante dell'amore e della fedeltà coniugale (cfr. Ml 2,14-15).
Gesù nacque e visse in una famiglia concreta accogliendone tutte le caratteristiche proprie  461 e conferì eccelsa dignità all'istituto matrimoniale, costituendolo come sacramento della nuova alleanza (cfr. Mt 19,3-9). In tale prospettiva, la coppia trova tutta la sua dignità e la famiglia la saldezza sua propria.
211 Illuminata dalla luce del messaggio biblico, la Chiesa considera la famiglia come la prima società naturale, titolare di diritti propri e originari, e la pone al centro della vita sociale: relegare la famiglia « ad un ruolo subalterno e secondario, escludendola dalla posizione che le spetta nella società, significa recare un grave danno all'autentica crescita dell'intero corpo sociale ». 462 Infatti, la famiglia, che nasce dall'intima comunione di vita e d'amore coniugale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna, 463 possiede una sua specifica e originaria dimensione sociale, in quanto luogo primario di relazioni interpersonali, prima e vitale cellula della società:  464 essa è un'istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale.
a) L'importanza della famiglia per la persona
212 La famiglia è importante e centrale in riferimento alla persona. In questa culla della vita e dell'amore, l'uomo nasce e cresce: quando nasce un bambino, alla società viene fatto il dono di una nuova persona, che è « chiamata dall'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri ». 465 Nella famiglia, pertanto, il dono reciproco di sé da parte dell'uomo e della donna uniti in matrimonio crea un ambiente di vita nel quale il bambino può « sviluppare le sue potenzialità, diventare consapevole della sua dignità e prepararsi ad affrontare il suo unico ed irripetibile destino ». 466
Nel clima di naturale affetto che lega i membri di una comunità familiare, le persone sono riconosciute e responsabilizzate nella loro integralità: « La prima e fondamentale struttura a favore dell' "ecologia umana" è la famiglia, in seno alla quale l'uomo riceve le prime e determinanti nozioni intorno alla verità ed al bene, apprende che cosa vuol dire amare ed essere amati e, quindi, che cosa vuol dire in concreto essere una persona ». 467 Gli obblighi dei suoi membri, infatti, non sono limitati dai termini di un contratto, ma derivano dall'essenza stessa della famiglia, fondata su un patto coniugale irrevocabile e strutturata dai rapporti che ne derivano in seguito alla generazione o all'adozione dei figli.
b) L'importanza della famiglia per la società
213 La famiglia, comunità naturale in cui si esperimenta la socialità umana, contribuisce in modo unico e insostituibile al bene della società. La comunità familiare, infatti, nasce dalla comunione delle persone: « La "comunione" riguarda la relazione personale tra l'"io" e il "tu". La "comunità" invece supera questo schema nella direzione di una "società", di un "noi". La famiglia, comunità di persone, è pertanto la prima "società" umana ». 468
Una società a misura di famiglia è la migliore garanzia contro ogni deriva di tipo individualista o collettivista, perché in essa la persona è sempre al centro dell'attenzione in quanto fine e mai come mezzo. È del tutto evidente che il bene delle persone e il buon funzionamento della società sono strettamente connessi « con una felice collocazione della comunità coniugale e familiare ». 469 Senza famiglie forti nella comunione e stabili nell'impegno, i popoli si indeboliscono. Nella famiglia vengono inculcati fin dai primi anni di vita i valori morali, si trasmette il patrimonio spirituale della comunità religiosa e quello culturale della Nazione. In essa si fa l'apprendistato delle responsabilità sociali e della solidarietà. 470
214 Va affermata la priorità della famiglia rispetto alla società e allo Stato.
La famiglia, infatti, almeno nella sua funzione procreativa, è la condizione stessa della loro esistenza. Nelle altre funzioni a vantaggio di ciascuno dei suoi membri essa precede, per importanza e valore, le funzioni che la società e lo Stato devono svolgere. 471 La famiglia, soggetto titolare di diritti inviolabili, trova la sua legittimazione nella natura umana e non nel riconoscimento dello Stato. Essa non è, quindi, per la società e per lo Stato, bensì la società e lo Stato sono per la famiglia.
Ogni modello sociale che intenda servire il bene dell'uomo non può prescindere dalla centralità e dalla responsabilità sociale della famiglia. La società e lo Stato, nelle loro relazioni con la famiglia, hanno invece l'obbligo di attenersi al principio di sussidiarietà. In forza di tale principio, le autorità pubbliche non devono sottrarre alla famiglia quei compiti che essa può svolgere bene da sola o liberamente associata con altre famiglie; d'altra parte, le stesse autorità hanno il dovere di sostenere la famiglia assicurandole tutti gli aiuti di cui essa ha bisogno per assumere in modo adeguato tutte le sue responsabilità. 472

II. IL MATRIMONIO FONDAMENTO DELLA FAMIGLIA

a) Il valore del matrimonio
215 La famiglia ha il suo fondamento nella libera volontà dei coniugi di unirsi in matrimonio, nel rispetto dei significati e dei valori propri di questo istituto, che non dipende dall'uomo, ma da Dio stesso: « questo vincolo sacro in vista del bene sia dei coniugi e della prole che della società non dipende dall'arbitrio umano. Infatti è Dio stesso l'autore del matrimonio, dotato di molteplici valori e fini ». 473 L'istituto del matrimonio — « intima comunione coniugale di vita e d'amore, fondata dal Creatore e dotata di leggi proprie »  474 — non è dunque una creazione dovuta a convenzioni umane e ad imposizioni legislative, ma deve la sua stabilità all'ordinamento divino. 475 È un istituto che nasce, anche per la società, « dall'atto umano col quale i coniugi vicendevolmente si danno e si ricevono »  476 e si fonda sulla stessa natura dell'amore coniugale che, in quanto dono totale ed esclusivo, da persona a persona, comporta un impegno definitivo espresso con il consenso reciproco, irrevocabile e pubblico. 477 Tale impegno comporta che i rapporti tra i membri della famiglia siano improntati anche al senso della giustizia e, quindi, al rispetto dei reciproci diritti e doveri.
216 Nessun potere può abolire il diritto naturale al matrimonio né modificarne i caratteri e la finalità. Il matrimonio, infatti, è dotato di caratteristiche proprie, originarie e permanenti. Nonostante i numerosi mutamenti verificatisi nel corso dei secoli nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali, in tutte le culture esiste un certo senso della dignità dell'unione matrimoniale, sebbene non traspaia ovunque con la stessa chiarezza. 478 Tale dignità va rispettata nelle sue caratteristiche specifiche, che esigono di essere salvaguardate di fronte ad ogni tentativo di stravolgimento. La società non può disporre del legame matrimoniale, con il quale i due sposi si promettono fedeltà, assistenza e accoglienza dei figli, ma è abilitata a disciplinarne gli effetti civili.
217 Il matrimonio ha come suoi tratti caratteristici: la totalità, per cui i coniugi si donano reciprocamente in tutte le componenti della persona, fisiche e spirituali; l'unità che li rende « una sola carne » (Gen 2,24); l'indissolubilità e la fedeltà che la donazione reciproca e definitiva comporta; la fecondità a cui essa naturalmente si apre. 479 Il sapiente disegno di Dio sul matrimonio — disegno accessibile alla ragione umana, nonostante le difficoltà dovute alla durezza del cuore (cfr. Mt 19,8; Mc 10,5) — non può essere valutato esclusivamente alla luce dei comportamenti di fatto e delle situazioni concrete che se ne discostano. È una negazione radicale del disegno originale di Dio la poligamia, « perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo ». 480
218 Il matrimonio, nella sua verità « oggettiva », è ordinato alla procreazione e all'educazione dei figli. 481 L'unione matrimoniale, infatti, fa vivere in pienezza quel dono sincero di sé, il cui frutto sono i figli, a loro volta dono per i genitori, per l'intera famiglia e per tutta la società. 482 Il matrimonio, tuttavia, non è stato istituito unicamente in vista della procreazione:  483 il suo carattere indissolubile e il suo valore di comunione permangono anche quando i figli, pur vivamente desiderati, non giungono a completare la vita coniugale. Gli sposi, in questo caso, « possono mostrare la loro generosità adottando bambini abbandonati oppure compiendo servizi significativi a favore del prossimo ». 484
b) Il sacramento del matrimonio
219 La realtà umana e originaria del matrimonio è vissuta dai battezzati, per istituzione di Cristo, nella forma soprannaturale del sacramento, segno e strumento di Grazia. La storia della salvezza è percorsa dal tema dell'alleanza sponsale, significativa espressione della comunione d'amore tra Dio e gli uomini e chiave simbolica per comprendere le tappe della grande alleanza tra Dio e il Suo popolo. 485 Il centro della rivelazione del progetto d'amore divino è il dono che Dio fa all'umanità del Figlio Suo Gesù Cristo, « lo Sposo che ama e si dona come Salvatore all'umanità, unendola a Sé come suo corpo. Egli rivela la verità originaria del matrimonio, la verità del "principio" (cfr. Gen 2,24; Mt 19,5) e, liberando l'uomo dalla durezza del cuore, lo rende capace di realizzarla interamente ». 486 Dall'amore sponsale di Cristo per la Chiesa, che mostra la sua pienezza nell'offerta consumata sulla Croce, discende la sacramentalità del matrimonio, la cui Grazia conforma l'amore degli sposi all'Amore di Cristo per la Chiesa. Il matrimonio, in quanto sacramento, è un'alleanza di un uomo e una donna nell'amore. 487
220 Il sacramento del matrimonio assume la realtà umana dell'amore coniugale in tutte le implicazioni e « abilita e impegna i coniugi e i genitori cristiani a vivere la loro vocazione di laici, e pertanto a "cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio" ». 488 Intimamente unita alla Chiesa in forza del vincolo sacramentale che la rende Chiesa domestica o piccola Chiesa, la famiglia cristiana è chiamata « ad essere segno di unità per il mondo e ad esercitare in tal modo il suo ruolo profetico testimoniando il Regno e la pace di Cristo, verso cui il mondo intero è in cammino ». 489
La carità coniugale, che sgorga dalla carità stessa di Cristo, offerta attraverso il Sacramento, rende i coniugi cristiani testimoni di una socialità nuova, ispirata al Vangelo e al Mistero pasquale. La dimensione naturale del loro amore viene costantemente purificata, consolidata ed elevata dalla grazia sacramentale. In questo modo, i coniugi cristiani, oltre ad aiutarsi reciprocamente nel cammino di santificazione, diventano segno e strumento della carità di Cristo nel mondo. Con la loro stessa vita essi sono chiamati ad essere testimoni e annunciatori del significato religioso del matrimonio, che la società attuale fa sempre più fatica a riconoscere, specialmente quando accoglie visioni relativistiche anche dello stesso fondamento naturale dell'istituto matrimoniale.

III. LA SOGGETTIVITÀ SOCIALE DELLA FAMIGLIA

a) L'amore e la formazione di una comunità di persone
221 La famiglia si propone come spazio di quella comunione, tanto necessaria in una società sempre più individualistica, nel quale far crescere un'autentica comunità di persone  490 grazie all'incessante dinamismo dell'amore, che è la dimensione fondamentale dell'esperienza umana e che trova proprio nella famiglia un luogo privilegiato per manifestarsi: « L'amore fa sì che l'uomo si realizzi attraverso il dono sincero di sé: amare significa dare e ricevere quanto non si può né comperare né vendere, ma solo liberamente e reciprocamente elargire ». 491
Grazie all'amore, realtà essenziale per definire il matrimonio e la famiglia, ogni persona, uomo e donna, è riconosciuta, accolta e rispettata nella sua dignità. Dall'amore nascono rapporti vissuti all'insegna della gratuità, la quale « rispettando e favorendo in tutti e in ciascuno la dignità personale come unico titolo di valore, diventa accoglienza cordiale, incontro e dialogo, disponibilità disinteressata, servizio generoso, solidarietà profonda ». 492 L'esistenza di famiglie che vivono in tale spirito mette a nudo le carenze e le contraddizioni di una società orientata prevalentemente, se non esclusivamente, da criteri di efficienza e funzionalità. La famiglia, che vive costruendo ogni giorno una rete di rapporti interpersonali, interni ed esterni, si pone invece come « prima e insostituibile scuola di socialità, esempio e stimolo per i più ampi rapporti comunitari all'insegna del rispetto, della giustizia, del dialogo, dell'amore ». 493
222 L'amore si esprime anche mediante una premurosa attenzione verso gli anziani che vivono nella famiglia: la loro presenza può assumere un grande valore. Essi sono un esempio di collegamento tra le generazioni, una risorsa per il benessere della famiglia e dell'intera società: « Non solo possono rendere testimonianza del fatto che vi sono aspetti della vita, come i valori umani e culturali, morali e sociali, che non si misurano in termini economici o di funzionalità, ma offrire anche un contributo efficace nell'ambito lavorativo e in quello della responsabilità. Si tratta, infine, non solo di fare qualcosa per gli anziani, ma anche di accettare queste persone come collaboratori responsabili, con modalità che rendano ciò veramente possibile, come agenti di progetti condivisi, in fase sia di programmazione, sia di dialogo o di attuazione ». 494 Come dice la Sacra Scrittura, le persone « nella vecchiaia daranno ancora frutti » (Sal 92,15). Gli anziani costituiscono un'importante scuola di vita, capace di trasmettere valori e tradizioni e di favorire la crescita dei più giovani, i quali imparano così a ricercare non soltanto il proprio bene, ma anche quello altrui. Se gli anziani si trovano in una situazione di sofferenza e dipendenza, non solo hanno bisogno di cure sanitarie e di un'assistenza appropriata, ma, soprattutto, di essere trattati con amore.
223 L'essere umano è fatto per amare e senza amore non può vivere. Quando si manifesta nel dono totale di due persone nella loro complementarità, l'amore non può essere ridotto alle emozioni e ai sentimenti, né, tanto meno, alla sua sola espressione sessuale. Una società che tende sempre più a relativizzare e a banalizzare l'esperienza dell'amore e della sessualità esalta gli aspetti effimeri della vita e ne oscura i valori fondamentali: diventa quanto mai urgente annunciare e testimoniare che la verità dell'amore e della sessualità coniugale esiste là dove si realizza un dono pieno e totale delle persone con le caratteristiche dell'unità e della fedeltà. 495 Tale verità, fonte di gioia, di speranza e di vita, rimane impenetrabile e irraggiungibile fintanto che si rimane chiusi nel relativismo e nello scetticismo.
224 Di fronte alle teorie che considerano l'identità di genere soltanto come prodotto culturale e sociale derivante dall'interazione tra la comunità e l'individuo, prescindendo dall'identità sessuale personale e senza alcun riferimento al vero significato della sessualità, la Chiesa non si stancherà di ribadire il proprio insegnamento: « Spetta a ciascuno, uomo o donna, riconoscere ed accettare la propria identità sessuale. La differenza e la complementarità fisiche, morali e spirituali sono orientate al bene del matrimonio e allo sviluppo della vita familiare. L'armonia della coppia e della società dipende in parte dal modo in cui si vivono tra i sessi la complementarità, il bisogno vicendevole e il reciproco aiuto ». 496 È questa una prospettiva che fa considerare doverosa la conformazione del diritto positivo alla legge naturale, secondo la quale l'identità sessuale è indisponibile, perché è la condizione oggettiva per formare una coppia nel matrimonio.
225 La natura dell'amore coniugale esige la stabilità del rapporto matrimoniale e la sua indissolubilità. La mancanza di questi requisiti pregiudica il rapporto di amore esclusivo e totale proprio del vincolo matrimoniale, con gravi sofferenze per i figli e con risvolti dannosi anche nel tessuto sociale.
La stabilità e l'indissolubilità dell'unione matrimoniale non devono essere affidate esclusivamente all'intenzione e all'impegno delle singole persone coinvolte: la responsabilità della tutela e della promozione della famiglia come fondamentale istituzione naturale, proprio in considerazione dei suoi vitali e irrinunciabili aspetti, compete piuttosto all'intera società. La necessità di conferire un carattere istituzionale al matrimonio, fondandolo su un atto pubblico, socialmente e giuridicamente riconosciuto, deriva da basilari esigenze di natura sociale.
L'introduzione del divorzio nelle legislazioni civili ha alimentato una visione relativistica del legame coniugale e si è ampiamente manifestata come una « vera piaga sociale ». 497 Le coppie che conservano e sviluppano i beni della stabilità e dell'indissolubilità « assolvono ... in modo umile e coraggioso, il compito loro affidato di essere nel mondo un "segno" — un piccolo e prezioso segno, talvolta sottoposto anche a tentazione, ma sempre rinnovato — dell'instancabile fedeltà con cui Dio e Gesù Cristo amano tutti gli uomini e ogni uomo ». 498
226 La Chiesa non abbandona a se stessi coloro che, dopo un divorzio, si sono risposati. La Chiesa prega per loro, li incoraggia nelle difficoltà di ordine spirituale che incontrano e li sostiene nella fede e nella speranza. Da parte loro queste persone, in quanto battezzate, possono e anzi devono partecipare alla vita ecclesiale: sono esortate ad ascoltare la Parola di Dio, a frequentare il sacrificio della Messa, a perseverare nella preghiera, a dare incremento alle opere di carità e alle iniziative della comunità in favore della giustizia e della pace, a educare i figli nella fede, a coltivare lo spirito e le opere di penitenza per implorare così, di giorno in giorno, la grazia di Dio.
La riconciliazione nel sacramento della penitenza — che aprirebbe la strada al sacramento eucaristico — può essere accordata solo a coloro che, pentiti, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. 499
Agendo in tal modo, la Chiesa professa la propria fedeltà a Cristo e alla Sua verità; nello stesso tempo si comporta con animo materno verso questi suoi figli, specialmente verso coloro che, senza loro colpa, sono stati abbandonati dal loro coniuge legittimo. Con ferma fiducia essa crede che anche quanti si sono allontanati dal comandamento del Signore, ed in tale stato tuttora vivono, potranno ottenere da Dio la grazia della conversione e della salvezza, se avranno perseverato nella preghiera, nella penitenza e nella carità. 500
227 Le unioni di fatto, il cui numero è progressivamente aumentato, si basano su una falsa concezione della libertà di scelta degli individui  501 e su un'impostazione del tutto privatistica del matrimonio e della famiglia. Il matrimonio non è un semplice patto di convivenza, bensì un rapporto con una dimensione sociale unica rispetto a tutte le altre, in quanto la famiglia, provvedendo alla cura e all'educazione dei figli, si configura come strumento primario per la crescita integrale di ogni persona e per il suo positivo inserimento nella vita sociale.
L'eventuale equiparazione legislativa tra la famiglia e le « unioni di fatto » si tradurrebbe in un discredito del modello di famiglia, che non si può realizzare in una precaria relazione tra persone, 502 ma solo in un'unione permanente originata da un matrimonio, ovvero dal patto tra un uomo e una donna, fondato su una reciproca e libera scelta che implica la piena comunione coniugale orientata verso la procreazione.
228 Un problema particolare collegato alle unioni di fatto è quello riguardante la richiesta di riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali, sempre più oggetto di pubblico dibattito. Soltanto un'antropologia rispondente alla piena verità dell'uomo può dare una risposta appropriata al problema, che presenta diversi aspetti sia sul piano sociale che ecclesiale. 503 Alla luce di tale antropologia si rivela « quanto sia incongrua la pretesa di attribuire una realtà "coniugale" all'unione fra persone dello stesso sesso. Vi si oppone, innanzi tutto, l'oggettiva impossibilità di far fruttificare il connubio mediante la trasmissione della vita, secondo il progetto inscritto da Dio nella stessa struttura dell'essere umano. È di ostacolo, inoltre, l'assenza dei presupposti per quella complementarità interpersonale che il Creatore ha voluto, tanto sul piano fisico-biologico quanto su quello eminentemente psicologico, tra il maschio e la femmina. È soltanto nell'unione fra due persone sessualmente diverse che può attuarsi il perfezionamento del singolo, in una sintesi di unità e di mutuo completamento psico-fisico ». 504
La persona omosessuale deve essere pienamente rispettata nella sua dignità  505 e incoraggiata a seguire il piano di Dio con un impegno particolare nell'esercizio della castità. 506 Il doveroso rispetto non significa legittimazione di comportamenti non conformi alla legge morale né, tanto meno, il riconoscimento di un diritto al matrimonio tra persone dello stesso sesso, con la conseguente equiparazione della loro unione alla famiglia:  507 « Se dal punto di vista legale il matrimonio tra due persone di sesso diverso fosse solo considerato come uno dei matrimoni possibili, il concetto di matrimonio subirebbe un cambiamento radicale, con grave detrimento del bene comune. Mettendo l'unione omosessuale su un piano giuridico analogo a quello del matrimonio o della famiglia, lo Stato agisce arbitrariamente ed entra in contraddizione con i propri doveri ». 508
229 La solidità del nucleo familiare è una risorsa determinante per la qualità della convivenza sociale, perciò la comunità civile non può restare indifferente di fronte alle tendenze disgregatrici che minano alla base i suoi stessi pilastri portanti. Se una legislazione può talvolta tollerare comportamenti moralmente inaccettabili, 509 non deve mai indebolire il riconoscimento del matrimonio monogamico indissolubile quale unica forma autentica della famiglia. È pertanto necessario che le pubbliche autorità, « resistendo a queste tendenze disgregatrici della stessa società e dannose per la dignità, sicurezza e benessere dei singoli cittadini, si adoperino perché l'opinione pubblica non sia indotta a sottovalutare l'importanza istituzionale del matrimonio e della famiglia ». 510
È compito della comunità cristiana e di tutti coloro che hanno a cuore il bene della società riaffermare che « la famiglia costituisce, più ancora di un mero nucleo giuridico, sociale ed economico, una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società ». 511
b) La famiglia è il santuario della vita
230 L'amore coniugale è per sua natura aperto all'accoglienza della vita. 512 Nel compito procreativo si rivela in modo eminente la dignità dell'essere umano, chiamato a farsi interprete della bontà e della fecondità che discendono da Dio: « La paternità e la maternità umane, pur essendo biologicamente simili a quelle di altri esseri in natura, hanno in sé in modo essenziale ed esclusivo una "somiglianza" con Dio, sulla quale si fonda la famiglia, intesa come comunità di vita umana, come comunità di persone unite nell'amore (communio personarum) ». 513
La procreazione esprime la soggettività sociale della famiglia ed avvia un dinamismo di amore e di solidarietà tra le generazioni che sta alla base della società. Occorre riscoprire il valore sociale di particella del bene comune insito in ogni nuovo essere umano: ogni bambino « fa di sé un dono ai fratelli, alle sorelle, ai genitori, all'intera famiglia. La sua vita diventa dono per gli stessi donatori della vita, i quali non potranno non sentire la presenza del figlio, la sua partecipazione alla loro esistenza, il suo apporto al bene comune loro e della comunità familiare ». 514
231 La famiglia fondata sul matrimonio è davvero il santuario della vita, « il luogo in cui la vita, dono di Dio, può essere adeguatamente accolta e protetta contro i molteplici attacchi a cui è esposta, e può svilupparsi secondo le esigenze di un'autentica crescita umana ». 515 Determinante e insostituibile è il ruolo della famiglia per la promozione e la costruzione della cultura della vita  516 contro il diffondersi di una « "anti-civiltà" distruttiva, com'è confermato oggi da tante tendenze e situazioni di fatto ». 517
Le famiglie cristiane, in forza del sacramento ricevuto, hanno la peculiare missione di essere testimoni e annunciatrici del Vangelo della vita. È un impegno che assume nella società il valore di vera e coraggiosa profezia. È per questo motivo che « servire il Vangelo della vita comporta che le famiglie, specie partecipando ad apposite associazioni, si adoperino affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma lo difendano e lo promuovano ». 518
232 La famiglia contribuisce in modo eminente al bene sociale mediante la paternità e la maternità responsabili, forme peculiari della speciale partecipazione dei coniugi all'opera creatrice di Dio. 519 L'onere di una simile responsabilità non può essere invocato per giustificare chiusure egoistiche, ma deve guidare le scelte dei coniugi verso una generosa accoglienza della vita: « In rapporto alle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, la paternità responsabile si esercita, sia con la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa, sia con la decisione, presa per gravi motivi e nel rispetto della legge morale, di evitare temporaneamente od anche a tempo indeterminato una nuova nascita ». 520 Le motivazioni che devono guidare gli sposi nell'esercizio responsabile della paternità e della maternità derivano dal pieno riconoscimento dei propri doveri verso Dio, verso se stessi, verso la famiglia e verso la società, in una giusta gerarchia di valori.
233 Circa i « mezzi » per attuare la procreazione responsabile, vanno anzitutto rifiutati come moralmente illeciti sia la sterilizzazione sia l'aborto. 521 Quest'ultimo, in particolare, è un abominevole delitto e costituisce sempre un disordine morale particolarmente grave;  522 lungi dall'essere un diritto, è piuttosto un triste fenomeno che contribuisce gravemente alla diffusione di una mentalità contro la vita, minacciando pericolosamente una giusta e democratica convivenza sociale. 523
Va pure rifiutato il ricorso ai mezzi contraccettivi nelle loro diverse forme:  524 tale rifiuto si fonda su una corretta e integrale concezione della persona e della sessualità umana  525 ed ha il valore di un'istanza morale a difesa del vero sviluppo dei popoli. 526 Le stesse ragioni di ordine antropologico giustificano, invece, come lecito il ricorso all'astinenza periodica nei periodi di fertilità femminile. 527 Rifiutare la contraccezione e ricorrere ai metodi naturali di regolazione della natalità significa scegliere di impostare i rapporti interpersonali tra coniugi sul reciproco rispetto e sulla totale accoglienza, con positivi riflessi anche per la realizzazione di un ordine sociale più umano.
234 Il giudizio circa l'intervallo tra le nascite e il numero dei figli da procreare spetta soltanto agli sposi. È questo un loro diritto inalienabile, da esercitare davanti a Dio, considerando i doveri verso se stessi, verso i figli già nati, la famiglia e la società. 528 L'intervento dei pubblici poteri, nell'ambito delle loro competenze, per la diffusione di un'appropriata informazione e l'adozione di opportune misure in campo demografico, deve essere compiuto nel rispetto delle persone e della libertà delle coppie: non può mai sostituirsi alle loro scelte;  529 tanto meno lo possono fare le varie organizzazioni operanti in questo settore.
Sono moralmente condannabili come attentati alla dignità della persona e della famiglia tutti i programmi di aiuto economico destinati a finanziare campagne di sterilizzazione e di contraccezione o subordinati all'accettazione di tali campagne. La soluzione delle questioni connesse alla crescita demografica deve essere piuttosto perseguita nel simultaneo rispetto sia della morale sessuale sia di quella sociale, promuovendo una maggiore giustizia e autentica solidarietà per dare ovunque dignità alla vita a cominciare dalle condizioni economiche, sociali e culturali.
235 Il desiderio di maternità e paternità non giustifica alcun « diritto al figlio », mentre invece sono evidenti i diritti del nascituro, al quale devono essere garantite condizioni ottimali di esistenza, mediante la stabilità della famiglia fondata sul matrimonio e la complementarità delle due figure, paterna e materna. 530 Il rapido sviluppo della ricerca e delle sue applicazioni tecniche nella sfera della riproduzione pone nuove e delicate questioni che chiamano in causa la società e le norme che regolano la convivenza umana.
Occorre ribadire che non sono moralmente accettabili tutte le tecniche riproduttive — quali la donazione di sperma o di ovocita; la maternità sostitutiva; la fecondazione artificiale eterologa — che prevedono il ricorso all'utero o a gameti di persone estranee alla coppia coniugale, ledendo il diritto del figlio a nascere da un padre e da una madre che siano tali dal punto di vista sia biologico sia giuridico, oppure separano l'atto unitivo da quello procreativo ricorrendo a tecniche di laboratorio, quali l'inseminazione e la fecondazione artificiale omologa, così che il figlio appare come il risultato di un atto tecnico più che come il naturale frutto dell'atto umano di piena e totale donazione dei coniugi. 531 Evitare il ricorso alle diverse forme di cosiddetta procreazione assistita, sostitutiva dell'atto coniugale, significa rispettare — sia nei genitori sia nei figli che essi intendono generare — l'integrale dignità della persona umana. 532 Sono leciti, invece, i mezzi che si configurano come aiuto all'atto coniugale o al raggiungimento dei suoi effetti. 533
236 Una questione di particolare rilevanza sociale e culturale, per le molteplici e gravi implicazioni morali che presenta, è quella riferita alla clonazione umana, termine che di per sé, in senso generico, significa riproduzione di una entità biologica geneticamente identica a quella di origine. Essa ha assunto, nel pensiero e nella prassi sperimentale, diversi significati, che suppongono, a loro volta, procedimenti diversi dal punto di vista delle modalità tecniche di realizzazione, nonché finalità differenti. Può significare la semplice replicazione in laboratorio di cellule o di porzioni di DNA. Ma specificamente oggi si intende la riproduzione di individui, allo stadio embrionale con modalità diverse dalla fecondazione naturale e in modo che siano geneticamente identici con l'individuo da cui traggono origine. Questo tipo di clonazione può avere la finalità riproduttiva di embrioni umani o quella cosiddetta terapeutica, tendente ad utilizzare tali embrioni per fini di ricerca scientifica o più specificamente per la produzione di cellule staminali.
Dal punto di vista etico la semplice replicazione di cellule normali o di porzioni di DNA non presenta problemi etici particolari. Ben diverso è il giudizio del Magistero sulla clonazione propriamente detta. È contraria alla dignità della procreazione umana perché si realizza in assenza totale dell'atto di amore personale tra gli sposi, essendo una riproduzione agamica e asessuale. 534 In secondo luogo, questo tipo di riproduzione rappresenta una forma di dominio totale sull'individuo riprodotto da parte di chi lo riproduce. 535 Il fatto che venga attuata la clonazione per riprodurre embrioni da cui prelevare cellule che possono essere usate per la terapia non attenua la gravità morale, anche perché per prelevare tali cellule l'embrione deve essere prima prodotto e poi soppresso. 536
237 I genitori, quali ministri della vita, non devono mai dimenticare che la dimensione spirituale della procreazione merita una considerazione superiore a quella riservata a qualsiasi altro aspetto: « La paternità e la maternità rappresentano un compito di natura non semplicemente fisica, ma spirituale; attraverso di esse, infatti, passa la genealogia della persona, che ha il suo eterno inizio in Dio e che a Lui deve condurre ». 537 Accogliendo la vita umana nella unitarietà delle sue dimensioni, fisiche e spirituali, le famiglie contribuiscono alla « comunione delle generazioni » e danno in questo modo un essenziale e insostituibile contributo allo sviluppo della società. Per questa ragione, « la famiglia ha diritto all'assistenza da parte della società per quanto concerne i suoi compiti circa la procreazione e l'educazione dei figli. Le coppie sposate, aventi una famiglia numerosa, hanno diritto a un adeguato aiuto e non devono essere sottoposte a discriminazione ». 538
c) Il compito educativo
238 Con l'opera educativa, la famiglia forma l'uomo alla pienezza della sua dignità secondo tutte le sue dimensioni, compresa quella sociale. La famiglia, infatti, costituisce « una comunità di amore e di solidarietà che è in modo unico adatta ad insegnare e a trasmettere valori culturali, etici, sociali, spirituali e religiosi, essenziali per lo sviluppo e il benessere dei propri membri e della società ». 539 Esercitando la sua missione educativa, la famiglia contribuisce al bene comune e costituisce la prima scuola di virtù sociali, di cui tutte le società hanno bisogno. 540 Le persone sono aiutate in famiglia a crescere nella libertà e nella responsabilità, premesse indispensabili per l'assunzione di qualsiasi compito nella società. Con l'educazione, inoltre, vengono comunicati, per essere assimilati e fatti propri da ciascuno, alcuni valori fondamentali, necessari per essere cittadini liberi, onesti e responsabili. 541
239 La famiglia ha un ruolo del tutto originale e insostituibile nell'educazione dei figli. 542 L'amore dei genitori, mettendosi al servizio dei figli per aiutarli a trarre da loro (« e-ducere ») il meglio di sé, trova la sua piena realizzazione proprio nel compito educativo: « l'amore dei genitori da sorgente diventa anima e pertanto norma, che ispira e guida tutta l'azione educativa concreta, arricchendola di quei valori di dolcezza, costanza, bontà, servizio, disinteresse, spirito di sacrificio, che sono il più prezioso frutto dell'amore ». 543
Il diritto-dovere dei genitori di educare la prole si qualifica « come essenziale, connesso com'è con la trasmissione della vita umana; come originale e primario, rispetto al compito educativo di altri, per l'unicità del rapporto d'amore che sussiste tra genitori e figli; come insostituibile ed inalienabile, e ... pertanto non può essere totalmente delegato ad altri, né da altri usurpato ». 544 I genitori hanno il diritto-dovere di impartire un'educazione religiosa e una formazione morale ai loro figli:  545 diritto che non può essere cancellato dallo Stato, ma rispettato e promosso; dovere primario, che la famiglia non può trascurare o delegare.
240 I genitori sono i primi, ma non gli unici, educatori dei lori figli. Spetta a loro, dunque, esercitare con senso di responsabilità l'opera educativa in stretta e vigile collaborazione con gli organismi civili ed ecclesiali: « la stessa dimensione comunitaria, civile ed ecclesiale, dell'uomo esige e conduce ad un'opera più ampia ed articolata, che sia il frutto della collaborazione ordinata delle diverse forze educative. Queste forze sono tutte necessarie, anche se ciascuna può e deve intervenire con una sua competenza e con un suo contributo propri ». 546 I genitori hanno il diritto di scegliere gli strumenti formativi rispondenti alle proprie convinzioni e di cercare i mezzi che possano aiutarli nel loro compito di educatori, anche nell'ambito spirituale e religioso. Le autorità pubbliche hanno il dovere di garantire tale diritto e di assicurare le condizioni concrete che ne consentono l'esercizio. 547 In tale contesto si pone anzitutto il tema della collaborazione tra famiglia e istituzione scolastica.
241 I genitori hanno il diritto di fondare e sostenere istituzioni educative. Le autorità pubbliche devono far sì che « i pubblici sussidi siano stanziati in maniera che i genitori siano veramente liberi nell'esercitare questo diritto, senza andare incontro ad oneri ingiusti. Non si devono costringere i genitori a sostenere, direttamente o indirettamente, spese supplementari, che impediscano o limitino ingiustamente l'esercizio di questa libertà ». 548 È da considerarsi un'ingiustizia il rifiuto di sostegno economico pubblico alle scuole non statali che ne abbiano necessità e rendano un servizio alla società civile: « Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia... Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente ». 549
242 La famiglia ha la responsabilità di offrire un'educazione integrale. Ogni vera educazione, infatti, deve promuovere « la formazione della persona umana in vista del suo fine ultimo, e contemporaneamente per il bene della società di cui l'uomo è membro e alle cui responsabilità, divenuto adulto, avrà parte ». 550 L'integralità è assicurata quando i figli — con la testimonianza di vita e con la parola — vengono educati al dialogo, all'incontro, alla socialità, alla legalità, alla solidarietà e alla pace, mediante la coltivazione delle virtù fondamentali della giustizia e della carità. 551
Nell'educazione dei figli, il ruolo materno e quello paterno sono ugualmente necessari. 552 I genitori devono, quindi, operare congiuntamente. L'autorità sarà da loro esercitata con rispetto e delicatezza, ma anche con fermezza e vigore: essa deve essere credibile, coerente, saggia e sempre orientata verso il bene integrale dei figli.
243 I genitori hanno poi una particolare responsabilità nella sfera dell'educazione sessuale. È di fondamentale importanza, per una crescita equilibrata, che i figli apprendano in modo ordinato e progressivo il significato della sessualità e imparino ad apprezzare i valori umani e morali ad essa correlati: « Per gli stretti legami che intercorrono tra la dimensione sessuale della persona e i suoi valori etici, il compito educativo deve condurre i figli a conoscere e a stimare le norme morali come necessaria e preziosa garanzia per una responsabile crescita personale nella sessualità umana ». 553 I genitori sono tenuti a verificare le modalità con cui viene attuata l'educazione sessuale nelle istituzioni educative, al fine di controllare che un tema così importante e delicato sia affrontato in modo appropriato.
d) Dignità e diritti dei bambini
244 La dottrina sociale della Chiesa indica costantemente l'esigenza di rispettare la dignità dei bambini: « Nella famiglia, comunità di persone, deve essere riservata una specialissima attenzione al bambino, sviluppando una profonda stima per la sua dignità personale, come pure un grande rispetto e un generoso servizio per i suoi diritti. Ciò vale di ogni bambino, ma acquista una singolare urgenza quanto più il bambino è piccolo e bisognoso di tutto, malato, sofferente o handicappato ». 554
I diritti dei bambini devono essere protetti dagli ordinamenti giuridici. È necessario, innanzi tutto, il riconoscimento pubblico in tutti i Paesi del valore sociale dell'infanzia: « Nessun paese del mondo, nessun sistema politico può pensare al proprio avvenire se non attraverso l'immagine di queste nuove generazioni che dai loro genitori assumeranno il molteplice patrimonio dei valori, dei doveri e delle aspirazioni della nazione alla quale appartengono e di tutta la famiglia umana ». 555 Il primo diritto del bambino è quello « a nascere in una vera famiglia », 556 un diritto il cui rispetto è sempre stato problematico e che oggi conosce nuove forme di violazione dovute allo sviluppo delle tecniche genetiche.
245 La situazione di una larga parte dei bambini nel mondo è lungi dall'essere soddisfacente, per la mancanza di condizioni che favoriscano il loro sviluppo integrale, malgrado l'esistenza di uno specifico strumento giuridico internazionale a tutela dei diritti del fanciullo, 557 che impegna quasi tutti i membri della comunità internazionale. Si tratta di condizioni connesse alla mancanza di servizi sanitari, di un'alimentazione adeguata, di possibilità a ricevere un minimo di formazione scolastica e di una casa. Permangono insoluti, inoltre, alcuni gravissimi problemi: il traffico dei bambini, il lavoro minorile, il fenomeno dei « bambini di strada », l'impiego di bambini in conflitti armati, il matrimonio delle bambine, l'utilizzo dei bambini per il commercio di materiale pornografico, anche tramite i più moderni e sofisticati strumenti di comunicazione sociale. È indispensabile combattere, a livello nazionale ed internazionale, le violazioni della dignità dei bambini e delle bambine causate dallo sfruttamento sessuale, dalle persone dedite alla pedofilia e dalle violenze di ogni genere subite da queste persone umane più indifese. 558 Si tratta di atti delittuosi che devono essere efficacemente combattuti, con adeguate misure preventive e penali, da una decisa azione delle diverse autorità.

IV. LA FAMIGLIA PROTAGONISTA DELLA VITA SOCIALE

a) Solidarietà familiare
246 La soggettività sociale delle famiglie, sia singole che associate, si esprime anche con manifestazioni di solidarietà e di condivisione, non solo tra le famiglie stesse, ma pure mediante varie forme di partecipazione alla vita sociale e politica. Si tratta della conseguenza della realtà familiare fondata sull'amore: nascendo dall'amore e crescendo nell'amore, la solidarietà appartiene alla famiglia come dato costitutivo e strutturale.
È una solidarietà che può assumere il volto del servizio e dell'attenzione a quanti vivono nella povertà e nell'indigenza, agli orfani, agli handicappati, ai malati, agli anziani, a chi è nel lutto, a quanti sono nel dubbio, nella solitudine o nell'abbandono; una solidarietà che si apre all'accoglienza, all'affidamento o all'adozione; che sa farsi voce di ogni situazione di disagio presso le istituzioni, affinché intervengano secondo le loro specifiche finalità.
247 Le famiglie, lungi dall'essere solo oggetto dell'azione politica, possono e devono diventare soggetto di tale attività, adoperandosi « affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere "protagoniste" della cosiddetta "politica familiare" e assumersi la responsabilità di trasformare la società ». 559 A tale scopo va rafforzato l'associazionismo familiare: « Le famiglie hanno il diritto di formare associazioni con altre famiglie e istituzioni per svolgere il ruolo della famiglia in modo conveniente ed effettivo, come pure per proteggere i diritti, promuovere il bene e rappresentare gli interessi della famiglia. Sul piano economico, sociale, giuridico e culturale, deve essere riconosciuto il legittimo ruolo delle famiglie e delle associazioni familiari nella elaborazione e nell'attuazione dei programmi che interessano la vita della famiglia ». 560
b) Famiglia, vita economica e lavoro
248 Il rapporto che intercorre tra la famiglia e la vita economica è particolarmente significativo. Da una parte, infatti, l'« eco-nomia » è nata dal lavoro domestico: la casa è stata per lungo tempo, e ancora — in molti luoghi — continua ad essere, unità di produzione e centro di vita. Il dinamismo della vita economica, d'altra parte, si sviluppa con l'iniziativa delle persone e si realizza, secondo cerchi concentrici, in reti sempre più vaste di produzione e di scambio di beni e di servizi, che coinvolgono in misura crescente le famiglie. La famiglia, dunque, va considerata, a buon diritto, come una protagonista essenziale della vita economica, orientata non dalla logica del mercato, ma da quella della condivisione e della solidarietà tra le generazioni.
249 Un rapporto del tutto particolare lega la famiglia e il lavoro: « la famiglia costituisce uno dei più importanti termini di riferimento, secondo i quali deve essere formato l'ordine socio-etico del lavoro umano ». 561 Tale rapporto affonda le sue radici nella relazione che intercorre tra la persona e il suo diritto a possedere il frutto del proprio lavoro e riguarda non solo il singolo come individuo, ma anche come membro di una famiglia, intesa quale « società domestica ». 562
Il lavoro è essenziale in quanto rappresenta la condizione che rende possibile la fondazione di una famiglia, i cui mezzi di sussistenza si acquistano mediante il lavoro. Il lavoro condiziona anche il processo di sviluppo delle persone, poiché una famiglia colpita dalla disoccupazione rischia di non realizzare pienamente le sue finalità. 563
L'apporto che la famiglia può offrire alla realtà del lavoro è prezioso e, per molti versi, insostituibile. Si tratta di un contributo che si esprime sia in termini economici sia mediante le grandi risorse di solidarietà che la famiglia possiede e che costituiscono un importante appoggio per chi, al suo interno, si trova senza lavoro o è alla ricerca di un'occupazione. Soprattutto e più radicalmente, è un contributo che si realizza con l'educazione al senso del lavoro e tramite l'offerta di orientamenti e sostegni di fronte alle stesse scelte professionali.
250 Per tutelare questo rapporto tra famiglia e lavoro, un elemento da apprezzare e salvaguardare è il salario familiare, ossia un salario sufficiente a mantenere e a far vivere dignitosamente la famiglia. 564 Tale salario deve permettere la realizzazione di un risparmio che favorisca l'acquisizione di qualche forma di proprietà, come garanzia di libertà: il diritto alla proprietà è strettamente legato all'esistenza delle famiglie, che si mettono al riparo dal bisogno anche grazie al risparmio e alla costituzione di una proprietà familiare. 565 Vari possono essere i modi per dare concretezza al salario familiare. Concorrono a determinarlo alcuni importanti provvedimenti sociali, quali gli assegni familiari e altri contributi per le persone a carico, nonché la remunerazione del lavoro casalingo di uno dei due genitori. 566
251 Nel rapporto tra famiglia e lavoro, una speciale attenzione va riservata al lavoro della donna in famiglia, il cosiddetto lavoro di cura, che chiama in causa anche le responsabilità dell'uomo come marito e come padre. Il lavoro di cura, a cominciare da quello della madre, proprio perché finalizzato e dedicato al servizio della qualità della vita, costituisce un tipo di attività lavorativa eminentemente personale e personalizzante, che deve essere socialmente riconosciuta e valorizzata, 567 anche mediante un corrispettivo economico almeno pari a quello di altri lavori. 568 Nello stesso tempo, occorre eliminare tutti gli ostacoli che impediscono agli sposi di esercitare liberamente la loro responsabilità procreativa e, in particolare, quelli che costringono la donna a non svolgere pienamente le sue funzioni materne. 569

V. LA SOCIETÀ A SERVIZIO DELLA FAMIGLIA

252 Il punto di partenza per un corretto e costruttivo rapporto tra la famiglia e la società è il riconoscimento della soggettività e della priorità sociale della famiglia. Il loro intimo rapporto impone che « la società non venga mai meno al suo fondamentale compito di rispettare e di promuovere la famiglia stessa ». 570 La società e, in particolare, le istituzioni statali — nel rispetto della priorità e « antecedenza » della famiglia — sono chiamate a garantire e favorire la genuina identità della vita familiare e a evitare e combattere tutto ciò che la altera e ferisce. Ciò richiede che l'azione politica e legislativa salvaguardi i valori della famiglia, dalla promozione dell'intimità e della convivenza familiare, al rispetto della vita nascente, alla effettiva libertà di scelta nell'educazione dei figli. La società e lo Stato non possono, pertanto, né assorbire, né sostituire, né ridurre la dimensione sociale della famiglia stessa; piuttosto devono onorarla, riconoscerla, rispettarla e promuoverla secondo il principio di sussidiarietà. 571
253 Il servizio della società alla famiglia si concretizza nel riconoscimento, nel rispetto e nella promozione dei diritti della famiglia. 572 Tutto ciò richiede la realizzazione di autentiche ed efficaci politiche familiari con interventi precisi in grado di affrontare i bisogni che derivano dai diritti della famiglia come tale. In tal senso, è necessario il prerequisito, essenziale e irrinunciabile, del riconoscimento — che comporta la tutela, la valorizzazione e la promozione — dell'identità della famiglia, società naturale fondata sul matrimonio. Tale riconoscimento traccia una linea di demarcazione netta tra la famiglia propriamente intesa e le altre convivenze, che della famiglia — per loro natura — non possono meritare né il nome né lo statuto.
254 Il riconoscimento, da parte delle istituzioni civili e dello Stato, della priorità della famiglia su ogni altra comunità e sulla stessa realtà statuale, comporta il superamento delle concezioni meramente individualistiche e l'assunzione della dimensione familiare come prospettiva, culturale e politica, irrinunciabile nella considerazione delle persone. Ciò non si pone in alternativa, ma piuttosto a sostegno e tutela degli stessi diritti che le persone hanno singolarmente. Tale prospettiva rende possibile elaborare criteri normativi per una soluzione corretta dei diversi problemi sociali, poiché le persone non devono essere considerate solo singolarmente, ma anche in relazione ai nuclei familiari in cui sono inserite, dei cui valori specifici ed esigenze si deve tenere debito conto.
   

CAPITOLO SESTO
IL LAVORO UMANO
I. ASPETTI BIBLICI

a) Il compito di coltivare e custodire la terra
255 L'Antico Testamento presenta Dio come Creatore onnipotente (cfr. Gen 2,2; Gb 38-41; Sal 104; Sal 147), che plasma l'uomo a Sua immagine, lo invita a lavorare la terra (cfr. Gen 2,5-6) e a custodire il giardino dell'Eden in cui lo ha posto (cfr. Gen 2,15). Alla prima coppia umana Dio affida il compito di soggiogare la terra e di dominare su ogni essere vivente (cfr. Gen 1,28). Il dominio dell'uomo sugli altri esseri viventi, tuttavia, non deve essere dispotico e dissennato; al contrario, egli deve « coltivare e custodire » (cfr. Gen 2,15) i beni creati da Dio: beni che l'uomo non ha creato, ma ha ricevuto come un dono prezioso posto dal Creatore sotto la sua responsabilità. Coltivare la terra significa non abbandonarla a se stessa; esercitare il dominio su di essa è averne cura, così come un re saggio si prende cura del suo popolo e un pastore del suo gregge.
Nel disegno del Creatore, le realtà create, buone in se stesse, esistono in funzione dell'uomo. Lo stupore davanti al mistero della grandezza dell'uomo fa esclamare il salmista: « Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi » (Sal 8,5-7).
256 Il lavoro appartiene alla condizione originaria dell'uomo e precede la sua caduta; non è perciò né punizione né maledizione. Esso diventa fatica e pena a causa del peccato di Adamo ed Eva, che spezzano il loro rapporto fiducioso ed armonioso con Dio (cfr. Gen 3,6-8). La proibizione di mangiare « dell'albero della conoscenza del bene e del male » (Gen 2,17) ricorda all'uomo che egli ha ricevuto tutto come dono e che continua ad essere una creatura e non il Creatore. Il peccato di Adamo ed Eva fu provocato proprio da questa tentazione: « diventereste come Dio » (Gen 3,5). Essi vollero avere il dominio assoluto su tutte le cose, senza sottomettersi alla volontà del Creatore. Da allora, il suolo si fa avaro, ingrato, sordamente ostile (cfr. Gen 4,12); solo con il sudore della fronte sarà possibile trarne alimento (cfr. Gen 3,17.19). Nonostante il peccato dei progenitori, tuttavia, il disegno del Creatore, il senso delle Sue creature e, tra queste, dell'uomo, chiamato ad essere coltivatore e custode del creato, rimangono inalterati.
257 Il lavoro va onorato perché fonte di ricchezza o almeno di condizioni di vita decorose e, in genere, è strumento efficace contro la povertà (cfr. Pr 10,4), ma non si deve cedere alla tentazione di idolatrarlo, perché in esso non si può trovare il senso ultimo e definitivo della vita. Il lavoro è essenziale, ma è Dio, non il lavoro, la fonte della vita e il fine dell'uomo. Il principio fondamentale della Sapienza, infatti, è il timore del Signore; l'esigenza della giustizia, che ne deriva, precede quella del guadagno: « Poco con il timore di Dio è meglio di un gran tesoro con l'inquietudine » (Pr 15,16); « Poco con onestà è meglio di molte rendite senza giustizia » (Pr 16,8).
258 Vertice dell'insegnamento biblico sul lavoro è il comandamento del riposo sabbatico. All'uomo, legato alla necessità del lavoro, il riposo apre la prospettiva di una libertà più piena, quella del Sabato eterno (cfr. Eb 4,9-10). Il riposo consente agli uomini di ricordare e di rivivere le opere di Dio, dalla Creazione alla Redenzione, di riconoscersi essi stessi come opera Sua (cfr. Ef 2,10), di rendere grazie della propria vita e della propria sussistenza a Lui, che ne è l'autore.
La memoria e l'esperienza del sabato costituiscono un baluardo contro l'asservimento al lavoro, volontario o imposto, e contro ogni forma di sfruttamento, larvata o palese. Il riposo sabbatico, infatti, oltre che per consentire la partecipazione al culto di Dio, è stato istituito in difesa del povero; la sua è anche una funzione liberatoria dalle degenerazioni antisociali del lavoro umano. Tale riposo, che può durare anche un anno, comporta, infatti, un esproprio dei frutti della terra a favore dei poveri e la sospensione dei diritti di proprietà dei padroni del suolo: « Per sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma nel settimo anno non la sfrutterai e la lascerai incolta: ne mangeranno gli indigenti del tuo popolo e ciò che lasceranno sarà divorato dalle bestie della campagna. Così farai per la tua vigna e per il tuo oliveto » (Es 23,10-11). Questa consuetudine risponde ad un'intuizione profonda: l'accumulazione di beni da parte di alcuni può diventare una sottrazione di beni ad altri.
b) Gesù uomo del lavoro
259 Nella Sua predicazione Gesù insegna ad apprezzare il lavoro. Egli stesso, « divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere », 573 nella bottega di Giuseppe (cfr. Mt 13,55; Mc 6,3), al quale stava sottomesso (cfr. Lc 2,51). Gesù condanna il comportamento del servo fannullone, che nasconde sotto terra il talento (cfr. Mt 25,14-30) e loda il servo fidato e prudente che il padrone trova intento a svolgere le mansioni affidategli (cfr. Mt 24,46). Egli descrive la Sua stessa missione come un operare: « Il Padre mio opera sempre e anch'io opero » (Gv 5,17); e i Suoi discepoli come operai nella messe del Signore, che è l'umanità da evangelizzare (cfr. Mt 9,37-38). Per questi operai vale il principio generale secondo cui « l'operaio è degno della sua mercede » (Lc 10,7); essi sono autorizzati a dimorare nelle case in cui sono accolti, a mangiare e a bere quello che viene loro offerto (cfr. ibidem).
260 Nella Sua predicazione Gesù insegna agli uomini a non lasciarsi asservire dal lavoro. Essi devono preoccuparsi prima di tutto della loro anima; guadagnare il mondo intero non è lo scopo della loro vita (cfr. Mc 8,36). I tesori della terra, infatti, si consumano, mentre i tesori del cielo sono imperituri: a questi si deve legare il proprio cuore (cfr. Mt 6,19-21). Il lavoro non deve affannare (cfr. Mt 6,25.31.34): preoccupato e agitato per molte cose, l'uomo rischia di trascurare il Regno di Dio e la Sua giustizia (cfr. Mt 6,33), di cui ha veramente bisogno; tutto il resto, compreso il lavoro, trova il suo posto, il suo senso e il suo valore solo se viene orientato a quest'unica cosa necessaria, che non sarà mai tolta (cfr. Lc 10,40-42).
261 Durante il Suo ministero terreno, Gesù lavora instancabilmente, compiendo opere potenti per liberare l'uomo dalla malattia, dalla sofferenza e dalla morte. Il sabato, che l'Antico Testamento aveva proposto come giorno di liberazione e che, osservato solo formalmente, veniva svuotato del suo autentico significato, è riaffermato da Gesù nel suo originario valore: « Il sabato è stato fatto per l'uomo e non l'uomo per il sabato! » (Mc 2,27). Con le guarigioni, compiute in questo giorno di riposo (cfr. Mt 12,9-14; Mc 3,1-6; Lc 6,6-11; 13,10-17; 14,1-6), Egli vuole dimostrare che il sabato è Suo, perché Egli è veramente il Figlio di Dio, e che è il giorno in cui ci si deve dedicare a Dio e agli altri. Liberare dal male, praticare fraternità e condivisione è conferire al lavoro il suo significato più nobile, quello che permette all'umanità di incamminarsi verso il Sabato eterno, nel quale il riposo diventa la festa cui l'uomo interiormente aspira. Proprio in quanto orienta l'umanità a fare esperienza del sabato di Dio e della Sua vita conviviale, il lavoro inaugura sulla terra la nuova creazione.
262 L'attività umana di arricchimento e di trasformazione dell'universo può e deve far emergere le perfezioni in esso nascoste, che nel Verbo increato hanno il loro principio e il loro modello. Gli scritti paolini e giovannei, infatti, mettono in luce la dimensione trinitaria della creazione e, in particolare, il legame che intercorre tra il Figlio-Verbo, il « Logos », e la creazione (cfr. Gv 1,3; 1 Cor 8,6; Col 1,15-17). Creato in Lui e per mezzo di Lui, redento da Lui, l'universo non è un ammasso casuale, ma un « cosmo », 574 il cui ordine l'uomo deve scoprire, assecondare e portare a compimento: « In Gesù Cristo il mondo visibile, creato da Dio per l'uomo — quel mondo che, essendovi entrato il peccato, "è stato sottomesso alla caducità" (Rm 8,20; cfr. ibid., 8,19-22) — riacquista nuovamente il vincolo originario con la stessa sorgente divina della Sapienza e dell'Amore ». 575 In tal modo, ossia mettendo in luce, in progressione crescente, « le imperscrutabili ricchezze di Cristo » (Ef 3,8) nella creazione, il lavoro umano si trasforma in un servizio reso alla grandezza di Dio.
263 Il lavoro rappresenta una dimensione fondamentale dell'esistenza umana come partecipazione non solo all'opera della creazione, ma anche della redenzione. Chi sopporta la penosa fatica del lavoro in unione con Gesù, in un certo senso, coopera con il Figlio di Dio alla Sua opera redentrice e si mostra discepolo di Cristo portando la Croce, ogni giorno, nell'attività che è chiamato a compiere. In questa prospettiva, il lavoro può essere considerato come un mezzo di santificazione e un'animazione delle realtà terrene nello Spirito di Cristo. 576 Così raffigurato il lavoro è espressione della piena umanità dell'uomo, nella sua condizione storica e nella sua orientazione escatologica: la sua azione libera e responsabile ne svela l'intima relazione con il Creatore ed il suo potenziale creativo, mentre ogni giorno combatte lo sfiguramento del peccato, anche guadagnandosi il pane con il sudore della fronte.
c) Il dovere di lavorare
264 La consapevolezza della transitorietà della « scena di questo mondo » (cfr. 1 Cor 7,31) non esonera da alcun impegno storico, tanto meno dal lavoro (cfr. 2 Ts 3,7-15), che è parte integrante della condizione umana, pur non essendo l'unica ragione di vita. Nessun cristiano, per il fatto di appartenere ad una comunità solidale e fraterna, deve sentirsi in diritto di non lavorare e di vivere a spese degli altri (cfr. 2 Ts 3,6-12); tutti, piuttosto, sono esortati dall'Apostolo Paolo a farsi « un punto di onore » nel lavorare con le proprie mani così da « non aver bisogno di nessuno » (1 Ts 4,11-12) e a praticare una solidarietà anche materiale, condividendo i frutti del lavoro con « chi si trova in necessità » (Ef 4,28). San Giacomo difende i diritti conculcati dei lavoratori: « Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida; e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti » (Gc 5,4). I credenti devono vivere il lavoro con lo stile di Cristo e renderlo occasione di testimonianza cristiana « di fronte agli estranei » (1 Ts 4,12).
265 I Padri della Chiesa non considerano mai il lavoro come « opus servile » — tale era ritenuto, invece, nella cultura loro contemporanea -, ma sempre come « opus humanum », e tendono ad onorarne tutte le espressioni. Mediante il lavoro, l'uomo governa con Dio il mondo, insieme a Lui ne è signore, e compie cose buone per sé e per gli altri. L'ozio nuoce all'essere dell'uomo, mentre l'attività giova al suo corpo e al suo spirito. 577 Il cristiano è chiamato a lavorare non solo per procurarsi il pane, ma anche per sollecitudine verso il prossimo più povero, al quale il Signore comanda di dare da mangiare, da bere, da vestire, accoglienza, cura e compagnia (cfr. Mt 25,35-36). 578 Ciascun lavoratore, afferma sant'Ambrogio, è la mano di Cristo che continua a creare e a fare del bene. 579
266 Con il suo lavoro e la sua laboriosità, l'uomo, partecipe dell'arte e della saggezza divina, rende più bello il creato, il cosmo già ordinato dal Padre;  580 suscita quelle energie sociali e comunitarie che alimentano il bene comune, 581 a vantaggio soprattutto dei più bisognosi. Il lavoro umano, finalizzato alla carità, diventa occasione di contemplazione, si trasforma in devota preghiera, in vigile ascesi e in trepida speranza del giorno senza tramonto: « In questa visione superiore, il lavoro, pena ed insieme premio dell'attività umana, comporta un altro rapporto, quello cioè essenzialmente religioso, che è stato felicemente espresso nella formula benedettina: "Ora et labora"! Il fatto religioso conferisce al lavoro umano una spiritualità animatrice e redentrice. Tale parentela tra lavoro e religione riflette l'alleanza misteriosa, ma reale, che intercede tra l'agire umano e quello provvidenziale di Dio ». 582

 
II. IL VALORE PROFETICO
DELLA « RERUM NOVARUM »

267 Il corso della storia è contrassegnato dalle profonde trasformazioni e dalle esaltanti conquiste del lavoro, ma anche dallo sfruttamento di tanti lavoratori e dalle offese alla loro dignità. La rivoluzione industriale lanciò alla Chiesa una grande sfida, alla quale il Magistero sociale rispose con la forza della profezia, affermando principi di validità universale e di perenne attualità, a sostegno dell'uomo che lavora e dei suoi diritti.
Destinataria del messaggio della Chiesa era stata per secoli una società di tipo agricolo, caratterizzata da ritmi regolari e ciclici; ora il Vangelo si doveva annunciare e vivere in un nuovo areopago, nel tumulto degli eventi sociali di una società più dinamica, tenendo conto della complessità dei nuovi fenomeni e delle impensabili trasformazioni rese possibili dalla tecnica. Al centro della sollecitudine pastorale della Chiesa si poneva sempre più urgentemente la questione operaia, ovvero il problema dello sfruttamento dei lavoratori, conseguente alla nuova organizzazione industriale del lavoro, di matrice capitalistica, e il problema, non meno grave, della strumentalizzazione ideologica, socialista e comunista, delle giuste rivendicazioni del mondo del lavoro. All'interno di questo orizzonte storico si collocano le riflessioni e gli ammonimenti dell'enciclica « Rerum novarum » di Leone XIII.
268 La «
Rerum novarum » è innanzi tutto un'accorata difesa dell'inalienabile dignità dei lavoratori, alla quale collega l'importanza del diritto di proprietà, del principio di collaborazione tra le classi, dei diritti dei deboli e dei poveri, degli obblighi dei lavoratori e dei datori di lavoro, del diritto di associazione.
Gli orientamenti ideali espressi nell'enciclica rafforzarono l'impegno di animazione cristiana della vita sociale, che si manifestò nella nascita e nel consolidamento di numerose iniziative di alto profilo civile: unioni e centri di studi sociali, associazioni, società operaie, sindacati, cooperative, banche rurali, assicurazioni, opere di assistenza. Tutto ciò diede un notevole impulso alla legislazione del lavoro per la protezione degli operai, soprattutto dei fanciulli e delle donne; all'istruzione e al miglioramento dei salari e dell'igiene.
269 A partire dalla « Rerum novarum », la Chiesa non ha mai smesso di considerare i problemi del lavoro all'interno di una questione sociale che ha assunto progressivamente dimensioni mondiali. 583 L'enciclica « Laborem exercens » arricchisce la visione personalista del lavoro caratteristica dei precedenti documenti sociali, indicando la necessità di un approfondimento dei significati e dei compiti che il lavoro comporta, in considerazione del fatto che « sorgono sempre nuovi interrogativi e problemi, nascono sempre nuove speranze, ma anche timori e minacce connesse con questa fondamentale dimensione dell'umano esistere, con la quale la vita dell'uomo è costruita ogni giorno, dalla quale essa attinge la propria specifica dignità, ma nella quale è contemporaneamente contenuta la costante misura dell'umana fatica, della sofferenza e anche del danno e dell'ingiustizia che penetrano profondamente la vita sociale, all'interno delle singole Nazioni e sul piano internazionale ». 584 Il lavoro, infatti, « chiave essenziale »  585 di tutta la questione sociale, condiziona lo sviluppo non solo economico, ma anche culturale e morale delle persone, della famiglia, della società e dell'intero genere umano.
  

III. LA DIGNITÀ DEL LAVORO

a) La dimensione soggettiva e oggettiva del lavoro
270 Il lavoro umano ha una duplice dimensione: oggettiva e soggettiva. In senso oggettivo è l'insieme di attività, risorse, strumenti e tecniche di cui l'uomo si serve per produrre, per dominare la terra, secondo le parole del Libro della Genesi. Il lavoro in senso soggettivo è l'agire dell'uomo in quanto essere dinamico, capace di compiere varie azioni che appartengono al processo del lavoro e che corrispondono alla sua vocazione personale: « L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come "immagine di Dio" è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro ». 586
Il lavoro in senso oggettivo costituisce l'aspetto contingente dell'attività dell'uomo, che varia incessantemente nelle sue modalità con il mutare delle condizioni tecniche, culturali, sociali e politiche. In senso soggettivo si configura, invece, come la sua dimensione stabile, perché non dipende da quel che l'uomo realizza concretamente né dal genere di attività che esercita, ma solo ed esclusivamente dalla sua dignità di essere personale. La distinzione è decisiva sia per comprendere qual è il fondamento ultimo del valore e della dignità del lavoro, sia in ordine al problema di un'organizzazione dei sistemi economici e sociali rispettosa dei diritti dell'uomo.
271 La soggettività conferisce al lavoro la sua peculiare dignità, che impedisce di considerarlo come una semplice merce o un elemento impersonale dell'organizzazione produttiva. Il lavoro, indipendentemente dal suo minore o maggiore valore oggettivo, è espressione essenziale della persona, è « actus personae ». Qualsiasi forma di materialismo e di economicismo che tentasse di ridurre il lavoratore a mero strumento di produzione, a semplice forza-lavoro, a valore esclusivamente materiale, finirebbe per snaturare irrimediabilmente l'essenza del lavoro, privandolo della sua finalità più nobile e profondamente umana. La persona è il metro della dignità del lavoro: « Non c'è, infatti, alcun dubbio che il lavoro umano abbia un suo valore etico, il quale senza mezzi termini e direttamente rimane legato al fatto che colui che lo compie è una persona ». 587
La dimensione soggettiva del lavoro deve avere la preminenza su quella oggettiva, perché è quella dell'uomo stesso che compie il lavoro, determinandone la qualità e il valore più alto. Se manca questa consapevolezza oppure non si vuole riconoscere questa verità, il lavoro perde il suo significato più vero e profondo: in questo caso, purtroppo frequente e diffuso, l'attività lavorativa e le stesse tecniche utilizzate diventano più importanti dell'uomo stesso e, da alleate, si trasformano in nemiche della sua dignità.
272 Il lavoro umano non soltanto procede dalla persona, ma è anche essenzialmente ordinato e finalizzato ad essa. Indipendentemente dal suo contenuto oggettivo, il lavoro deve essere orientato verso il soggetto che lo compie, perché lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro, rimane sempre l'uomo. Anche se non può essere ignorata l'importanza della componente oggettiva del lavoro sotto il profilo della sua qualità, tale componente, tuttavia, va subordinata alla realizzazione dell'uomo, e quindi alla dimensione soggettiva, grazie alla quale è possibile affermare che il lavoro è per l'uomo e non l'uomo per il lavoro e che « lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo — fosse pure il lavoro più "di servizio", più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante — rimane sempre l'uomo stesso ». 588
273 Il lavoro umano possiede anche un'intrinseca dimensione sociale. Il lavoro di un uomo, infatti, si intreccia naturalmente con quello di altri uomini: « Oggi più che mai lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri: è un fare qualcosa per qualcuno ». 589 Anche i frutti del lavoro offrono occasione di scambi, di relazioni e d'incontro. Il lavoro, pertanto, non si può valutare giustamente se non si tiene conto della sua natura sociale: « giacché se non sussiste un corpo veramente sociale e organico, se un ordine sociale e giuridico non tutela l'esercizio del lavoro, se le varie parti, le une dipendenti dalle altre, non si collegano fra di loro e mutuamente non si compiono, se, quel che è di più, non si associano, quasi a formare una cosa sola, l'intelligenza, il capitale, il lavoro, l'umana attività non può produrre i suoi frutti, e quindi non si potrà valutare giustamente né retribuire adeguatamente, dove non si tenga conto della sua natura sociale e individuale ». 590
274 Il lavoro è anche « un obbligo cioè un dovere dell'uomo ». 591 L'uomo deve lavorare sia perché il Creatore gliel'ha ordinato, sia per rispondere alle esigenze di mantenimento e sviluppo della sua stessa umanità. Il lavoro si profila come obbligo morale in relazione al prossimo, che è in primo luogo la propria famiglia, ma anche la società, alla quale si appartiene, la Nazione, della quale si è figli o figlie, l'intera famiglia umana, di cui si è membri: siamo eredi del lavoro di generazioni e insieme artefici del futuro di tutti gli uomini che vivranno dopo di noi.
275 Il lavoro conferma la profonda identità dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio: « Diventando — mediante il suo lavoro — sempre di più padrone della terra, e confermando — ancora mediante il lavoro — il suo dominio sul mondo visibile, l'uomo, in ogni caso ed in ogni fase di questo processo, rimane sulla linea di quell'originaria disposizione del Creatore, la quale resta necessariamente e indissolubilmente legata al fatto che l'uomo è stato creato, come maschio e femmina, "a immagine di Dio" ». 592 Ciò qualifica l'attività dell'uomo nell'universo: egli non ne è il padrone, ma il fiduciario, chiamato a riflettere nel proprio operare l'impronta di Colui del quale egli è immagine.
b) I rapporti tra lavoro e capitale
276 Il lavoro, per il suo carattere soggettivo o personale, è superiore ad ogni altro fattore di produzione: questo principio vale, in particolare, rispetto al capitale. Oggi, il termine « capitale » ha diverse accezioni: talvolta indica i mezzi materiali di produzione nell'impresa, talvolta le risorse finanziarie impegnate in un'iniziativa produttiva o anche in operazioni nei mercati borsistici. Si parla anche, in modo non del tutto appropriato, di « capitale umano », per significare le risorse umane, cioè gli uomini stessi, in quanto capaci di sforzo lavorativo, di conoscenza, di creatività, di intuizione delle esigenze dei propri simili, di intesa reciproca in quanto membri di un'organizzazione. Ci si riferisce al « capitale sociale » quando si vuole indicare la capacità di collaborazione di una collettività, frutto dell'investimento in legami fiduciari reciproci. Questa molteplicità di significati offre spunti ulteriori per riflettere su cosa possa significare, oggi, il rapporto tra lavoro e capitale.
277 La dottrina sociale ha affrontato i rapporti tra lavoro e capitale, mettendo in evidenza sia la priorità del primo sul secondo, sia la loro complementarità.
Il lavoro ha una priorità intrinseca rispetto al capitale: « Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre una causa efficiente primaria, mentre il "capitale" essendo l'insieme dei mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. Questo principio è verità evidente che risulta da tutta l'esperienza storica dell'uomo ». 593 Esso « appartiene al patrimonio stabile della dottrina della Chiesa ». 594
Tra lavoro e capitale ci deve essere complementarità: è la stessa logica intrinseca al processo produttivo a dimostrare la necessità della loro reciproca compenetrazione e l'urgenza di dare vita a sistemi economici nei quali l'antinomia tra lavoro e capitale venga superata. 595 In tempi in cui, all'interno di un sistema economico meno complesso, il « capitale » e il « lavoro salariato » identificavano con una certa precisione non solo due fattori produttivi, ma anche e soprattutto due concrete classi sociali, la Chiesa affermava che entrambi sono in sé legittimi:  596 « né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale ». 597 Si tratta di una verità che vale anche per il presente, perché « è del tutto falso ascrivere o al solo capitale o al solo lavoro ciò che si ottiene con l'opera unita dell'uno e dell'altro; ed è affatto ingiusto che l'uno arroghi a sé quel che si fa, negando l'efficacia dell'altro ». 598
278 Nella considerazione dei rapporti tra lavoro e capitale, soprattutto di fronte alle imponenti trasformazioni dei nostri tempi, si deve ritenere che la « principale risorsa » e il « fattore decisivo »  599 in mano all'uomo è l'uomo stesso, e che « l'integrale sviluppo della persona umana nel lavoro non contraddice, ma piuttosto favorisce la maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso ». 600 Il mondo del lavoro, infatti, sta scoprendo sempre di più che il valore del « capitale umano » trova espressione nelle conoscenze dei lavoratori, nella loro disponibilità a tessere relazioni, nella creatività, nell'imprenditorialità di se stessi, nella capacità di affrontare consapevolmente il nuovo, di lavorare insieme e di saper perseguire obiettivi comuni. Si tratta di qualità prettamente personali, che appartengono al soggetto del lavoro più che agli aspetti oggettivi, tecnici, operativi del lavoro stesso. Tutto questo comporta una prospettiva nuova nei rapporti tra lavoro e capitale: si può affermare che, contrariamente a quanto accadeva nella vecchia organizzazione del lavoro dove il soggetto finiva per venire appiattito sull'oggetto, sulla macchina, al giorno d'oggi la dimensione soggettiva del lavoro tende ad essere più decisiva e importante di quella oggettiva.
279 Il rapporto tra lavoro e capitale presenta spesso i tratti della conflittualità, che assume caratteri nuovi con il mutare dei contesti sociali ed economici. Ieri, il conflitto tra capitale e lavoro era originato, soprattutto, « dal fatto che i lavoratori mettevano le loro forze a disposizione del gruppo degli imprenditori, e che questo, guidato dal principio del massimo profitto della produzione, cercava di stabilire il salario più basso possibile per il lavoro eseguito dagli operai ». 601 Attualmente, il conflitto presenta aspetti nuovi e, forse, più preoccupanti: i progressi scientifici e tecnologici e la mondializzazione dei mercati, di per sé fonte di sviluppo e di progresso, espongono i lavoratori al rischio di essere sfruttati dagli ingranaggi dell'economia e dalla ricerca sfrenata di produttività. 602
280 Non si deve erroneamente ritenere che il processo di superamento della dipendenza del lavoro dalla materia sia capace di per sé di superare l'alienazione sul lavoro e del lavoro. Il riferimento non è solo alle tante sacche di non lavoro, di lavoro nero, di lavoro minorile, di lavoro sottopagato, di lavoro sfruttato, che ancora persistono, ma anche alle nuove forme, molto più sottili, di sfruttamento dei nuovi lavori, al super-lavoro, al lavoro- carriera che talvolta ruba spazio a dimensioni altrettanto umane e necessarie per la persona, all'eccessiva flessibilità del lavoro che rende precaria e talvolta impossibile la vita familiare, alla modularità lavorativa che rischia di avere pesanti ripercussioni sulla percezione unitaria della propria esistenza e sulla stabilità delle relazioni familiari. Se l'uomo è alienato quando inverte mezzi e fini, anche nel nuovo contesto di lavoro immateriale, leggero, qualitativo più che quantitativo, si possono dare elementi di alienazione « a seconda che cresca la ... partecipazione [dell'uomo] in un'autentica comunità solidale, oppure cresca il suo isolamento in un complesso di relazioni di esasperata competitività e di reciproca estraniazione ». 603
c) Il lavoro, titolo di partecipazione
281 Il rapporto tra lavoro e capitale trova espressione anche attraverso la partecipazione dei lavoratori alla proprietà, alla sua gestione, ai suoi frutti. È questa un'esigenza troppo spesso trascurata, che occorre invece valorizzare al meglio: « ognuno, in base al proprio lavoro, abbia il pieno titolo di considerarsi al tempo stesso il "comproprietario" del grande banco di lavoro, al quale s'impegna insieme con tutti. E una via verso tale traguardo potrebbe essere quella di associare, per quanto è possibile, il lavoro alla proprietà del capitale e di dar vita a una ricca gamma di corpi intermedi a finalità economiche, sociali, culturali: corpi che godano di una effettiva autonomia nei confronti dei pubblici poteri, che perseguano i loro specifici obiettivi in rapporti di leale collaborazione vicendevole, subordinatamente alle esigenze del bene comune, e che presentino forma e sostanza di una viva comunità, cioè che in essi i rispettivi membri siano considerati e trattati come persone e stimolati a prendere parte attiva alla loro vita ». 604 La nuova organizzazione del lavoro, in cui il sapere conta di più della sola proprietà dei mezzi di produzione, attesta in maniera concreta che il lavoro, a motivo del suo carattere soggettivo, è titolo di partecipazione: è indispensabile ancorarsi a questa consapevolezza per valutare la giusta posizione del lavoro nel processo produttivo e per trovare modalità di partecipazione consone alla soggettività del lavoro nelle peculiarità delle varie situazioni concrete. 605
d) Rapporto tra lavoro e proprietà privata
282 Il Magistero sociale della Chiesa articola il rapporto tra lavoro e capitale anche rispetto all'istituto della proprietà privata, al relativo diritto e all'uso di questa. Il diritto alla proprietà privata è subordinato al principio della destinazione universale dei beni e non deve costituire motivo di impedimento al lavoro e allo sviluppo altrui. La proprietà, che si acquista anzitutto mediante il lavoro, deve servire al lavoro. Ciò vale in modo particolare per il possesso dei mezzi di produzione; ma tale principio concerne anche i beni propri del mondo finanziario, tecnico, intellettuale, personale.
I mezzi di produzione « non possono essere posseduti contro il lavoro, non possono essere neppure posseduti per possedere ». 606 Il loro possesso diventa illegittimo quando la proprietà « non viene valorizzata o serve ad impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro ». 607
283 La proprietà privata e pubblica nonché i vari meccanismi del sistema economico devono essere predisposti per un'economia a servizio dell'uomo, in modo che contribuiscano ad attuare il principio della destinazione universale dei beni. In tale prospettiva diventa rilevante la questione relativa alla proprietà e all'uso delle nuove tecnologie e conoscenze, che costituiscono, nel nostro tempo, un'altra forma particolare di proprietà, di importanza non inferiore a quella della terra e del capitale. 608 Tali risorse, come tutti gli altri beni, hanno una destinazione universale; anch'esse vanno inserite in un contesto di norme giuridiche e di regole sociali che ne garantiscano un uso ispirato a criteri di giustizia, di equità e di rispetto dei diritti dell'uomo. I nuovi saperi e le tecnologie, grazie alle loro enormi potenzialità, possono dare un contributo decisivo alla promozione del progresso sociale, ma rischiano di divenire fonte di disoccupazione e di allargare il distacco tra zone sviluppate e zone di sottosviluppo, se rimangono accentrati nei Paesi più ricchi o nelle mani di ristretti gruppi di potere.
e) Il riposo festivo
284 Il riposo festivo è un diritto. 609 Dio « cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro » (Gen 2,2): anche gli uomini, creati a Sua immagine, devono godere di sufficiente riposo e tempo libero che permetta loro di curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa. 610 A ciò contribuisce l'istituzione del giorno del Signore. 611 I credenti, durante la domenica e negli altri giorni festivi di precetto, devono astenersi da « lavori o attività che impediscano il culto dovuto a Dio, la letizia propria del giorno del Signore, la pratica delle opere di misericordia e la necessaria distensione della mente e del corpo ». 612 Necessità familiari o esigenze di utilità sociale possono legittimamente esentare dal riposo domenicale, ma non devono creare abitudini pregiudizievoli per la religione, la vita di famiglia e la salute.
285 La domenica è un giorno da santificare con un'operosa carità, riservando attenzioni alla famiglia e ai parenti, come anche ai malati, agli infermi, agli anziani; né si devono dimenticare quei « fratelli che hanno i medesimi bisogni e i medesimi diritti e non possono riposarsi a causa della povertà e della miseria »;  613 inoltre è un tempo propizio per la riflessione, il silenzio, lo studio, che favoriscano la crescita della vita interiore e cristiana. I credenti dovranno distinguersi, anche in questo giorno, per la loro moderazione, evitando tutti gli eccessi e le violenze che spesso caratterizzano i divertimenti di massa. 614 Il giorno del Signore deve sempre essere vissuto come il giorno della liberazione, che fa partecipare « all'adunanza festosa e all'assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli » (Eb 12,22-23) e anticipa la celebrazione della Pasqua definitiva nella gloria del cielo. 615
286 Le autorità pubbliche hanno il dovere di vigilare affinché ai cittadini non sia sottratto, per motivi di produttività economica, un tempo destinato al riposo e al culto divino. I datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti. 616 I cristiani si devono adoperare, nel rispetto della libertà religiosa e del bene comune di tutti, affinché le leggi riconoscano le domeniche e le altre solennità liturgiche come giorni festivi: « Spetta a loro offrire a tutti un esempio pubblico di preghiera, di rispetto e di gioia e difendere le loro tradizioni come un prezioso contributo alla vita spirituale della società umana ». 617 Ogni cristiano dovrà « evitare di imporre, senza necessità, ad altri ciò che impedirebbe loro di osservare il giorno del Signore ». 618

IV. IL DIRITTO AL LAVORO

a) Il lavoro è necessario
287 Il lavoro è un diritto fondamentale ed è un bene per l'uomo:  619 un bene utile, degno di lui perché adatto appunto ad esprimere e ad accrescere la dignità umana. La Chiesa insegna il valore del lavoro non solo perché esso è sempre personale, ma anche per il carattere di necessità. 620 Il lavoro è necessario per formare e mantenere una famiglia, 621 per avere diritto alla proprietà, 622 per contribuire al bene comune della famiglia umana. 623 La considerazione delle implicazioni morali che la questione del lavoro comporta nella vita sociale induce la Chiesa ad additare la disoccupazione come una « vera calamità sociale » , 624 soprattutto in relazione alle giovani generazioni.
288 Il lavoro è un bene di tutti, che deve essere disponibile per tutti coloro che ne sono capaci. La « piena occupazione » è, pertanto, un obiettivo doveroso per ogni ordinamento economico orientato alla giustizia e al bene comune. Una società in cui il diritto al lavoro sia vanificato o sistematicamente negato e in cui le misure di politica economica non consentano ai lavoratori di raggiungere livelli soddisfacenti di occupazione, « non può conseguire né la sua legittimazione etica né la pace sociale ». 625 Un ruolo importante e, dunque, una responsabilità specifica e grave appartengono, in questo ambito, al « datore di lavoro indiretto », 626 ossia a quei soggetti — persone o istituzioni di vario tipo — che sono in grado di orientare, a livello nazionale o internazionale, la politica del lavoro e dell'economia.
289 La capacità progettuale di una società orientata verso il bene comune e proiettata verso il futuro si misura anche e soprattutto sulla base delle prospettive di lavoro che essa è in grado di offrire. L'alto tasso di disoccupazione, la presenza di sistemi di istruzione obsoleti e di perduranti difficoltà nell'accesso alla formazione e al mercato del lavoro costituiscono, per molti giovani soprattutto, un forte ostacolo sulla strada della realizzazione umana e professionale. Chi è disoccupato o sottoccupato, infatti, subisce le conseguenze profondamente negative che tale condizione determina nella personalità e rischia di essere posto ai margini della società, di diventare una vittima dell'esclusione sociale. 627 È questo un dramma che colpisce, in genere, oltre ai giovani, le donne, i lavoratori meno specializzati, i disabili, gli immigrati, gli ex-carcerati, gli analfabeti, tutti i soggetti che trovano maggiori difficoltà nella ricerca di una collocazione nel mondo del lavoro.
290 Il mantenimento dell'occupazione dipende sempre di più dalle capacità professionali. 628 Il sistema di istruzione e di educazione non deve trascurare la formazione umana e tecnica, necessaria per svolgere con profitto le mansioni richieste. La sempre più diffusa necessità di cambiare varie volte impiego, nell'arco della vita, impone al sistema educativo di favorire la disponibilità delle persone ad un aggiornamento e riqualificazione permanenti. I giovani devono apprendere ad agire autonomamente, diventare capaci di assumersi responsabilmente il compito di affrontare con competenze adeguate i rischi legati ad un contesto economico mobile e spesso imprevedibile nei suoi scenari evolutivi. 629 È altrettanto indispensabile l'offerta di opportune occasioni formative agli adulti in cerca di riqualificazione e ai disoccupati. Più in generale, il percorso lavorativo delle persone deve trovare nuove forme concrete di sostegno, a cominciare proprio dal sistema formativo, così che sia meno difficile attraversare fasi di cambiamento, di incertezza, di precarietà.
b) Il ruolo dello Stato e della società civile nella promozione del diritto al lavoro
291 I problemi dell'occupazione chiamano in causa le responsabilità dello Stato, al quale compete il dovere di promuovere politiche attive del lavoro, cioè tali da favorire la creazione di opportunità lavorative all'interno del territorio nazionale, incentivando a questo scopo il mondo produttivo. Il dovere dello Stato non consiste tanto nell'assicurare direttamente il diritto al lavoro di tutti i cittadini, irreggimentando l'intera vita economica e mortificando la libera iniziativa dei singoli, quanto piuttosto nell'« assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi ». 630
292 Di fronte alle dimensioni planetarie rapidamente assunte dalle relazioni economico-finanziarie e dal mercato del lavoro, si deve promuovere un'efficace collaborazione internazionale tra gli Stati, mediante trattati, accordi e piani di azione comuni che salvaguardino il diritto al lavoro anche nelle fasi più critiche del ciclo economico, a livello nazionale ed internazionale. Bisogna avere consapevolezza del fatto che il lavoro umano è un diritto da cui dipendono direttamente la promozione della giustizia sociale e della pace civile. Importanti compiti in questa direzione spettano alle Organizzazioni internazionali e a quelle sindacali: collegandosi nelle forme più opportune, esse si devono impegnare, prima di tutto, a tessere « una trama sempre più fitta di disposizioni giuridiche che proteggono il lavoro degli uomini, delle donne, dei giovani, e gli assicurano una conveniente retribuzione ». 631
293 Per la promozione del diritto al lavoro è importante, oggi come ai tempi della « Rerum novarum », che vi sia un « libero processo di auto-organizzazione della società ». 632 Significative testimonianze ed esempi di auto- organizzazione si possono rintracciare nelle numerose iniziative, imprenditoriali e sociali, caratterizzate da forme di partecipazione, di cooperazione e di autogestione, che rivelano la fusione di energie solidali. Esse si offrono al mercato come un variegato settore di attività lavorative che si distinguono per un'attenzione particolare nei confronti della componente relazionale dei beni prodotti e dei servizi erogati in molteplici ambiti: istruzione, tutela della salute, servizi sociali di base, cultura. Le iniziative del cosiddetto « terzo settore » costituiscono un'opportunità sempre più rilevante di sviluppo del lavoro e dell'economia.
c) La famiglia e il diritto al lavoro
294 Il lavoro è « il fondamento su cui si forma la vita familiare, la quale è un diritto naturale ed una vocazione dell'uomo »:  633 esso assicura i mezzi di sussistenza e garantisce il processo educativo dei figli. 634 Famiglia e lavoro, così strettamente interdipendenti nell'esperienza della grande maggioranza delle persone, meritano finalmente una considerazione più adeguata alla realtà, un'attenzione che li comprenda insieme, senza i limiti di una concezione privatistica della famiglia ed economicistica del lavoro. A questo riguardo, è necessario che le imprese, le organizzazioni professionali, i sindacati e lo Stato si rendano promotori di politiche del lavoro che non penalizzino, ma favoriscano il nucleo familiare dal punto di vista occupazionale. La vita di famiglia e il lavoro, infatti, si condizionano reciprocamente in vario modo. Il pendolarismo, il doppio lavoro e la fatica fisica e psicologica riducono il tempo dedicato alla vita familiare;  635 le situazioni di disoccupazione hanno ripercussioni materiali e spirituali sulle famiglie, così come le tensioni e le crisi familiari influiscono negativamente sugli atteggiamenti e sul rendimento in campo lavorativo.
d) Le donne e il diritto al lavoro
295 Il genio femminile è necessario in tutte le espressioni della vita sociale, perciò va garantita la presenza delle donne anche in ambito lavorativo. Il primo indispensabile passo in tale direzione è la concreta possibilità di accesso alla formazione professionale. Il riconoscimento e la tutela dei diritti delle donne nel contesto lavorativo dipendono, in generale, dall'organizzazione del lavoro, che deve tener conto della dignità e della vocazione della donna, la cui « vera promozione... esige che il lavoro sia strutturato in tal modo che essa non debba pagare la sua promozione con l'abbandono della famiglia, nella quale ha come madre un ruolo insostituibile » 636. È una questione su cui si misurano la qualità della società e l'effettiva tutela del diritto al lavoro delle donne.
La persistenza di molte forme di discriminazione offensive della dignità e vocazione della donna nella sfera del lavoro è dovuta ad una lunga serie di condizionamenti penalizzanti per la donna, che è stata ed è ancora « travisata nelle sue prerogative, non di rado emarginata e persino ridotta in schiavitù ». 637 Queste difficoltà, purtroppo, non sono superate, come dimostrano ovunque le diverse situazioni che avviliscono le donne, assoggettandole anche a forme di vero e proprio sfruttamento. L'urgenza di un effettivo riconoscimento dei diritti delle donne nel lavoro si avverte specialmente sotto l'aspetto retributivo, assicurativo e previdenziale. 638
e) Lavoro minorile
296 Il lavoro minorile, nelle sue forme intollerabili, costituisce un tipo di violenza meno appariscente di altri, ma non per questo meno terribile. 639 Una violenza che, al di là di tutte le implicazioni politiche, economiche e giuridiche, resta essenzialmente un problema morale. Questo l'ammonimento di Leone XIII: « Quanto ai fanciulli si badi a non ammetterli nelle officine prima che l'età ne abbia sufficientemente sviluppate le forze fisiche, intellettuali e morali. Le forze, che nella puerizia sbocciano simili all'erba in fiore, un movimento precoce le sciupa, e allora si rende impossibile la stessa educazione dei fanciulli ». 640 La piaga del lavoro minorile, ad oltre cento anni di distanza, non è stata ancora debellata.
Pur nella consapevolezza che, almeno per ora, in certi Paesi il contributo portato dal lavoro dei bambini al bilancio familiare e alle economie nazionali è irrinunciabile e che, comunque, alcune forme di lavoro, svolte a tempo parziale, possono essere fruttuose per i bambini stessi, la dottrina sociale denuncia l'aumento dello « sfruttamento lavorativo dei minori in condizioni di vera schiavitù ». 641 Tale sfruttamento costituisce una grave violazione della dignità umana di cui ogni individuo, « per piccolo o apparentemente insignificante che sia in termini di utilità », 642 è portatore.
f) L'emigrazione e il lavoro
297 L'immigrazione può essere una risorsa, anziché un ostacolo per lo sviluppo. Nel mondo attuale, in cui si aggrava lo squilibrio fra Paesi ricchi e Paesi poveri e in cui lo sviluppo delle comunicazioni riduce rapidamente le distanze, crescono le migrazioni di persone in cerca di migliori condizioni di vita, provenienti dalle zone meno favorite della terra: il loro arrivo nei Paesi sviluppati è spesso percepito come una minaccia per gli elevati livelli di benessere raggiunti grazie a decenni di crescita economica. Gli immigrati, tuttavia, nella maggioranza dei casi, rispondono a una domanda di lavoro che altrimenti resterebbe insoddisfatta, in settori e in territori nei quali la manodopera locale è insufficiente o non disposta a fornire il proprio contributo lavorativo.
298 Le istituzioni dei Paesi ospiti devono vigilare accuratamente affinché non si diffonda la tentazione di sfruttare la manodopera straniera, privandola dei diritti garantiti ai lavoratori nazionali, che devono essere assicurati a tutti senza discriminazioni. La regolamentazione dei flussi migratori secondo criteri di equità e di equilibrio 643 è una delle condizioni indispensabili per ottenere che gli inserimenti avvengano con le garanzie richieste dalla dignità della persona umana. Gli immigrati devono essere accolti in quanto persone e aiutati, insieme alle loro famiglie, ad integrarsi nella vita sociale. 644 In tale prospettiva va rispettato e promosso il diritto al ricongiungimento familiare. 645 Nello stesso tempo, per quanto è possibile, vanno favorite tutte quelle condizioni che consentono accresciute possibilità di lavoro nelle proprie zone di origine. 646
g) Il mondo agricolo e il diritto al lavoro
299 Una particolare attenzione merita il lavoro agricolo, per il ruolo sociale, culturale ed economico che esso mantiene nei sistemi economici di molti Paesi, per i numerosi problemi che deve affrontare nel contesto di un'economia sempre più globalizzata, per la sua importanza crescente nella salvaguardia dell'ambiente naturale: « sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura — ed agli uomini dei campi — il giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale ». 647
I profondi e radicali mutamenti in atto a livello sociale e culturale, anche nell'agricoltura e nel più vasto mondo rurale, ripropongono con urgenza un approfondimento sul significato del lavoro agricolo nelle sue molteplici dimensioni. Si tratta di una sfida di notevole importanza, che va affrontata con politiche agricole e ambientali capaci di superare una certa concezione residuale e assistenziale e di elaborare nuove prospettive per un'agricoltura moderna, in grado di svolgere un ruolo significativo nella vita sociale ed economica.
300 In alcuni Paesi è indispensabile una ridistribuzione della terra, nell'ambito di efficaci politiche di riforma agraria, al fine di superare l'impedimento che il latifondo improduttivo, condannato dalla dottrina sociale della Chiesa, 648 frappone ad un autentico sviluppo economico: « I Paesi in via di sviluppo possono contrastare efficacemente l'attuale processo di concentrazione della proprietà della terra se affrontano alcune situazioni che si connotano come veri e propri nodi strutturali. Tali sono le carenze e i ritardi a livello legislativo in tema di riconoscimento del titolo di proprietà della terra e in relazione al mercato del credito; il disinteresse per la ricerca e la formazione in agricoltura; la negligenza a proposito di servizi sociali e di infrastrutture nelle aree rurali ». 649 La riforma agraria diventa pertanto, oltre che una necessità politica, un obbligo morale, dato che la sua mancata attuazione ostacola in questi Paesi gli effetti benefici derivanti dall'apertura dei mercati e, in genere, da quelle proficue occasioni di crescita che la globalizzazione in atto può offrire. 650

V. DIRITTI DEI LAVORATORI

a) Dignità dei lavoratori e rispetto dei loro diritti
301 I diritti dei lavoratori, come tutti gli altri diritti, si basano sulla natura della persona umana e sulla sua trascendente dignità. Il Magistero sociale della Chiesa ha ritenuto di elencarne alcuni, auspicandone il riconoscimento negli ordinamenti giuridici: il diritto ad una giusta remunerazione;  651 il diritto al riposo;  652 il diritto « ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non ledano la loro integrità morale »;  653 il diritto che venga salvaguardata la propria personalità sul luogo di lavoro, « senza essere violati in alcun modo nella propria coscienza o nella propria dignità »;  654 il diritto a convenienti sovvenzioni indispensabili per la sussistenza dei lavoratori disoccupati e delle loro famiglie;  655 il diritto alla pensione nonché all'assicurazione per la vecchiaia, la malattia e in caso di incidenti collegati alla prestazione lavorativa;  656 il diritto a provvedimenti sociali collegati alla maternità;  657 il diritto di riunirsi e di associarsi. 658 Tali diritti vengono spesso offesi, come confermano i tristi fenomeni del lavoro sottopagato, privo di tutela o non rappresentato in maniera adeguata. Spesso accade che le condizioni di lavoro per uomini, donne e bambini, specie nei Paesi in via di sviluppo, siano talmente inumane da offendere la loro dignità e nuocere alla loro salute.
b) Il diritto all'equa remunerazione e distribuzione del reddito
302 La remunerazione è lo strumento più importante per realizzare la giustizia nei rapporti di lavoro. 659 Il « giusto salario è il frutto legittimo del lavoro »;  660 commette grave ingiustizia chi lo rifiuta o non lo dà a tempo debito e in equa proporzione al lavoro svolto (cfr. Lv 19,13; Dt 24,14-15; Gc 5,4). Il salario è lo strumento che permette al lavoratore di accedere ai beni della terra: « il lavoro va ricompensato in misura tale da garantire all'uomo la possibilità di disporre dignitosamente la vita materiale, sociale, culturale e spirituale sua e dei suoi, in relazione ai compiti e al rendimento di ognuno, alle condizioni dell'azienda e al bene comune ». 661 Il semplice accordo tra lavoratore e datore di lavoro circa l'entità della remunerazione non basta per qualificare « giusta » la remunerazione concordata, perché essa « non deve essere inferiore al sostentamento » 662 del lavoratore: la giustizia naturale è anteriore e superiore alla libertà del contratto.
303 Il benessere economico di un Paese non si misura esclusivamente sulla quantità di beni prodotti, ma anche tenendo conto del modo in cui essi vengono prodotti e del grado di equità nella distribuzione del reddito, che a tutti dovrebbe consentire di avere a disposizione ciò che serve allo sviluppo e al perfezionamento della propria persona. Un'equa distribuzione del reddito va perseguita sulla base di criteri non solo di giustizia commutativa, ma anche di giustizia sociale, considerando cioè, oltre al valore oggettivo delle prestazioni lavorative, la dignità umana dei soggetti che le compiono. Un benessere economico autentico si persegue anche attraverso adeguate politiche sociali di ridistribuzione del reddito che, tenendo conto delle condizioni generali, considerino opportunamente i meriti e i bisogni di ogni cittadino.
c) Il diritto di sciopero
304 La dottrina sociale riconosce la legittimità dello sciopero « quando appare lo strumento inevitabile, o quanto meno necessario, in vista di un vantaggio proporzionato », 663 dopo che si sono rivelate inefficaci tutte le altre modalità di superamento dei conflitti. 664 Lo sciopero, una delle conquiste più travagliate dell'associazionismo sindacale, può essere definito come il rifiuto collettivo e concertato, da parte dei lavoratori, di svolgere le loro prestazioni, allo scopo di ottenere, per mezzo della pressione così esercitata sui datori di lavoro, sullo Stato e sull'opinione pubblica, migliori condizioni di lavoro e della loro situazione sociale. Anche lo sciopero, per quanto si profili « come... una specie di ultimatum », 665 deve essere sempre un metodo pacifico di rivendicazione e di lotta per i propri diritti; esso diventa « moralmente inaccettabile allorché è accompagnato da violenze oppure gli si assegnano obiettivi non direttamente connessi con le condizioni di lavoro o in contrasto con il bene comune ». 666

  
VI. SOLIDARIETÀ TRA I LAVORATORI

a) L'importanza dei sindacati
305 Il Magistero riconosce il ruolo fondamentale svolto dai sindacati dei lavoratori, la cui ragion d'essere consiste nel diritto dei lavoratori a formare associazioni o unioni per difendere gli interessi vitali degli uomini impiegati nei vari lavori. I sindacati « sono cresciuti sulla base della lotta dei lavoratori, del mondo del lavoro e, prima di tutto, dei lavoratori industriali, per la tutela dei loro giusti diritti nei confronti degli imprenditori e dei proprietari dei mezzi di produzione ». 667 Le organizzazioni sindacali, perseguendo il loro fine specifico al servizio del bene comune, sono un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà e quindi un elemento indispensabile della vita sociale. Il riconoscimento dei diritti del lavoro costituisce da sempre un problema di difficile soluzione, perché si attua all'interno di processi storici e istituzionali complessi, e ancora oggi si può dire incompiuto. Ciò rende più che mai attuale e necessario l'esercizio di un'autentica solidarietà tra i lavoratori.
306 La dottrina sociale insegna che i rapporti all'interno del mondo del lavoro vanno improntati alla collaborazione: l'odio e la lotta per eliminare l'altro costituiscono metodi del tutto inaccettabili, anche perché, in ogni sistema sociale, sono indispensabili al processo di produzione tanto il lavoro quanto il capitale. Alla luce di questa concezione, la dottrina sociale « non ritiene che i sindacati costituiscano solamente il riflesso della struttura "di classe" della società e che siano l'esponente della lotta di classe, che inevitabilmente governa la vita sociale ». 668 I sindacati sono propriamente i promotori della lotta per la giustizia sociale, per i diritti degli uomini del lavoro, nelle loro specifiche professioni: « Questa "lotta" deve essere vista come un normale adoperarsi "per" il giusto bene; [...] non è una lotta "contro" gli altri ». 669 Il sindacato, essendo anzitutto strumento di solidarietà e di giustizia, non può abusare degli strumenti di lotta; in ragione della sua vocazione, deve vincere le tentazioni del corporativismo, sapersi autoregolamentare e valutare le conseguenze delle proprie scelte rispetto all'orizzonte del bene comune. 670
307 Al sindacato, oltre alle funzioni difensive e rivendicative, competono sia una rappresentanza finalizzata ad « organizzare nel giusto ordine la vita economica », 671 sia l'educazione della coscienza sociale dei lavoratori, affinché essi si sentano parte attiva, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, in tutta l'opera dello sviluppo economico e sociale e della costruzione del bene comune universale. Il sindacato e le altre forme di associazionismo dei lavoratori devono assumersi una funzione di collaborazione con gli altri soggetti sociali ed interessarsi alla gestione della cosa pubblica. Le organizzazioni sindacali hanno il dovere di influenzare il potere politico, così da sensibilizzarlo debitamente ai problemi del lavoro e da impegnarlo a favorire la realizzazione dei diritti dei lavoratori. I sindacati, tuttavia, non hanno il carattere di « partiti politici » che lottano per il potere, e non devono neppure essere sottoposti alle decisioni dei partiti politici o avere con essi dei legami troppo stretti: « in una tale situazione essi perdono facilmente il contatto con ciò che è il loro compito specifico, che è quello di assicurare i giusti diritti degli uomini del lavoro nel quadro del bene comune dell'intera società, e diventano, invece, uno strumento per altri scopi ». 672
b) Nuove forme di solidarietà
308 Il contesto socio-economico odierno, caratterizzato da processi di globalizzazione economico-finanziaria sempre più rapidi, spinge i sindacati a rinnovarsi. Oggi i sindacati sono chiamati ad agire in forme nuove, 673 ampliando il raggio della propria azione di solidarietà in modo che siano tutelati, oltre alle categorie lavorative tradizionali, i lavoratori con contratti atipici o a tempo determinato; i lavoratori il cui impiego è messo in pericolo dalle fusioni di imprese che sempre più frequentemente avvengono, anche a livello internazionale; coloro che non hanno un'occupazione, gli immigrati, i lavoratori stagionali, coloro che per mancanza di aggiornamento professionale sono stati espulsi dal mercato del lavoro e non vi possono rientrare senza adeguati corsi di riqualificazione.
Di fronte ai cambiamenti intervenuti nel mondo del lavoro, la solidarietà potrà essere recuperata e forse anche meglio fondata rispetto al passato se si opera per una riscoperta del valore soggettivo del lavoro: « bisogna continuare a interrogarsi circa il soggetto del lavoro e le condizioni in cui egli vive ». Per questo, « sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro ». 674
309 Perseguendo « nuove forme di solidarietà », 675 le associazioni dei lavoratori devono orientarsi verso l'assunzione di maggiori responsabilità, non soltanto in relazione ai tradizionali meccanismi della ridistribuzione, ma anche nei confronti della produzione della ricchezza e della creazione di condizioni sociali, politiche e culturali che consentano a tutti coloro che possono e desiderano lavorare di esercitare il loro diritto al lavoro, nel pieno rispetto della loro dignità di lavoratori. Il superamento graduale del modello organizzativo basato sul lavoro salariato nella grande impresa rende opportuno, inoltre, un aggiornamento delle norme e dei sistemi di sicurezza sociale, mediante i quali i lavoratori sono stati finora tutelati, fatti salvi i loro fondamentali diritti.

VII. LE « RES NOVAE » DEL MONDO DEL LAVORO

a) Una fase di transizione epocale
310 Uno degli stimoli più significativi all'attuale cambiamento dell'organizzazione del lavoro è dato dal fenomeno della globalizzazione, che consente di sperimentare nuove forme di produzione, con la dislocazione degli impianti in aree diverse da quelle in cui vengono assunte le decisioni strategiche e lontane dai mercati di consumo. Due sono i fattori che danno impulso a questo fenomeno: la straordinaria velocità di comunicazione senza limiti di spazio e di tempo e la relativa facilità di trasportare merci e persone da una parte all'altra del globo. Ciò comporta una conseguenza fondamentale sui processi produttivi: la proprietà è sempre più lontana, spesso indifferente agli effetti sociali delle scelte che compie. D'altro canto, se è vero che la globalizzazione, a priori, non è buona o cattiva in sé, ma dipende dall'uso che l'uomo ne fa, 676 si deve affermare che è necessaria una globalizzazione delle tutele, dei diritti minimi essenziali, dell'equità.
311 Una delle caratteristiche più rilevanti della nuova organizzazione del lavoro è la frammentazione fisica del ciclo produttivo, promossa per conseguire una maggiore efficienza e maggiori profitti. In questa prospettiva, le tradizionali coordinate spazio-tempo entro le quali si configurava il ciclo produttivo subiscono una trasformazione senza precedenti, che determina un cambiamento nella struttura stessa del lavoro. Tutto ciò ha conseguenze rilevanti nella vita dei singoli e delle comunità, sottoposti a cambiamenti radicali sia sul piano delle condizioni materiali, sia su quello culturale e dei valori. Questo fenomeno sta coinvolgendo, a livello globale e locale, milioni di persone, indipendentemente dalla professione che svolgono, dalla loro condizione sociale, dalla preparazione culturale. La riorganizzazione del tempo, la sua regolarizzazione e i cambiamenti in atto nell'uso dello spazio — paragonabili, per la loro entità, alla prima rivoluzione industriale, in quanto coinvolgono tutti i settori produttivi, in tutti i continenti, a prescindere dal loro grado di sviluppo — sono da considerarsi, pertanto, una sfida decisiva, anche a livello etico e culturale, nel campo della definizione di un sistema rinnovato di tutela del lavoro.
312 La globalizzazione dell'economia, con la liberalizzazione dei mercati, l'accentuarsi della concorrenza, l'accrescersi di imprese specializzate nel fornire prodotti e servizi, richiede maggiore flessibilità nel mercato del lavoro e nell'organizzazione e gestione dei processi produttivi. Nella valutazione di questa delicata materia, sembra opportuno riservare una maggiore attenzione morale, culturale e progettuale nell'orientare l'agire sociale e politico sulle tematiche connesse all'identità e ai contenuti del nuovo lavoro, in un mercato e in una economia essi stessi nuovi. I mutamenti del mercato del lavoro sono spesso, infatti, un effetto del cambiamento del lavoro stesso e non una sua causa.
313 Il lavoro, soprattutto all'interno dei sistemi economici dei Paesi più sviluppati, attraversa una fase che segna il passaggio da un'economia di tipo industriale ad un'economia essenzialmente centrata sui servizi e sull'innovazione tecnologica. Accade cioè che i servizi e le attività caratterizzate da un forte contenuto informativo crescono in modo più rapido rispetto a quelle dei tradizionali settori primario e secondario, con conseguenze di ampia portata nell'organizzazione della produzione e degli scambi, nel contenuto e nella forma delle prestazioni lavorative e nei sistemi di protezione sociale.
Grazie alle innovazioni tecnologiche, il mondo del lavoro si arricchisce di professioni nuove, mentre altre scompaiono. Nell'attuale fase di transizione, infatti, si assiste ad un continuo passaggio di occupati dall'industria ai servizi. Mentre perde terreno il modello economico e sociale legato alla grande fabbrica e al lavoro di una classe operaia omogenea, migliorano le prospettive occupazionali nel terziario e aumentano, in particolare, le attività lavorative nel comparto dei servizi alla persona, delle prestazioni part time, interinali e « atipiche », ossia forme di lavoro che non sono inquadrabili né come lavoro dipendente né come lavoro autonomo.
314 La transizione in atto segna il passaggio dal lavoro dipendente a tempo indeterminato, inteso come posto fisso, a un percorso lavorativo caratterizzato da una pluralità di attività lavorative; da un mondo del lavoro compatto, definito e riconosciuto, a un universo di lavori, variegato, fluido, ricco di promesse, ma anche carico di interrogativi preoccupanti, specie di fronte alla crescente incertezza circa le prospettive occupazionali, a fenomeni persistenti di disoccupazione strutturale, all'inadeguatezza degli attuali sistemi di sicurezza sociale. Le esigenze della competizione, della innovazione tecnologica e della complessità dei flussi finanziari vanno armonizzate con la difesa del lavoratore e dei suoi diritti.
L'insicurezza e la precarietà non riguardano soltanto la condizione lavorativa degli uomini che vivono nei Paesi più sviluppati, ma investono anche, e soprattutto, le realtà economicamente meno avanzate del pianeta, i Paesi in via di sviluppo e i Paesi con economie in transizione. Questi ultimi, oltre ai complessi problemi connessi al cambiamento dei modelli economici e produttivi, devono affrontare quotidianamente le difficili esigenze che provengono dalla globalizzazione in atto. La situazione risulta particolarmente drammatica per il mondo del lavoro, investito da vasti e radicali cambiamenti culturali e strutturali, in contesti spesso privi di supporti legislativi, formativi e di assistenza sociale.
315 Il decentramento produttivo, che assegna alle aziende minori molteplici compiti, in precedenza concentrati nelle grandi unità produttive, fa acquistare vigore e imprime nuovo slancio alle piccole e medie imprese. Emergono così, accanto all'artigianato tradizionale, nuove imprese caratterizzate da piccole unità produttive operanti in settori di produzione moderni oppure in attività decentrate dalle aziende maggiori. Molte attività che ieri richiedevano lavoro dipendente, oggi sono realizzate in forme nuove, che favoriscono il lavoro indipendente e si caratterizzano per una maggiore componente di rischio e di responsabilità.
Il lavoro nelle piccole e medie imprese, il lavoro artigianale e il lavoro indipendente possono costituire un'occasione per rendere più umano il vissuto lavorativo, sia per la possibilità di stabilire positive relazioni interpersonali in comunità di piccole dimensioni, sia per le opportunità offerte da una maggiore iniziativa e imprenditorialità; ma non sono pochi, in questi settori, i casi di trattamenti ingiusti, di lavoro mal pagato e soprattutto insicuro.
316 Nei Paesi in via di sviluppo, inoltre, si è diffuso, in questi ultimi anni, il fenomeno dell'espansione di attività economiche « informali » o « sommerse », che rappresenta un segnale di crescita economica promettente, ma solleva problemi etici e giuridici. Il significativo aumento dei posti di lavoro suscitato da tali attività è dovuto, infatti, all'assenza di specializzazione di gran parte dei lavoratori locali e allo sviluppo disordinato dei settori economici formali. Un elevato numero di persone è così costretto a lavorare in condizioni di grave disagio e in un quadro privo delle regole che tutelano la dignità del lavoratore. I livelli di produttività, reddito e tenore di vita sono estremamente bassi e spesso si rivelano insufficienti a garantire ai lavoratori e alle loro famiglie il raggiungimento del livello di sussistenza.
b) Dottrina sociale e « res novae »
317 Di fronte alle imponenti « res novae » del mondo del lavoro, la dottrina sociale della Chiesa raccomanda, prima di tutto, di evitare l'errore di ritenere che i mutamenti in atto avvengano in modo deterministico. Il fattore decisivo e « l'arbitro » di questa complessa fase di cambiamento è ancora una volta l'uomo, che deve restare il vero protagonista del suo lavoro. Egli può e deve farsi carico in modo creativo e responsabile delle attuali innovazioni e riorganizzazioni, così che esse giovino alla crescita della persona, della famiglia, delle società e dell'intera famiglia umana. 677 Illuminante è per tutti il richiamo alla dimensione soggettiva del lavoro, alla quale la dottrina sociale della Chiesa insegna a dare la dovuta priorità, perché il lavoro umano « proviene immediatamente da persone create ad immagine di Dio e chiamate a prolungare, le une con e per le altre, l'opera della creazione sottomettendo la terra ». 678
318 Le interpretazioni di tipo meccanicistico ed economicistico dell'attività produttiva, sebbene prevalenti e comunque influenti, risultano superate dalla stessa analisi scientifica dei problemi connessi con il lavoro. Tali concezioni si rivelano oggi più di ieri del tutto inadeguate a interpretare i fatti, che dimostrano ogni giorno di più la valenza del lavoro in quanto attività libera e creativa dell'uomo. Anche dai riscontri concreti deve derivare la spinta a superare senza indugio orizzonti teorici e criteri operativi ristretti e insufficienti rispetto alle dinamiche in atto, intrinsecamente incapaci di individuare i concreti e pressanti bisogni umani nella loro vasta gamma, che si estende ben oltre le categorie soltanto economiche. Sa bene la Chiesa, e da sempre insegna, che l'uomo, a differenza di ogni altro essere vivente, ha bisogni certo non limitati soltanto all'« avere », 679 perché la sua natura e la sua vocazione sono in relazione inscindibile col Trascendente. La persona umana affronta l'avventura della trasformazione delle cose mediante il suo lavoro per soddisfare necessità e bisogni innanzi tutto materiali, ma lo fa seguendo un impulso che la spinge sempre oltre i risultati conseguiti, alla ricerca di ciò che può corrispondere più profondamente alle sue ineliminabili esigenze interiori.
319 Cambiano le forme storiche in cui si esprime il lavoro umano, ma non devono cambiare le sue esigenze permanenti, che si riassumono nel rispetto dei diritti inalienabili dell'uomo che lavora. Di fronte al rischio di vedere negati questi diritti, devono essere immaginate e costruite nuove forme di solidarietà, tenendo conto dell'interdipendenza che lega tra loro gli uomini del lavoro. Quanto più profondi sono i cambiamenti, tanto più deciso deve essere l'impegno dell'intelligenza e della volontà per tutelare la dignità del lavoro, rafforzando, ai diversi livelli, le istituzioni interessate. Questa prospettiva consente di orientare al meglio le attuali trasformazioni nella direzione, tanto necessaria, della complementarità tra la dimensione economica locale e quella globale; tra economia « vecchia » e « nuova »; tra l'innovazione tecnologica e l'esigenza di salvaguardare il lavoro umano; tra la crescita economica e la compatibilità ambientale dello sviluppo.
320 Alla soluzione delle problematiche vaste e complesse del lavoro, che in alcune aree assumono dimensioni drammatiche, gli scienziati e gli uomini di cultura sono chiamati ad offrire il loro contributo specifico, tanto importante per la scelta di soluzioni giuste. È una responsabilità che richiede loro di evidenziare le occasioni e i rischi che nei cambiamenti si profilano e soprattutto di suggerire linee di azione per guidare il cambiamento nel senso più favorevole allo sviluppo dell'intera famiglia umana. A loro spetta il grave compito di leggere e di interpretare i fenomeni sociali con intelligenza ed amore della verità, senza preoccupazioni dettate da interessi di gruppo o personali. Il loro contributo, infatti, proprio perché di natura teorica, diventa un riferimento essenziale per l'agire concreto delle politiche economiche. 680
321 Gli scenari attuali di profonda trasformazione del lavoro umano rendono ancor più urgente uno sviluppo autenticamente globale e solidale, in grado di coinvolgere tutte le zone del mondo, comprese quelle meno favorite. Per queste ultime, l'avvio di un processo di sviluppo solidale di vasta portata non solo rappresenta una concreta possibilità per creare nuovi posti di lavoro, ma si configura anche come una vera e propria condizione di sopravvivenza per interi popoli: « Occorre globalizzare la solidarietà ». 681
Gli squilibri economici e sociali esistenti nel mondo del lavoro vanno affrontati ristabilendo la giusta gerarchia dei valori e ponendo al primo posto la dignità della persona che lavora: « Mai le nuove realtà, che investono con forza il processo produttivo, quali la globalizzazione della finanza, dell'economia, dei commerci e del lavoro, devono violare la dignità e la centralità della persona umana né la libertà e la democrazia dei popoli. La solidarietà, la partecipazione e la possibilità di governare questi radicali cambiamenti costituiscono, se non la soluzione, certamente la necessaria garanzia etica perché le persone ed i popoli diventino non strumenti, ma protagonisti del loro futuro. Tutto ciò può essere realizzato e, poiché è possibile, diventa doveroso ». 682
322 Risulta sempre più necessaria un'attenta considerazione della nuova situazione del lavoro nell'attuale contesto della globalizzazione, in una prospettiva che valorizzi la naturale propensione degli uomini a stabilire relazioni. A questo proposito si deve affermare che l'universalità è una dimensione dell'uomo, non delle cose. La tecnica potrà essere la causa strumentale della globalizzazione, ma è l'universalità della famiglia umana la sua causa ultima. Anche il lavoro, pertanto, ha una sua dimensione universale, in quanto fondato sulla relazionalità umana. Le tecniche, specialmente elettroniche, hanno permesso di dilatare tale aspetto relazionale del lavoro a tutto il pianeta, imprimendo alla globalizzazione un ritmo particolarmente accelerato. Il fondamento ultimo di questo dinamismo è l'uomo che lavora, è sempre l'elemento soggettivo e non quello oggettivo. Anche il lavoro globalizzato trae origine, pertanto, dal fondamento antropologico dell'intrinseca dimensione relazionale del lavoro. Gli aspetti negativi della globalizzazione del lavoro non devono mortificare le possibilità che si sono aperte per tutti di dare espressione ad un umanesimo del lavoro a livello planetario, ad una solidarietà del mondo del lavoro a questo livello, affinché lavorando in un simile contesto, dilatato ed interconnesso, l'uomo capisca sempre di più la sua vocazione unitaria e solidale.
   

CAPITOLO SETTIMO
LA VITA ECONOMICA
I. ASPETTI BIBLICI

a) L'uomo, povertà e ricchezza
323 Nell'Antico Testamento si riscontra un duplice atteggiamento nei confronti dei beni economici e della ricchezza. Da un lato apprezzamento verso la disponibilità dei beni materiali considerati necessari per la vita: talora l'abbondanza — ma non la ricchezza o il lusso — è vista come una benedizione di Dio. Nella letteratura sapienziale, la povertà è descritta come una conseguenza negativa dell'ozio e della mancanza di laboriosità (cfr. Pr 10,4), ma anche come un fatto naturale (cfr. Pr 22,2). Da un altro lato, i beni economici e la ricchezza non sono condannati per se stessi, ma per il loro cattivo uso. La tradizione profetica stigmatizza gli imbrogli, l'usura, gli sfruttamenti, le vistose ingiustizie, specie nei confronti dei più poveri (cfr. Is 58,3-11; Ger 7,4-7; Os 4,1-2; Am 2,6-7; Mi 2,1-2). Tale tradizione, pur considerando un male la povertà degli oppressi, dei deboli, degli indigenti, vede in essa anche un simbolo della situazione dell'uomo davanti a Dio; da Lui proviene ogni bene come un dono da amministrare e da condividere.
324 Colui che riconosce la propria povertà davanti a Dio, in qualunque situazione egli viva, è oggetto di particolare attenzione da parte di Dio: quando il povero cerca, il Signore risponde; quando grida, Egli l'ascolta. Ai poveri sono rivolte le promesse divine: essi saranno gli eredi dell'alleanza tra Dio e il Suo popolo. L'intervento salvifico di Dio si attuerà tramite un nuovo Davide (cfr. Ez 34,22-31), il quale, come e più del re Davide, sarà difensore dei poveri e promotore della giustizia; egli stabilirà una nuova alleanza e scriverà una nuova legge nel cuore dei credenti (cfr. Ger 31,31-34).
La povertà, quando è accettata o ricercata con spirito religioso, predispone al riconoscimento e all'accettazione dell'ordine creaturale; il « ricco », in questa prospettiva, è colui che ripone la sua fiducia nelle cose che possiede piuttosto che in Dio, l'uomo che si fa forte dell'opera delle sue mani e che confida solo in questa sua forza. La povertà assurge a valore morale quando si manifesta come umile disponibilità e apertura verso Dio, fiducia in Lui. Questi atteggiamenti rendono l'uomo capace di riconoscere la relatività dei beni economici e di trattarli come doni divini da amministrare e da condividere, perché la proprietà originaria di tutti i beni appartiene a Dio.
325 Gesù assume l'intera tradizione dell'Antico Testamento anche sui beni economici, sulla ricchezza e sulla povertà, conferendole una definitiva chiarezza e pienezza (cfr. Mt 6,24 e 13,22; Lc 6,20-24 e 12,15-21; Rm 14,6-8 e 1 Tm 4,4). Egli, donando il Suo Spirito e cambiando i cuori, viene ad instaurare il « Regno di Dio », così da rendere possibile una nuova convivenza nella giustizia, nella fraternità, nella solidarietà e nella condivisione. Il Regno inaugurato da Cristo perfeziona la bontà originaria del creato e dell'attività umana, compromessa dal peccato. Liberato dal male e reintrodotto nella comunione con Dio, ogni uomo può continuare l'opera di Gesù, con l'aiuto del Suo Spirito: rendere giustizia ai poveri, affrancare gli oppressi, consolare gli afflitti, ricercare attivamente un nuovo ordine sociale, in cui si offrano adeguate soluzioni alla povertà materiale e vengano arginate più efficacemente le forze che ostacolano i tentativi dei più deboli di riscattarsi da una condizione di miseria e di schiavitù. Quando ciò accade, il Regno di Dio si fa già presente su questa terra, pur non appartenendole. In esso troveranno finalmente compimento le promesse dei Profeti.
326 Alla luce della Rivelazione, l'attività economica va considerata e svolta come risposta riconoscente alla vocazione che Dio riserva a ciascun uomo. Questi è posto nel giardino per coltivarlo e custodirlo, usandone secondo limiti ben precisi (cfr. Gen 2,16-17), nell'impegno di perfezionarlo (cfr. Gen 1,26-30; 2,15-16; Sap 9,2-3). Facendosi testimone della grandezza e della bontà del Creatore, l'uomo cammina verso la pienezza della libertà a cui Dio lo chiama. Una buona amministrazione dei doni ricevuti, anche dei doni materiali, è opera di giustizia verso se stessi e verso gli altri uomini: ciò che si riceve va ben usato, conservato, accresciuto, come insegna la parabola dei talenti (cfr. Mt 25,14-30; Lc 19,12-27).
L'attività economica e il progresso materiale devono essere posti a servizio dell'uomo e delle società; se ci si dedica ad essi con la fede, la speranza e la carità dei discepoli di Cristo, anche l'economia e il progresso possono essere trasformati in luoghi di salvezza e di santificazione; anche in questi ambiti è possibile dare espressione ad un amore e ad una solidarietà più che umani e contribuire alla crescita di una umanità nuova, che prefiguri il mondo dei tempi ultimi. 683 Gesù sintetizza tutta la Rivelazione chiedendo al credente di arricchire davanti a Dio (cfr. Lc 12,21): anche l'economia è utile a questo scopo, quando non tradisce la sua funzione di strumento per la crescita globale dell'uomo e delle società, della qualità umana della vita.
327 La fede in Gesù Cristo permette una corretta comprensione dello sviluppo sociale, nel contesto di un umanesimo integrale e solidale. A questo scopo risulta assai utile il contributo di riflessione teologica offerto dal Magistero sociale: « La fede in Cristo Redentore, mentre illumina dal di dentro la natura dello sviluppo, guida anche nel compito della collaborazione. Nella lettera di san Paolo ai Colossesi leggiamo che Cristo è "il primogenito di tutta la creazione" e che "tutte le cose sono state create per mezzo di lui ed in vista di lui" (1,15-16). Infatti, ogni cosa "ha consistenza in lui", perché "piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose" (ibid. 1,20). In questo piano divino, che comincia dall'eternità in Cristo, "immagine" perfetta del Padre, e che culmina in lui, "primogenito di coloro che risuscitano dai morti" (ibid. 1,15-18), s'inserisce la nostra storia, segnata dal nostro sforzo personale e collettivo di elevare la condizione umana, superare gli ostacoli sempre risorgenti lungo il nostro cammino, disponendoci così a partecipare alla pienezza che "risiede nel Signore" e che egli comunica "al suo corpo, che è la Chiesa" (ibid. 1,18; cfr. Ef 1,22-23), mentre il peccato, che sempre ci insidia e compromette le nostre realizzazioni umane è vinto e riscattato dalla "riconciliazione" operata da Cristo (cfr. Col 1,20) ». 684
b) La ricchezza esiste per essere condivisa
328 I beni, anche se legittimamente posseduti, mantengono sempre una destinazione universale; è immorale ogni forma di indebita accumulazione, perché in aperto contrasto con la destinazione universale assegnata da Dio Creatore a tutti i beni. La salvezza cristiana, infatti, è una liberazione integrale dell'uomo, liberazione dal bisogno, ma anche rispetto al possesso stesso: « L'attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali; per il suo sfrenato desiderio alcuni hanno deviato dalla fede » (1 Tm 6,10). I Padri della Chiesa insistono sulla necessità della conversione e della trasformazione delle coscienze dei credenti, più che su esigenze di cambiamento delle strutture sociali e politiche del loro tempo, sollecitando chi svolge un'attività economica e possiede beni a considerarsi amministratore di quanto Dio gli ha affidato.
329 Le ricchezze realizzano la loro funzione di servizio all'uomo quando sono destinate a produrre benefici per gli altri e la società:  685 « Come potremmo fare del bene al prossimo — si chiede Clemente Alessandrino — se tutti non possedessero nulla? ». 686 Nella visione di san Giovanni Crisostomo, le ricchezze appartengono ad alcuni affinché essi possano acquistare merito condividendole con gli altri. 687 Esse sono un bene che viene da Dio: chi lo possiede lo deve usare e far circolare, così che anche i bisognosi possano goderne; il male va visto nell'attaccamento smodato alle ricchezze, nella volontà di accaparrarsele. San Basilio il Grande invita i ricchi ad aprire le porte dei loro magazzini ed esclama: « Un grande fiume si riversa, in mille canali, sul terreno fertile: così, per mille vie, tu fa' giungere la ricchezza nelle abitazioni dei poveri ». 688 La ricchezza, spiega san Basilio, è come l'acqua che sgorga sempre più pura dalla fontana se viene attinta con frequenza, mentre imputridisce se la fontana rimane inutilizzata. 689 Il ricco, dirà più tardi san Gregorio Magno, non è che un amministratore di ciò che possiede; dare il necessario a chi ne ha bisogno è opera da compiere con umiltà, perché i beni non appartengono a chi li distribuisce. Chi tiene le ricchezze solo per sé non è innocente; darle a chi ne ha bisogno significa pagare un debito. 690

II. MORALE ED ECONOMIA

330 La dottrina sociale della Chiesa insiste sulla connotazione morale dell'economia. Pio XI, in una pagina dell'enciclica « Quadragesimo anno », affronta il rapporto tra l'economia e la morale: « Sebbene l'economia e la disciplina morale, ciascuna nel suo ambito, si appoggino sui princìpi propri, sarebbe errore affermare che l'ordine economico e l'ordine morale siano così disparati ed estranei l'uno all'altro, che il primo in nessun modo dipenda dal secondo. Certo, le leggi, che si dicono economiche, tratte dalla natura stessa delle cose e dall'indole dell'anima e del corpo umano, stabiliscono quali limiti nel campo economico il potere dell'uomo non possa e quali possa raggiungere, e con quali mezzi; e la stessa ragione, dalla natura delle cose e da quella individuale e sociale dell'uomo, chiaramente deduce quale sia il fine da Dio Creatore proposto a tutto l'ordine economico. Soltanto la legge morale è quella la quale, come ci intima di cercare nel complesso delle nostre azioni il fine supremo ed ultimo, così nei particolari generi di operosità ci dice di cercare quei fini speciali, che a quest'ordine di operazioni sono stati prefissi dalla natura, o meglio, da Dio, autore della natura, e di subordinare armonicamente questi fini particolari al fine supremo ». 691
331 Il rapporto tra morale ed economia è necessario e intrinseco: attività economica e comportamento morale si compenetrano intimamente. La necessaria distinzione tra morale ed economia non comporta una separazione tra i due ambiti, ma, al contrario, una reciprocità importante. Come in ambito morale si deve tener conto delle ragioni e delle esigenze dell'economia, operando in campo economico ci si deve aprire alle istanze morali: « Anche nella vita economico-sociale occorre onorare e promuovere la dignità della persona umana e la sua vocazione integrale e il bene di tutta la società. L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale ». 692 Dare il giusto e dovuto peso alle ragioni proprie dell'economia non significa rifiutare come irrazionale ogni considerazione di ordine metaeconomico, proprio perché il fine dell'economia non sta nell'economia stessa, bensì nella sua destinazione umana e sociale. 693 All'economia, infatti, sia in ambito scientifico sia a livello di prassi, non è affidato il fine della realizzazione dell'uomo e della buona convivenza umana, ma un compito parziale: la produzione, la distribuzione e il consumo di beni materiali e di servizi.
332 La dimensione morale dell'economia fa cogliere come finalità inscindibili, anziché separate e alternative, l'efficienza economica e la promozione di uno sviluppo solidale dell'umanità. La morale, costitutiva della vita economica, non è né oppositiva, né neutrale: se ispirata alla giustizia e alla solidarietà, costituisce un fattore di efficienza sociale della stessa economia. È un dovere svolgere in maniera efficiente l'attività di produzione dei beni, altrimenti si sprecano risorse; ma non è accettabile una crescita economica ottenuta a discapito degli esseri umani, di interi popoli e gruppi sociali, condannati all'indigenza e all'esclusione. L'espansione della ricchezza, visibile nella disponibilità di beni e di servizi, e l'esigenza morale di una equa diffusione di questi ultimi devono stimolare l'uomo e la società nel suo insieme a praticare la virtù essenziale della solidarietà  694 per combattere, nello spirito della giustizia e della carità, ovunque ne sia rivelata la presenza, quelle « strutture di peccato »  695 che generano e mantengono povertà, sottosviluppo e degradazione. Tali strutture sono edificate e consolidate da molti atti concreti di egoismo umano.
333 Per assumere un profilo morale, l'attività economica deve avere come soggetti tutti gli uomini e tutti i popoli. Tutti hanno il diritto di partecipare alla vita economica e il dovere di contribuire, secondo le proprie capacità, al progresso del proprio Paese e dell'intera famiglia umana. 696 Se, in qualche misura, tutti sono responsabili di tutti, ciascuno ha il dovere di impegnarsi per lo sviluppo economico di tutti:  697 è dovere di solidarietà e di giustizia, ma è anche la via migliore per far progredire l'intera umanità. Se vissuta moralmente, l'economia è dunque prestazione di un servizio reciproco, mediante la produzione di beni e servizi utili alla crescita di ognuno, e diventa opportunità per ogni uomo di vivere la solidarietà e la vocazione alla « comunione con gli altri uomini per cui Dio lo ha creato ». 698 Lo sforzo di concepire e realizzare progetti economico-sociali capaci di favorire una società più equa e un mondo più umano rappresenta una sfida aspra, ma anche un dovere stimolante, per tutti gli operatori economici e per i cultori delle scienze economiche. 699
334 Oggetto dell'economia è la formazione della ricchezza e il suo incremento progressivo, in termini non soltanto quantitativi, ma qualitativi: tutto ciò è moralmente corretto se finalizzato allo sviluppo globale e solidale dell'uomo e della società in cui egli vive ed opera. Lo sviluppo, infatti, non può essere ridotto a mero processo di accumulazione di beni e servizi. Al contrario, la pura accumulazione, anche qualora fosse per il bene comune, non è una condizione sufficiente per la realizzazione dell'autentica felicità umana. In questo senso, il Magistero sociale mette in guardia dall'insidia che un tipo di sviluppo solo quantitativo nasconde, perché la « eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce sociali rende facilmente gli uomini schiavi del "possesso" e del godimento immediato... È la cosiddetta civiltà dei "consumi", o consumismo... ». 700
335 Nella prospettiva dello sviluppo integrale e solidale, si può dare un giusto apprezzamento alla valutazione morale che la dottrina sociale offre sull'economia di mercato o, semplicemente, economia libera: « Se con "capitalismo" si indica un sistema economico che riconosce il ruolo fondamentale e positivo dell'impresa, del mercato, della proprietà privata e della conseguente responsabilità per i mezzi di produzione, della libera creatività umana nel settore dell'economia, la risposta è certamente positiva, anche se forse sarebbe più appropriato parlare di "economia d'impresa", o di "economia di mercato", o semplicemente di "economia libera". Ma se con "capitalismo" si intende un sistema in cui la libertà nel settore dell'economia non è inquadrata in un solido contesto giuridico che la metta al servizio della libertà umana integrale e la consideri come una particolare dimensione di questa libertà, il cui centro è etico e religioso, allora la risposta è decisamente negativa ». 701 In tal modo viene definita la prospettiva cristiana circa le condizioni sociali e politiche dell'attività economica: non solo le sue regole, ma anche la sua qualità morale e il suo significato.

III. INIZIATIVA PRIVATA E IMPRESA

336 La dottrina sociale della Chiesa considera la libertà della persona in campo economico un valore fondamentale e un diritto inalienabile da promuovere e tutelare: « Ciascuno ha il diritto di iniziativa economica; ciascuno userà legittimamente i propri talenti per concorrere a un'abbondanza di cui tutti possano godere, e per raccogliere dai propri sforzi i giusti frutti ». 702 Tale insegnamento mette in guardia dalle conseguenze negative che deriverebbero dalla mortificazione o negazione del diritto di iniziativa economica: « L'esperienza ci dimostra che la negazione di un tale diritto, o la sua limitazione in nome di una pretesa "eguaglianza" di tutti nella società riduce, o addirittura distrugge di fatto lo spirito d'iniziativa, cioè la soggettività creativa del cittadino ». 703 In questa prospettiva, la libera e responsabile iniziativa in campo economico può essere anche definita come un atto che rivela l'umanità dell'uomo in quanto soggetto creativo e relazionale. Tale iniziativa deve godere, pertanto, di uno spazio ampio. Lo Stato ha l'obbligo morale di porre dei vincoli stringenti solo in ordine alle incompatibilità tra il perseguimento del bene comune e il tipo di attività economica avviata o le sue modalità di svolgimento. 704
337 La dimensione creativa è un elemento essenziale dell'agire umano, anche in campo imprenditoriale, e si manifesta specialmente nell'attitudine progettuale e innovativa: « Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo, procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza dell'odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e — quale parte essenziale di tale lavoro — delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità ». 705 Alla base di tale insegnamento va individuata la convinzione che « la principale risorsa dell'uomo insieme con la terra è l'uomo stesso. È la sua intelligenza che fa scoprire le potenzialità produttive della terra e le multiformi modalità con cui i bisogni umani possono essere soddisfatti ». 706
a) L'impresa e i suoi fini
338 L'impresa deve caratterizzarsi per la capacità di servire il bene comune della società mediante la produzione di beni e servizi utili. Cercando di produrre beni e servizi in una logica di efficienza e di soddisfacimento degli interessi dei diversi soggetti implicati, essa crea ricchezza per tutta la società: non solo per i proprietari, ma anche per gli altri soggetti interessati alla sua attività. Oltre a tale funzione tipicamente economica, l'impresa svolge anche una funzione sociale, creando opportunità d'incontro, di collaborazione, di valorizzazione delle capacità delle persone coinvolte. Nell'impresa, pertanto, la dimensione economica è condizione per il raggiungimento di obiettivi non solo economici, ma anche sociali e morali, da perseguire congiuntamente.
L'obiettivo dell'impresa deve essere realizzato in termini e con criteri economici, ma non devono essere trascurati gli autentici valori che permettono lo sviluppo concreto della persona e della società. In questa visione personalista e comunitaria, « l'azienda non può essere considerata solo come una "società di capitali"; essa, al tempo stesso, è una "società di persone", di cui entrano a far parte in modo diverso e con specifiche responsabilità sia coloro che forniscono il capitale necessario per la sua attività, sia coloro che vi collaborano col loro lavoro ». 707
339 I componenti dell'impresa devono essere consapevoli che la comunità nella quale operano rappresenta un bene per tutti e non una struttura che permette di soddisfare esclusivamente gli interessi personali di qualcuno. Solo tale consapevolezza permette di giungere alla costruzione di un'economia veramente al servizio dell'uomo e di elaborare un progetto di reale cooperazione tra le parti sociali.
Un esempio molto importante e significativo nella direzione indicata proviene dall'attività che può riferirsi alle imprese cooperative, alle piccole e medie imprese, alle aziende artigianali e a quelle agricole a dimensione familiare. La dottrina sociale ha sottolineato il contributo che esse offrono alla valorizzazione del lavoro, alla crescita del senso di responsabilità personale e sociale, alla vita democratica, ai valori umani utili al progresso del mercato e della società. 708
340 La dottrina sociale riconosce la giusta funzione del profitto, come primo indicatore del buon andamento dell'azienda: « quando un'azienda produce profitto, ciò significa che i fattori produttivi sono stati adeguatamente impiegati ». 709 Ciò non offusca la consapevolezza del fatto che non sempre il profitto segnala che l'azienda stia servendo adeguatamente la società. 710 È possibile, ad esempio, « che i conti economici siano in ordine ed insieme che gli uomini, che costituiscono il patrimonio più prezioso dell'azienda, siano umiliati e offesi nella loro dignità ». 711 È quanto avviene quando l'impresa è inserita in sistemi socio-culturali improntati allo sfruttamento delle persone, inclini a sfuggire agli obblighi di giustizia sociale e a violare i diritti dei lavoratori.
È indispensabile che, all'interno dell'impresa, il legittimo perseguimento del profitto si armonizzi con l'irrinunciabile tutela della dignità delle persone che a vario titolo operano nella stessa impresa. Le due esigenze non sono affatto in contrasto l'una con l'altra, dal momento che, da una parte, non sarebbe realistico pensare di garantire il futuro dell'impresa senza la produzione di beni e servizi e senza conseguire profitti che siano il frutto dell'attività economica svolta; d'altra parte, consentendo alla persona che lavora di crescere, si favorisce una maggiore produttività ed efficacia del lavoro stesso. L'impresa deve essere una comunità solidale  712 non chiusa negli interessi corporativi, tendere ad un'« ecologia sociale »  713 del lavoro, e contribuire al bene comune anche mediante la salvaguardia dell'ambiente naturale.
341 Se nell'attività economica e finanziaria la ricerca di un equo profitto è accettabile, il ricorso all'usura è moralmente condannato: « Quanti nei commerci usano pratiche usuraie e mercantili che provocano la fame e la morte dei loro fratelli in umanità, commettono indirettamente un omicidio, che è loro imputabile ». 714 Tale condanna si estende anche ai rapporti economici internazionali, specialmente per quanto riguarda la situazione dei Paesi meno progrediti, ai quali non possono essere applicati « sistemi finanziari abusivi, se non usurai ». 715 Il Magistero più recente ha avuto parole forti e chiare per una pratica tuttora drammaticamente estesa: « non praticare l'usura, piaga che anche ai nostri giorni è una infame realtà, capace di strangolare la vita di molte persone ». 716
342 L'impresa si muove oggi nel quadro di scenari economici di dimensioni sempre più ampie, all'interno dei quali gli Stati nazionali mostrano limiti nella capacità di governare i rapidi processi di mutamento che investono le relazioni economico-finanziarie internazionali; questa situazione induce le imprese ad assumersi responsabilità nuove e maggiori rispetto al passato. Mai come oggi il loro ruolo risulta determinante in vista di uno sviluppo autenticamente solidale e integrale dell'umanità ed è altrettanto decisivo, in questo senso, il loro livello di consapevolezza del fatto che « lo sviluppo o diventa comune a tutte le parti del mondo, o subisce un processo di retrocessione anche nelle zone segnate da un costante progresso. Fenomeno, questo, particolarmente indicativo della natura dell'autentico sviluppo: o vi partecipano tutte le Nazioni del mondo, o non sarà veramente tale ». 717
b) Il ruolo dell'imprenditore e del dirigente d'azienda
343 L'iniziativa economica è espressione dell'umana intelligenza e dell'esigenza di rispondere ai bisogni dell'uomo in modo creativo e collaborativo. Nella creatività e nella cooperazione è scritta l'autentica concezione della competizione imprenditoriale: un cum-petere, ossia un cercare insieme le soluzioni più adeguate, per rispondere nel modo più idoneo ai bisogni che man mano emergono. Il senso di responsabilità che scaturisce dalla libera iniziativa economica si configura non solo come virtù individuale indispensabile per la crescita umana del singolo, ma anche come virtù sociale necessaria allo sviluppo di una comunità solidale: « In questo processo sono coinvolte importanti virtù, come la diligenza, la laboriosità, la prudenza nell'assumere i ragionevoli rischi, l'affidabilità e la fedeltà nei rapporti interpersonali, la fortezza nell'esecuzione di decisioni difficili
e dolorose, ma necessarie per il lavoro comune dell'azienda e per far fronte agli eventuali rovesci di fortuna ». 718
344 I ruoli dell'imprenditore e del dirigente rivestono un'importanza centrale dal punto di vista sociale, perché si collocano al cuore di quella rete di legami tecnici, commerciali, finanziari, culturali, che caratterizzano la moderna realtà di impresa. Dal momento che le decisioni aziendali producono, in ragione della crescente complessità dell'attività imprenditoriale, una molteplicità di effetti congiunti di grande rilevanza non solo economica, ma anche sociale, l'esercizio delle responsabilità imprenditoriali e dirigenziali esige, oltre ad uno sforzo continuo di aggiornamento specifico, una costante riflessione sulle motivazioni morali che devono guidare le scelte personali di chi è investito di tali compiti.
Gli imprenditori e i dirigenti non possono tener conto esclusivamente dell'obiettivo economico dell'impresa, dei criteri dell'efficienza economica, delle esigenze della cura del « capitale » come insieme di mezzi di produzione: è loro preciso dovere anche il concreto rispetto della dignità umana dei lavoratori che operano nell'impresa. 719 Questi ultimi costituiscono « il patrimonio più prezioso dell'azienda », 720 il fattore decisivo della produzione. 721 Nelle grandi decisioni strategiche e finanziarie, di acquisto o di vendita, di ridimensionamento o chiusura di impianti, nella politica delle fusioni, non ci si può limitare esclusivamente a criteri di natura finanziaria o commerciale.
345 La dottrina sociale insiste sulla necessità che l'imprenditore e il dirigente si impegnino a strutturare l'attività lavorativa nelle loro aziende in modo da favorire la famiglia, specialmente le madri di famiglia nello svolgimento dei loro compiti;  722 assecondino, alla luce di una visione integrale dell'uomo e dello sviluppo, la domanda di qualità « delle merci da produrre e da consumare; qualità dei servizi di cui usufruire; qualità dell'ambiente e della vita in generale »;  723 investano, qualora ricorrano le condizioni economiche e di stabilità politica, in quei luoghi e in quei settori produttivi che offrono a individui e popoli « l'occasione di valorizzare il proprio lavoro ». 724

IV. ISTITUZIONI ECONOMICHE
AL SERVIZIO DELL'UOMO

346 Una delle questioni prioritarie in economia è l'impiego delle risorse, 725 cioè di tutti quei beni e servizi a cui i soggetti economici, produttori e consumatori privati e pubblici, attribuiscono un valore per l'utilità ad essi inerente nel campo della produzione e del consumo. Le risorse sono nella natura quantitativamente scarse e ciò implica, di necessità, che ogni soggetto economico singolo, così come ogni società, debba escogitare una qualche strategia per impiegarle nel modo più razionale possibile, seguendo la logica dettata dal principio di economicità. Da ciò dipendono sia l'effettiva soluzione del problema economico più generale, e fondamentale, della limitatezza dei mezzi rispetto ai bisogni individuali e sociali, privati e pubblici, sia l'efficienza complessiva, strutturale e funzionale, dell'intero sistema economico. Tale efficienza chiama direttamente in causa la responsabilità e la capacità di vari soggetti, quali il mercato, lo Stato e i corpi sociali intermedi.
a) Ruolo del libero mercato
347 Il libero mercato è un'istituzione socialmente importante per la sua capacità di garantire risultati efficienti nella produzione di beni e servizi. Storicamente, il mercato ha dato prova di saper avviare e sostenere, nel lungo periodo, lo sviluppo economico. Vi sono buone ragioni per ritenere che, in molte circostanze, « il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni ». 726 La dottrina sociale della Chiesa apprezza i sicuri vantaggi che i meccanismi del libero mercato offrono, sia per una migliore utilizzazione delle risorse, sia per l'agevolazione dello scambio dei prodotti; questi meccanismi, « soprattutto, pongono al centro la volontà e le preferenze della persona che nel contratto si incontrano con quelle di un'altra persona ». 727
Un vero mercato concorrenziale è uno strumento efficace per conseguire importanti obiettivi di giustizia: moderare gli eccessi di profitto delle singole imprese; rispondere alle esigenze dei consumatori; realizzare un migliore utilizzo e un risparmio delle risorse; premiare gli sforzi imprenditoriali e l'abilità di innovazione; far circolare l'informazione, in modo che sia davvero possibile confrontare e acquistare i prodotti in un contesto di sana concorrenza.
348 Il libero mercato non può essere giudicato prescindendo dai fini che persegue e dai valori che trasmette a livello sociale. Il mercato, infatti, non può trovare in se stesso il principio della propria legittimazione. Spetta alla coscienza individuale e alla responsabilità pubblica stabilire un giusto rapporto tra mezzi e fini. 728 L'utile individuale dell'operatore economico, sebbene legittimo, non deve mai diventare l'unico obiettivo. Accanto ad esso, ne esiste un altro, altrettanto fondamentale e superiore, quello dell'utilità sociale, che deve trovare realizzazione non in contrasto, ma in coerenza con la logica di mercato. Quando svolge le importanti funzioni sopra ricordate, il libero mercato diventa funzionale al bene comune e allo sviluppo integrale dell'uomo, mentre l'inversione del rapporto tra mezzi e fini può farlo degenerare in una istituzione disumana e alienante, con ripercussioni incontrollabili.
349 La dottrina sociale della Chiesa, pur riconoscendo al mercato la funzione di strumento insostituibile di regolazione all'interno del sistema economico, mette in evidenza la necessità di ancorarlo a finalità morali, che assicurino e, nello stesso tempo, circoscrivano adeguatamente lo spazio della sua autonomia. 729 L'idea che si possa affidare al solo mercato la fornitura di tutte le categorie di beni non è condivisibile, perché basata su una visione riduttiva della persona e della società. 730 Di fronte al concreto rischio di un'« idolatria » del mercato, la dottrina sociale della Chiesa ne sottolinea il limite, facilmente rilevabile nella sua constatata incapacità di soddisfare esigenze umane importanti, per le quali c'è bisogno di beni che, « per loro natura, non sono né possono essere semplici merci », 731 beni non negoziabili secondo la regola dello « scambio di equivalenti » e la logica del contratto, tipiche del mercato.
350 Il mercato assume una funzione sociale rilevante nelle società contemporanee, perciò è importante individuarne le potenzialità più positive e creare condizioni che ne permettano il concreto dispiegamento. Gli operatori devono essere effettivamente liberi di confrontare, valutare e scegliere tra varie opzioni, tuttavia la libertà, in ambito economico, deve essere regolata da un appropriato quadro giuridico, tale da porla al servizio della libertà umana integrale: « la libertà economica è soltanto un elemento della libertà umana. Quando quella si rende autonoma, quando cioè l'uomo è visto più come un produttore o un consumatore di beni che come un soggetto che produce e consuma per vivere, allora perde la sua necessaria relazione con la persona umana e finisce con l'alienarla ed opprimerla ». 732
b) L'azione dello Stato
351 L'azione dello Stato e degli altri poteri pubblici deve conformarsi al principio di sussidiarietà e creare situazioni favorevoli al libero esercizio dell'attività economica; essa deve anche ispirarsi al principio di solidarietà e stabilire dei limiti all'autonomia delle parti per difendere la più debole. 733 La solidarietà senza sussidiarietà, infatti, può degenerare facilmente in assistenzialismo, mentre la sussidiarietà senza solidarietà rischia di alimentare forme di localismo egoistico. Per rispettare questi due fondamentali principi, l'intervento dello Stato in ambito economico non deve essere né invadente, né carente, bensì commisurato alle reali esigenze della società: « Lo Stato ... ha il dovere di assecondare l'attività delle imprese, creando condizioni che assicurino occasioni di lavoro, stimolandola ove essa risulti insufficiente o sostenendola nei momenti di crisi. Lo Stato, ancora, ha il diritto di intervenire quando situazioni particolari di monopolio creino remore o ostacoli per lo sviluppo. Ma, oltre a questi compiti di armonizzazione e di guida dello sviluppo, esso può svolgere funzioni di supplenza in situazioni eccezionali ». 734
352 Il compito fondamentale dello Stato in ambito economico è quello di definire un quadro giuridico atto a regolare i rapporti economici, al fine di « salvaguardare... le condizioni prime di un'economia libera, che presuppone una certa eguaglianza tra le parti, tale che una di esse non sia tanto più potente dell'altra da poterla ridurre praticamente in schiavitù ». 735 L'attività economica, soprattutto in un contesto di libero mercato, non può svolgersi in un vuoto istituzionale, giuridico e politico: « Essa suppone, al contrario, sicurezza circa le garanzie della libertà individuale e della proprietà, oltre che una moneta stabile e servizi pubblici efficienti ». 736 Per assolvere il suo compito, lo Stato deve elaborare un'opportuna legislazione, ma anche indirizzare in modo oculato le politiche economiche e sociali, così da non diventare mai prevaricatore nelle varie attività di mercato, il cui svolgimento deve rimanere libero da sovrastrutture e costrizioni autoritarie o, peggio, totalitarie.
353 Occorre che mercato e Stato agiscano di concerto l'uno con l'altro e si rendano complementari. Il libero mercato può recare effetti benefici per la collettività soltanto in presenza di un'organizzazione dello Stato che definisca e orienti la direzione dello sviluppo economico, che faccia rispettare regole eque e trasparenti, che intervenga anche in modo diretto, per il tempo strettamente necessario, 737 nei casi in cui il mercato non riesce a ottenere i risultati di efficienza desiderati e quando si tratta di tradurre in atto il principio ridistributivo. In alcuni ambiti, il mercato, infatti, non è in grado, facendo leva sui propri meccanismi, di garantire una distribuzione equa di alcuni beni e servizi essenziali alla crescita umana dei cittadini: in questo caso la complementarità tra Stato e mercato è quanto mai necessaria.
354 Lo Stato può sollecitare i cittadini e le imprese alla promozione del bene comune provvedendo ad attuare una politica economica che favorisca la partecipazione di tutti i suoi cittadini alle attività produttive. Il rispetto del principio di sussidiarietà deve spingere le autorità pubbliche a ricercare condizioni favorevoli allo sviluppo delle capacità d'iniziativa individuali, dell'autonomia e della responsabilità personali dei cittadini, astenendosi da ogni intervento che possa costituire un condizionamento indebito delle forze imprenditoriali.
In vista del bene comune si deve sempre perseguire con costante determinazione l'obiettivo di un giusto equilibrio tra libertà privata ed azione pubblica, intesa sia come intervento diretto in economia, sia come attività di sostegno allo sviluppo economico. In ogni caso, l'intervento pubblico dovrà attenersi a criteri di equità, razionalità ed efficienza, e non sostituire l'azione dei singoli, contro il loro diritto alla libertà di iniziativa economica. Lo Stato, in questo caso, diventa deleterio per la società: un intervento diretto troppo pervasivo finisce per deresponsabilizzare i cittadini e produce una crescita eccessiva di apparati pubblici guidati più da logiche burocratiche che dall'obiettivo di soddisfare i bisogni delle persone. 738
355 La raccolta fiscale e la spesa pubblica assumono un'importanza economica cruciale per ogni comunità civile e politica: l'obiettivo verso cui tendere è una finanza pubblica capace di proporsi come strumento di sviluppo e di solidarietà. Una finanza pubblica equa, efficiente, efficace, produce effetti virtuosi sull'economia, perché riesce a favorire la crescita dell'occupazione, a sostenere le attività imprenditoriali e le iniziative senza scopo di lucro, e contribuisce ad accrescere la credibilità dello Stato quale garante dei sistemi di previdenza e di protezione sociale, destinati in particolare a proteggere i più deboli.
La finanza pubblica si orienta al bene comune quando si attiene ad alcuni fondamentali principi: il pagamento delle imposte  739 come specificazione del dovere di solidarietà; razionalità ed equità nell'imposizione dei tributi;  740 rigore e integrità nell'amministrazione e nella destinazione delle risorse pubbliche. 741 Nel ridistribuire le risorse, la finanza pubblica deve seguire i principi della solidarietà, dell'uguaglianza, della valorizzazione dei talenti, e prestare grande attenzione a sostenere le famiglie, destinando a tal fine un'adeguata quantità di risorse. 742
c) Il ruolo dei corpi intermedi
356 Il sistema economico-sociale deve essere caratterizzato dalla compresenza di azione pubblica e privata, inclusa l'azione privata senza finalità di lucro. Si configura in tal modo una pluralità di centri decisionali e di logiche di azione. Vi sono alcune categorie di beni, collettivi e di uso comune, la cui utilizzazione non può dipendere dai meccanismi del mercato  743 e non è neppure di esclusiva competenza dello Stato. Il compito dello Stato, in relazione a questi beni, è piuttosto quello di valorizzare tutte le iniziative sociali ed economiche che hanno effetti pubblici, promosse dalle formazioni intermedie. La società civile, organizzata nei suoi corpi intermedi, è capace di contribuire al conseguimento del bene comune ponendosi in un rapporto di collaborazione e di efficace complementarità rispetto allo Stato e al mercato, favorendo così lo sviluppo di un'opportuna democrazia economica. In un simile contesto, l'intervento dello Stato va improntato all'esercizio di una vera solidarietà, che come tale non deve mai essere disgiunta dalla sussidiarietà.
357 Le organizzazioni private senza fine di lucro hanno un loro spazio specifico in ambito economico. Contraddistingue tali organizzazioni il coraggioso tentativo di coniugare armonicamente efficienza produttiva e solidarietà. In genere esse si costituiscono sulla base di un patto associativo e sono espressione di una comune tensione ideale dei soggetti che liberamente decidono di aderirvi. Lo Stato è chiamato a rispettare la natura di queste organizzazioni e a valorizzarne le caratteristiche, dando concreta attuazione al principio di sussidiarietà, che postula appunto un rispetto e una promozione della dignità e dell'autonoma responsabilità del soggetto « sussidiato ».
d) Risparmio e consumo
358 I consumatori, che in molti casi dispongono di ampi margini di potere d'acquisto, ben al di là della soglia di sussistenza, possono notevolmente influenzare la realtà economica con le loro libere scelte tra consumo e risparmio. La possibilità di influire sulle scelte del sistema economico, infatti, è nelle mani di chi deve decidere sulla destinazione delle proprie risorse finanziarie. Oggi più che in passato è possibile valutare le alternative disponibili non solo sulla base del previsto rendimento o del loro grado di rischio, ma anche esprimendo un giudizio di valore sui progetti di investimento che le risorse andranno a finanziare, nella consapevolezza che « la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale ». 744
359 L'utilizzo del proprio potere d'acquisto va esercitato nel contesto delle esigenze morali della giustizia e della solidarietà e di precise responsabilità sociali: non bisogna dimenticare « il dovere della carità, cioè il dovere di sovvenire col proprio "superfluo" e, talvolta, anche col proprio "necessario" per dare ciò che è indispensabile alla vita del povero ». 745 Tale responsabilità conferisce ai consumatori la possibilità di indirizzare, grazie alla maggiore circolazione delle informazioni, il comportamento dei produttori, mediante la decisione — individuale o collettiva — di preferire i prodotti di alcune imprese anziché di altre, tenendo conto non solo dei prezzi e della qualità dei prodotti, ma anche dell'esistenza di corrette condizioni di lavoro nelle imprese, nonché del grado di tutela assicurato per l'ambiente naturale che lo circonda.
360 Il fenomeno del consumismo mantiene un persistente orientamento verso l'« avere » anziché verso l'« essere ». Esso impedisce di « distinguere correttamente le forme nuove e più elevate di soddisfacimento dei bisogni umani dai nuovi bisogni indotti, che ostacolano la formazione di una matura personalità ». 746 Per contrastare questo fenomeno è necessario adoperarsi per costruire « stili di vita, nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ». 747 È innegabile che le influenze del contesto sociale sugli stili di vita sono notevoli: per questo la sfida culturale, che oggi il consumismo pone, deve essere affrontata con maggiore incisività, soprattutto se si considerano le generazioni future, le quali rischiano di dover vivere in un ambiente naturale saccheggiato a causa di un consumo eccessivo e disordinato. 748

V. LE « RES NOVAE » IN ECONOMIA

a) La globalizzazione: le opportunità e i rischi
361 Il nostro tempo è segnato dal complesso fenomeno della globalizzazione economico-finanziaria, cioè un processo di crescente integrazione delle economie nazionali, sul piano del commercio di beni e servizi e delle transazioni finanziarie, nel quale un numero sempre maggiore di operatori assume un orizzonte globale per le scelte che deve operare in funzione delle opportunità di crescita e di profitto. Il nuovo orizzonte della società globale non è dato semplicemente dalla presenza di legami economici e finanziari tra attori nazionali operanti in Paesi diversi, che sono peraltro sempre esistiti, quanto piuttosto dalla pervasività e dalla natura assolutamente inedita del sistema di relazioni che si va sviluppando. Sempre più decisivo e centrale diventa il ruolo dei mercati finanziari, le cui dimensioni, in seguito alla liberalizzazione degli scambi e alla circolazione dei capitali, si sono accresciute enormemente con una velocità impressionante, al punto da consentire agli operatori di spostare « in tempo reale », da una parte all'altra del globo, capitali in grandi quantità. Si tratta di una realtà multiforme e non semplice da decifrare, in quanto si dispiega su vari livelli ed evolve continuamente, lungo traiettorie difficilmente prevedibili.
362 La globalizzazione alimenta nuove speranze, ma origina anche inquietanti interrogativi. 749
Essa può produrre effetti potenzialmente benefici per l'intera umanità: intrecciandosi con l'impetuoso sviluppo delle telecomunicazioni, il percorso di crescita del sistema di relazioni economiche e finanziarie ha consentito simultaneamente una notevole riduzione nei costi delle comunicazioni e delle nuove tecnologie, nonché un'accelerazione nel processo di estensione su scala planetaria degli scambi commerciali e delle transazioni finanziarie. In altre parole, è accaduto che i due fenomeni, globalizzazione economico-finanziaria e progresso tecnologico, si sono rafforzati a vicenda, rendendo estremamente rapida la dinamica complessiva dell'attuale fase economica.
Analizzando il contesto attuale, oltre ad individuare le opportunità che si dischiudono nell'era dell'economia globale, si colgono anche i rischi legati alle nuove dimensioni delle relazioni commerciali e finanziarie. Non mancano, infatti, indizi rivelatori di una tendenza all'aumento delle disuguaglianze, sia tra Paesi avanzati e Paesi in via di sviluppo, sia all'interno dei Paesi industrializzati. Alla crescente ricchezza economica resa possibile dai processi descritti si accompagna una crescita della povertà relativa.
363 La cura del bene comune impone di cogliere le nuove occasioni di ridistribuzione di ricchezza tra le diverse aree del pianeta, a vantaggio di quelle più sfavorite e finora rimaste escluse o ai margini del progresso sociale ed economico:  750 « La sfida insomma è quella di assicurare una globalizzazione nella solidarietà, una globalizzazione senza marginalizzazione ». 751 Lo stesso progresso tecnologico rischia di ripartire iniquamente tra i Paesi i propri effetti positivi. Le innovazioni, infatti, possono penetrare e diffondersi all'interno di una determinata collettività, se i loro potenziali beneficiari raggiungono una soglia minima di sapere e di risorse finanziarie: è evidente che, in presenza di forti disparità tra i Paesi nell'accesso alle conoscenze tecnico-scientifiche e ai più recenti prodotti tecnologici, il processo di globalizzazione finisce per allargare, anziché ridurre, le disuguaglianze tra i Paesi in termini di sviluppo economico e sociale. Data la natura delle dinamiche in atto, la libera circolazione di capitali non è di per sé sufficiente a favorire l'avvicinamento dei Paesi in via di sviluppo a quelli più avanzati.
364 Il commercio rappresenta una componente fondamentale delle relazioni economiche internazionali, contribuendo in maniera determinante alla specializzazione produttiva e alla crescita economica dei diversi Paesi. Oggi più che mai il commercio internazionale, se opportunamente orientato, promuove lo sviluppo ed è capace di creare nuova occupazione e di fornire utili risorse. La dottrina sociale ha più volte messo in luce le distorsioni del sistema commerciale internazionale 752 che spesso, a causa delle politiche protezionistiche, discrimina i prodotti provenienti dai Paesi poveri ed ostacola la crescita di attività industriali e il trasferimento di tecnologie verso tali Paesi. 753 Il continuo deterioramento nei termini di scambio delle materie prime e l'aggravarsi del divario tra Paesi ricchi e poveri ha spinto il Magistero a richiamare l'importanza dei criteri etici che dovrebbero orientare le relazioni economiche internazionali: il perseguimento del bene comune e la destinazione universale dei beni; l'equità nelle relazioni commerciali; l'attenzione ai diritti e ai bisogni dei più poveri nelle politiche commerciali e di cooperazione internazionale. Diversamente, « i poveri restano ognora poveri, mentre i ricchi diventano sempre più ricchi ». 754
365 Una solidarietà adeguata all'era della globalizzazione richiede la difesa dei diritti umani. A questo riguardo il Magistero segnala che non solo « la prospettiva ... di un'autorità pubblica internazionale a servizio dei diritti umani, della libertà e della pace, non si è ancora interamente realizzata, ma si deve registrare, purtroppo, la non infrequente esitazione della comunità internazionale nel dovere di rispettare e applicare i diritti umani. Questo dovere tocca tutti i diritti fondamentali e non consente scelte arbitrarie, che porterebbero a realizzare forme di discriminazione e di ingiustizia. Allo stesso tempo, siamo testimoni dell'affermarsi di una preoccupante forbice tra una serie di nuovi "diritti" promossi nelle società tecnologicamente avanzate e diritti umani elementari che tuttora non vengono soddisfatti soprattutto in situazioni di sottosviluppo: penso, ad esempio, al diritto al cibo, all'acqua potabile, alla casa, all'auto-determinazione e all'indipendenza ». 755
366 L'estensione della globalizzazione deve essere accompagnata da una più matura presa di coscienza, da parte delle organizzazioni della società civile, dei nuovi compiti ai quali sono chiamate a livello mondiale. Anche grazie ad un'azione incisiva da parte di queste organizzazioni, sarà possibile collocare l'attuale processo di crescita dell'economia e della finanza su scala planetaria in un orizzonte che garantisca un effettivo rispetto dei diritti dell'uomo e dei popoli nonché un'equa distribuzione delle risorse, all'interno di ogni Paese e tra Paesi diversi: « La libertà degli scambi non è equa se non subordinatamente alle esigenze della giustizia sociale ». 756
Particolare attenzione va riservata alle specificità locali e alle diversità culturali, che rischiano di essere compromesse dai processi economico-finanziari in atto: « La globalizzazione non deve essere un nuovo tipo di colonialismo. Deve rispettare la diversità delle culture che, nell'ambito dell'armonia universale dei popoli, sono le chiavi interpretative della vita. In particolare, non deve privare i poveri di ciò che resta loro di più prezioso, incluse le credenze e le pratiche religiose, poiché convinzioni religiose autentiche sono la manifestazione più chiara della libertà umana ». 757
367 Nell'epoca della globalizzazione va sottolineata con forza la solidarietà fra le generazioni: « In passato la solidarietà tra le generazioni era in molti Paesi un atteggiamento naturale da parte della famiglia; oggi è diventato anche un dovere della comunità ». 758 È bene che tale solidarietà continui ad essere perseguita nelle comunità politiche nazionali, ma oggi il problema si pone anche per la comunità politica globale, affinché la mondializzazione non si realizzi a discapito dei più bisognosi e dei più deboli. La solidarietà tra le generazioni richiede che nella pianificazione globale si agisca secondo il principio dell'universale destinazione dei beni, che rende illecito moralmente e controproducente economicamente scaricare i costi attuali sulle future generazioni: illecito moralmente perché significa non assumersi le dovute responsabilità, controproducente economicamente perché la correzione dei guasti è più dispendiosa della prevenzione. Questo principio va applicato soprattutto — anche se non solo — nel campo delle risorse della terra e della salvaguardia del creato, reso particolarmente delicato dalla globalizzazione, la quale riguarda tutto il pianeta, inteso come unico ecosistema. 759
b) Il sistema finanziario internazionale
368 I mercati finanziari non sono certo una novità della nostra epoca: già da molto tempo, in varie forme, essi si sono fatti carico di rispondere all'esigenza di finanziare attività produttive. L'esperienza storica attesta che, in assenza di sistemi finanziari adeguati, non si sarebbe avuta crescita economica. Gli investimenti su larga scala, tipici delle moderne economie di mercato, non sarebbero stati possibili senza il fondamentale ruolo di intermediazione svolto dai mercati finanziari, che ha permesso, tra l'altro, di apprezzare le funzioni positive del risparmio per lo sviluppo complessivo del sistema economico e sociale. Se la creazione di quello che è stato definito il « mercato globale dei capitali » ha prodotto effetti benefici, grazie al fatto che la maggiore mobilità dei capitali ha permesso alle attività produttive di avere più facilmente disponibilità di risorse, l'accresciuta mobilità, d'altra parte, ha fatto aumentare anche il rischio di crisi finanziarie. Lo sviluppo della finanza, le cui transazioni hanno superato di gran lunga, in volume, quelle reali, rischia di seguire una logica sempre più autoreferenziale, senza collegamento con la base reale dell'economia.
369 Un'economia finanziaria fine a se stessa è destinata a contraddire le sue finalità, poiché si priva delle proprie radici e della propria ragione costitutiva, ossia del suo ruolo originario ed essenziale di servizio all'economia reale e, in definitiva, di sviluppo delle persone e delle comunità umane. Il quadro complessivo risulta ancora più preoccupante alla luce della configurazione fortemente asimmetrica che contraddistingue il sistema finanziario internazionale: i processi di innovazione e di deregolamentazione dei mercati finanziari tendono infatti a consolidarsi solo in alcune parti del globo. Ciò è fonte di gravi preoccupazioni di natura etica, perché i Paesi esclusi dai processi descritti, pur non godendo dei benefici da questi prodotti, non sono tuttavia al riparo da eventuali conseguenze negative dell'instabilità finanziaria sui loro sistemi economici reali, soprattutto se fragili e in ritardo di sviluppo. 760
L'improvvisa accelerazione di processi quali l'enorme incremento nel valore dei portafogli amministrati dalle istituzioni finanziarie e il rapido proliferare di nuovi e sofisticati strumenti finanziari rende quanto mai urgente l'individuazione di soluzioni istituzionali capaci di favorire efficacemente la stabilità del sistema, senza ridurne le potenzialità e l'efficienza. È indispensabile introdurre un quadro normativo che consenta di tutelare tale stabilità in tutte le sue complesse articolazioni, di promuovere la concorrenza tra gli intermediari e di assicurare la massima trasparenza a vantaggio degli investitori.
c) Il ruolo della comunità internazionale nell'epoca dell'economia globale
370 La perdita di centralità da parte degli attori statali deve coincidere con un maggior impegno della comunità internazionale nell'esercizio di un deciso ruolo di indirizzo economico e finanziario. Un'importante conseguenza del processo di globalizzazione, infatti, consiste nella graduale perdita di efficacia dello Stato nazione nella guida delle dinamiche economico-finanziarie nazionali. I Governi dei singoli Paesi vedono la propria azione in campo economico e sociale sempre più fortemente condizionata dalle aspettative dei mercati internazionali dei capitali e dalle sempre più incalzanti richieste di credibilità provenienti dal mondo finanziario. A causa dei nuovi legami tra gli operatori globali, le tradizionali misure difensive degli Stati appaiono condannate al fallimento e, di fronte alle nuove aree della competizione, passa in secondo piano la nozione stessa di mercato nazionale.
371 Quanto più il sistema economico-finanziario mondiale raggiunge livelli elevati di complessità organizzativa e funzionale, tanto più si pone come prioritario il compito di regolare tali processi, finalizzandoli al conseguimento del bene comune della famiglia umana. Emerge concretamente l'esigenza che, oltre agli Stati nazionali, sia la stessa comunità internazionale ad assumersi questa delicata funzione, con strumenti politici e giuridici adeguati ed efficaci.
È dunque indispensabile che le istituzioni economiche e finanziarie internazionali sappiano individuare le soluzioni istituzionali più appropriate ed elaborino le strategie di azione più opportune allo scopo di orientare un cambiamento che, se venisse subìto passivamente e abbandonato a se stesso, provocherebbe esiti drammatici soprattutto a danno degli strati più deboli e indifesi della popolazione mondiale.
Negli Organismi internazionali devono essere equamente rappresentati gli interessi della grande famiglia umana; è necessario che queste istituzioni, « nel valutare le conseguenze delle loro decisioni, tengano sempre adeguato conto di quei popoli e Paesi che hanno scarso peso sul mercato internazionale, ma concentrano i bisogni più vivi e dolenti e necessitano di maggior sostegno per il loro sviluppo ». 761
372 Anche la politica, al pari dell'economia, deve saper estendere il proprio raggio d'azione al di là dei confini nazionali, acquisendo rapidamente quella dimensione operativa mondiale che le può consentire di indirizzare i processi in atto alla luce di parametri non solo economici, ma anche morali. L'obiettivo di fondo sarà quello di guidare tali processi assicurando il rispetto della dignità dell'uomo e lo sviluppo completo della sua personalità, nell'orizzonte del bene comune. 762 L'assunzione di questo compito comporta la responsabilità di accelerare il consolidamento delle istituzioni esistenti così come la creazione di nuovi organi cui affidare tali responsabilità. 763 Lo sviluppo economico, infatti, può essere duraturo se si dispiega all'interno di un quadro chiaro e definito di norme e di un ampio progetto di crescita morale, civile e culturale dell'intera famiglia umana.
d) Uno sviluppo integrale e solidale
373 Uno dei compiti fondamentali degli attori dell'economia internazionale è il raggiungimento di uno sviluppo integrale e solidale per l'umanità, vale a dire, « la promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo ». 764 Tale compito richiede una concezione dell'economia che garantisca, a livello internazionale, l'equa distribuzione delle risorse e risponda alla coscienza dell'interdipendenza — economica, politica e culturale — che unisce ormai definitivamente i popoli tra loro e li fa sentire legati ad un unico destino. 765 I problemi sociali assumono sempre più una dimensione planetaria. Nessuno Stato può più affrontarli e risolverli da solo. Le attuali generazioni toccano con mano la necessità della solidarietà e avvertono concretamente il bisogno di superare la cultura individualistica. 766 Si registra sempre più diffusamente l'esigenza di modelli di sviluppo che non prevedano solo « di elevare tutti i popoli al livello di cui godono oggi i Paesi più ricchi, ma di costruire nel lavoro solidale una vita più degna, di far crescere effettivamente la dignità e la creatività di ogni singola persona, la sua capacità di rispondere alla propria vocazione e, dunque, all'appello di Dio, in essa contenuto ». 767
374 Uno sviluppo più umano e solidale gioverà anche agli stessi Paesi ricchi. Essi « avvertono spesso una sorta di smarrimento esistenziale, un'incapacità di vivere e di godere rettamente il senso della vita, pur in mezzo all'abbondanza dei beni materiali, un'alienazione e una perdita della propria umanità in molte persone, che si sentono ridotte al ruolo di ingranaggi nel meccanismo della produzione e del consumo e non trovano il modo di affermare la propria dignità di uomini, fatti a immagine e somiglianza di Dio ». 768 I Paesi ricchi hanno dimostrato di avere la capacità di creare benessere materiale, ma sovente a spese dell'uomo e delle fasce sociali più deboli: « non si può ignorare che le frontiere della ricchezza e della povertà attraversano al loro interno le stesse società sia sviluppate che in via di sviluppo. Difatti, come esistono diseguaglianze sociali fino a livello di miseria nei Paesi ricchi, così, parallelamente, nei Paesi meno sviluppati si vedono non di rado manifestazioni di egoismo e ostentazioni di ricchezza, tanto sconcertanti quanto scandalose ». 769
e) La necessità di una grande opera educativa e culturale
375 Per la dottrina sociale, l'economia « è solo un aspetto ed una dimensione della complessa attività umana. Se essa è assolutizzata, se la produzione ed il consumo delle merci finiscono con l'occupare il centro della vita sociale e diventano l'unico valore della società, non subordinato ad alcun altro, la causa va ricercata non solo e non tanto nel sistema economico stesso, quanto nel fatto che l'intero sistema socio-culturale, ignorando la dimensione etica e religiosa, si è indebolito e ormai si limita solo alla produzione dei beni e dei servizi ». 770 La vita dell'uomo, al pari di quella sociale della collettività, non può essere ridotta ad una dimensione materialistica, anche se i beni materiali sono estremamente necessari sia ai fini della pura sopravvivenza, sia per il miglioramento del tenore di vita: « alla base di ogni sviluppo completo della società umana sta la crescita del senso di Dio e della conoscenza di sé ». 771
376 Di fronte all'incedere rapido del progresso tecnico-economico e alla mutevolezza, altrettanto rapida, dei processi di produzione e di consumo, il Magistero avverte l'esigenza di proporre una grande opera educativa e culturale: « la domanda di un'esistenza qualitativamente più soddisfacente e più ricca è in sé cosa legittima; ma non si possono non sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica... Individuando nuovi bisogni e nuove modalità per il loro soddisfacimento, è necessario lasciarsi guidare da un'immagine integrale dell'uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali... È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l'educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità ». 772

  
CAPITOLO OTTAVO
LA COMUNITÀ POLITICA
I. ASPETTI BIBLICI

a) La signoria di Dio
377 Il popolo di Israele, nella fase iniziale della sua storia, non ha re, come gli altri popoli, perché riconosce soltanto la signoria di Jahve. È Dio che interviene nella storia attraverso uomini carismatici, come testimonia il Libro dei Giudici. All'ultimo di questi uomini, Samuele, profeta e giudice, il popolo chiederà un re (cfr. 1 Sam 8,5; 10,18-19). Samuele mette in guardia gli Israeliti circa le conseguenze di un esercizio dispotico della regalità (cfr. 1 Sam 8,11-18) ); il potere regale, tuttavia, può essere anche sperimentato come dono di Jahve che viene in soccorso del Suo popolo (cfr. 1 Sam 9,16). Alla fine, Saul riceverà l'unzione regale (cfr. 1 Sam 10,1- 2). La vicenda evidenzia le tensioni che portarono Israele ad una concezione della regalità diversa da quella dei popoli vicini: il re, scelto da Jahve (cfr. Dt 17,15; 1 Sam 9,16) e da Lui consacrato (cfr. 1 Sam 16,12-13), sarà visto come Suo figlio (cfr. Sal 2,7) e dovrà renderne visibile la signoria e il disegno di salvezza (cfr. Sal 72). Dovrà dunque farsi difensore dei deboli e assicurare al popolo la giustizia: le denunce dei profeti si appunteranno proprio sulle inadempienze dei re (cfr. 1 Re 21; Is 10,1-4; Am 2,6-8; 8,4-8; Mi 3,1-4).
378 Il prototipo del re scelto da Jahve è Davide, di cui il racconto biblico sottolinea con compiacimento l'umile condizione (cfr. 1 Sam 16,1-13). Davide è il depositario della promessa (cfr. 2 Sam 7,13-16; Sal 89,2-38; 132,11-18), che lo rende iniziatore di una speciale tradizione regale, la tradizione « messianica ». Essa, nonostante tutti i peccati e le infedeltà dello stesso Davide e dei suoi successori, culmina in Gesù Cristo, l'« unto di Jahve » (cioè « consacrato del Signore »: cfr. 1 Sam 2,35; 24,7.11; 26,9.16; cfr. anche Es 30,22-32) per eccellenza, figlio di Davide (cfr. le due genealogie in Mt 1,1-17 e Lc 3,23-38; cfr. anche Rm 1,3).
Il fallimento sul piano storico della regalità non porterà alla scomparsa dell'ideale di un re che, nella fedeltà a Jahve, governi con saggezza e operi la giustizia. Questa speranza riappare più volte nei Salmi (cfr. Sal 2; 18; 20; 21; 72). Negli oracoli messianici è attesa, per il tempo escatologico, la figura di un re abitato dallo Spirito del Signore, pieno di sapienza e in grado di rendere giustizia ai poveri (cfr. Is 11,2-5; Ger 23,5-6). Vero pastore del popolo d'Israele (cfr. Ez 34,23-24; 37,24), egli porterà la pace alle genti (cfr. Zc 9,9-10). Nella letteratura sapienziale, il re è presentato come colui che pronuncia giusti giudizi e aborrisce l'iniquità (cfr. Pr 16,12), giudica i poveri con equità (cfr. Pr 29,14) ed è amico dell'uomo dal cuore puro (cfr. Pr 22,11). Diventa via via più esplicito l'annuncio di quanto i Vangeli e gli altri testi del Nuovo Testamento vedono realizzato in Gesù di Nazaret, incarnazione definitiva della figura del re descritta nell'Antico Testamento.
b) Gesù e l'autorità politica
379 Gesù rifiuta il potere oppressivo e dispotico dei capi sulle Nazioni (cfr. Mc 10,42) e la loro pretesa di farsi chiamare benefattori (cfr. Lc 22,25), ma non contesta mai direttamente le autorità del Suo tempo. Nella diatriba sul tributo da dare a Cesare (cfr. Mc 12,13-17; Mt 22,15-22; Lc 20,20-26), Egli afferma che occorre dare a Dio quello che è di Dio, condannando implicitamente ogni tentativo di divinizzazione e di assolutizzazione del potere temporale: solo Dio può esigere tutto dall'uomo. Nello stesso tempo, il potere temporale ha diritto a ciò che gli è dovuto: Gesù non considera ingiusto il tributo a Cesare.
Gesù, il Messia promesso, ha combattuto e sconfitto la tentazione di un messianismo politico, caratterizzato dal dominio sulle Nazioni (cfr. Mt 4,8- 11; Lc 4,5-8). Egli è il Figlio dell'uomo venuto « per servire e dare la propria vita » (Mc 10,45; cfr. Mt 20,24-28; Lc 22,24-27). Ai Suoi discepoli che discutono su chi sia il più grande, il Signore insegna a farsi ultimi e a servire tutti (cfr. Mc 9,33-35), indicando ai figli di Zebedèo, Giacomo e Giovanni, che ambiscono a sedersi alla Sua destra, il cammino della croce (cfr. Mc 10,35-40; Mt 20,20-23).
c) Le prime comunità cristiane
380 La sottomissione, non passiva, ma per ragioni di coscienza (cfr. Rm 13,5), al potere costituito risponde all'ordine stabilito da Dio. San Paolo definisce i rapporti e i doveri dei cristiani verso le autorità (cfr. Rm 13,1- 7). Insiste sul dovere civico di pagare i tributi: « Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi il tributo, il tributo; a chi le tasse, le tasse; a chi il timore, il timore; a chi il rispetto, il rispetto » (Rm 13,7). L'Apostolo non intende certo legittimare ogni potere, quanto piuttosto aiutare i cristiani a « compiere il bene davanti a tutti gli uomini » (Rm 12,17), anche nei rapporti con l'autorità, in quanto essa è al servizio di Dio per il bene della persona (cfr. Rm 13,4; 1 Tm 2,1-2; Tt 3,1) e « per la giusta condanna di chi opera il male » (Rm 13,4).
San Pietro esorta i cristiani a stare « sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore » (1 Pt 2,13). Il re e i suoi governatori hanno il compito di « punire i malfattori e premiare i buoni » (1 Pt 2,14). La loro autorità deve essere « onorata » (cfr. 1 Pt 2,17), cioè riconosciuta, perché Dio esige un comportamento retto, che chiuda « la bocca all'ignoranza degli stolti » (1 Pt 2,15). La libertà non può essere usata per coprire la propria malizia, ma per servire Dio (cfr. ib.). Si tratta allora di un'obbedienza libera e responsabile ad un'autorità che fa rispettare la giustizia, assicurando il bene comune.
381 La preghiera per i governanti, raccomandata da san Paolo durante le persecuzioni, indica esplicitamente ciò che l'autorità politica deve garantire: una vita calma e tranquilla, da trascorrere con tutta pietà e dignità (cfr. 1 Tm 2,1-2). I cristiani devono « essere pronti per ogni opera buona » (Tt 3,1), « mostrando ogni dolcezza verso tutti gli uomini » (Tt 3,2), consapevoli di essere stati salvati non per le loro opere, ma per la misericordia di Dio. Senza « un lavacro di rigenerazione e di rinnovamento nello Spirito Santo, effuso [da Dio] su di noi abbondantemente per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro » (Tt 3,5-6), tutti gli uomini sono « insensati, disobbedienti, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, [vivono] nella malvagità e nell'invidia, degni di odio e [odiandosi] a vicenda » (Tt 3,3). Non si deve dimenticare la miseria della condizione umana, segnata dal peccato e riscattata dall'amore di Dio.
382 Quando il potere umano esce dai limiti dell'ordine voluto da Dio, si autodivinizza e chiede l'assoluta sottomissione; diventa allora la Bestia dell'Apocalisse, immagine del potere imperiale persecutore, ebbro « del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù » (Ap 17,6). La Bestia ha al suo servizio il « falso profeta » (Ap 19,20), che spinge gli uomini ad adorarla con portenti che seducono. Questa visione addita profeticamente tutte le insidie usate da Satana per governare gli uomini, insinuandosi nel loro spirito con la menzogna. Ma Cristo è l'Agnello Vincitore di ogni potere che si assolutizza, nel corso della storia umana. Di fronte a tale potere, san Giovanni raccomanda la resistenza dei martiri: in questo modo i credenti testimoniano che il potere corrotto e satanico è vinto, perché non ha più nessun ascendente su di loro.
383 La Chiesa annuncia che Cristo, vincitore della morte, regna sull'universo che Egli stesso ha riscattato. Il Suo regno si estende anche nel tempo presente e finirà soltanto quando tutto sarà consegnato al Padre e la storia umana si compirà con il giudizio finale (cfr. 1 Cor 15,20-28). Cristo svela all'autorità umana, sempre tentata dal dominio, il suo significato autentico e compiuto di servizio. Dio è Padre unico e Cristo unico maestro per tutti gli uomini, che sono fratelli. La sovranità appartiene a Dio. Il Signore, tuttavia, « non ha voluto riservare solo a sé l'esercizio di tutti i poteri. Egli assegna ad ogni creatura le funzioni che essa è in grado di esercitare, secondo le capacità proprie della sua natura. Questo modo di governare deve essere imitato nella vita sociale. Il comportamento di Dio nel governo del mondo, che testimonia un profondissimo rispetto per la libertà umana, dovrebbe ispirare la saggezza di coloro che governano le comunità umane. Costoro devono comportarsi come ministri della provvidenza divina ». 773
Il messaggio biblico ispira incessantemente il pensiero cristiano sul potere politico, ricordando che esso scaturisce da Dio ed è parte integrante dell'ordine da Lui creato. Tale ordine è percepito dalle coscienze e si realizza, nella vita sociale, mediante la verità, la giustizia, la libertà e la solidarietà che procurano la pace. 774

II. IL FONDAMENTO
E IL FINE DELLA COMUNITÀ POLITICA

a) Comunità politica, persona umana e popolo
384 La persona umana è fondamento e fine della convivenza politica. 775 Dotata di razionalità, essa è responsabile delle proprie scelte e capace di perseguire progetti che danno senso alla sua vita, a livello individuale e sociale. L'apertura verso la Trascendenza e verso gli altri è il tratto che la caratterizza e contraddistingue: soltanto in rapporto con la Trascendenza e con gli altri, la persona umana raggiunge la piena e completa realizzazione di sé. Questo significa che per l'uomo, creatura naturalmente sociale e politica, « la vita sociale non è qualcosa di accessorio », 776 bensì un'essenziale ed ineliminabile dimensione.
La comunità politica scaturisce dalla natura delle persone, la cui coscienza « rivela e ordina perentoriamente di seguire »  777 l'ordine scolpito da Dio in tutte le Sue creature: « un ordine etico-religioso, il quale incide più di ogni altro valore materiale sugli indirizzi e le soluzioni da dare ai problemi della vita individuale ed associata nell'interno delle comunità nazionali e nei rapporti tra esse ». 778 Tale ordine deve essere gradualmente scoperto e sviluppato dall'umanità. La comunità politica, realtà connaturale agli uomini, esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita più piena di ciascuno dei suoi membri, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune, 779 sotto la spinta della loro tensione naturale verso il vero e verso il bene.
385 La comunità politica trova nel riferimento al popolo la sua autentica dimensione: essa « è, e deve essere in realtà, l'unità organica e organizzatrice di un vero popolo ». 780 Il popolo non è una moltitudine amorfa, una massa inerte da manipolare e strumentalizzare, bensì un insieme di persone, ciascuna delle quali « al proprio posto e nel proprio modo » 781 ha la possibilità di formarsi una propria opinione sulla cosa pubblica e la libertà di esprimere la propria sensibilità politica e di farla valere in maniera confacente al bene comune. Il popolo « vive della pienezza della vita degli uomini che lo compongono, ciascuno dei quali ... è una persona consapevole delle proprie responsabilità e delle proprie convinzioni ». 782 Gli appartenenti ad una comunità politica, pur essendo uniti organicamente tra loro come popolo, conservano, tuttavia, un'insopprimibile autonomia a livello di esistenza personale e dei fini da perseguire.
386 Ciò che caratterizza in primo luogo un popolo è la condivisione di vita e di valori, che è fonte di comunione a livello spirituale e morale: « La convivenza umana... deve essere considerata anzitutto come un fatto spirituale: quale comunicazione di conoscenze nella luce del vero; esercizio di diritti e adempimento di doveri; impulso e richiamo al bene morale; e come nobile comune godimento del bello in tutte le sue legittime espressioni; permanente disposizione ad effondere gli uni negli altri il meglio di se stessi; anelito ad una mutua e sempre più ricca assimilazione di valori spirituali: valori nei quali trovano la loro perenne vivificazione e il loro orientamento di fondo le espressioni culturali, il mondo economico, le istituzioni sociali, i movimenti e i regimi politici, gli ordinamenti giuridici e tutti gli altri elementi esteriori, in cui si articola e si esprime la convivenza nel suo evolversi incessante ». 783
387 A ogni popolo corrisponde in generale una Nazione, ma per varie ragioni non sempre i confini nazionali coincidono con quelli etnici. 784 Sorge così la questione delle minoranze, che storicamente ha originato non pochi conflitti. Il Magistero afferma che le minoranze costituiscono gruppi con specifici diritti e doveri. In primo luogo, un gruppo minoritario ha diritto alla propria esistenza: « Tale diritto può essere disatteso in diverse maniere, fino ai casi estremi in cui è negato mediante forme manifeste o indirette di genocidio ». 785 Inoltre, le minoranze hanno diritto di mantenere la loro cultura, compresa la lingua, nonché le loro convinzioni religiose, compresa la celebrazione del culto. Nella legittima rivendicazione dei propri diritti, le minoranze possono essere spinte a cercare una maggiore autonomia o addirittura l'indipendenza: in tali delicate circostanze, dialogo e negoziato sono il cammino per raggiungere la pace. In ogni caso il ricorso al terrorismo è ingiustificabile e danneggerebbe la causa che si vuole difendere. Le minoranze hanno anche doveri da assolvere tra cui, anzitutto, la cooperazione al bene comune dello Stato in cui sono inserite. In particolare, « un gruppo minoritario ha il dovere di promuovere la libertà e la dignità di ciascuno dei suoi membri e di rispettare le scelte di ogni suo individuo, anche quando uno decidesse di passare alla cultura maggioritaria ». 786
b) Tutelare e promuovere i diritti umani
388 Considerare la persona umana come fondamento e fine della comunità politica significa adoperarsi, innanzi tutto, per il riconoscimento e il rispetto della sua dignità mediante la tutela e la promozione dei diritti fondamentali e inalienabili dell'uomo: « Nell'epoca moderna, l'attuazione del bene comune trova la sua indicazione di fondo nei diritti e nei doveri della persona ». 787 Nei diritti umani sono condensate le principali esigenze morali e giuridiche che devono presiedere alla costruzione della comunità politica. Essi costituiscono una norma oggettiva che sta a fondamento del diritto positivo e che non può essere ignorata dalla comunità politica, perché la persona le è ontologicamente e finalisticamente anteriore: il diritto positivo deve garantire la soddisfazione delle esigenze umane fondamentali.
389 La comunità politica persegue il bene comune operando per la creazione di un ambiente umano in cui ai cittadini sia offerta la possibilità di un reale esercizio dei diritti umani e di un pieno adempimento dei relativi doveri: « l'esperienza attesta che qualora manchi una appropriata azione dei poteri pubblici, gli squilibri economici, sociali e culturali tra gli esseri umani tendono, soprattutto nell'epoca nostra, ad accentuarsi; di conseguenza i fondamentali diritti della persona rischiano di rimanere privi di contenuto; e viene compromesso l'adempimento dei rispettivi doveri ». 788
La piena realizzazione del bene comune richiede che la comunità politica sviluppi, nell'ambito dei diritti umani, una duplice e complementare azione, di difesa e di promozione: « Si deve quindi evitare che, attraverso la preferenza data alla tutela dei diritti di alcuni individui o gruppi sociali, si creino posizioni di privilegio; e si deve pure evitare che, nell'intento di promuovere gli accennati diritti, si arrivi all'assurdo risultato di ridurre eccessivamente o renderne impossibile il genuino esercizio ». 789
c) La convivenza basata sull'amicizia civile
390 Il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall'elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull'amicizia civile e sulla fraternità. 790 Il campo del diritto, infatti, è quello dell'interesse tutelato e del rispetto esteriore, della protezione dei beni materiali e della loro ripartizione secondo regole stabilite; il campo dell'amicizia, invece, è quello del disinteresse, del distacco dai beni materiali, della loro donazione, della disponibilità interiore alle esigenze dell'altro. 791 L'amicizia civile, 792 così intesa, è l'attuazione più autentica del principio di fraternità, che è inseparabile da quello di libertà e di uguaglianza. 793 Si tratta di un principio rimasto in gran parte non attuato nelle società politiche moderne e contemporanee, soprattutto a causa dell'influsso esercitato dalle ideologie individualistiche e collettivistiche.
391 Una comunità è solidamente fondata quando tende alla promozione integrale della persona e del bene comune; in questo caso, il diritto viene definito, rispettato e vissuto anche secondo le modalità della solidarietà e della dedizione al prossimo. La giustizia richiede che ognuno possa godere dei propri beni e dei propri diritti e può essere considerata la misura minima dell'amore. 794 La convivenza diventa tanto più umana quanto più è caratterizzata dallo sforzo verso una più matura consapevolezza dell'ideale verso cui essa deve tendere, che è la « civiltà dell'Amore ». 795
L'uomo è una persona, non solo un individuo. 796 Con il termine « persona » si indica « una natura dotata di intelligenza e di volontà libera »:  797 è dunque una realtà ben superiore a quella di un soggetto che si esprime nei bisogni prodotti dalla mera dimensione materiale. La persona umana, infatti, pur partecipando attivamente all'opera tesa al soddisfacimento dei bisogni in seno alla società familiare, civile e politica, non trova realizzazione completa di sé fino a quando non supera la logica del bisogno per proiettarsi in quella della gratuità e del dono, che più pienamente risponde alla sua essenza e alla sua vocazione comunitaria.
392 Il precetto evangelico della carità illumina i cristiani sul significato più profondo della convivenza politica. Per renderla veramente umana, « non c'è niente di meglio che favorire il senso interiore della giustizia e benevolenza e del servizio al bene comune, e corroborare le convinzioni fondamentali sulla vera natura della comunità politica e sul fine, sul legittimo esercizio e sui limiti dell'autorità pubblica ». 798 L'obiettivo che i credenti devono proporsi è la realizzazione di rapporti comunitari fra le persone. La visione cristiana della società politica conferisce il massimo rilievo al valore della comunità, sia come modello organizzativo della convivenza sia come stile di vita quotidiana.

III. L'AUTORITÀ POLITICA

a) Il fondamento dell'autorità politica
393 La Chiesa si è confrontata con diverse concezioni dell'autorità, avendo sempre cura di difenderne e di proporne un modello fondato sulla natura sociale delle persone: « Iddio, infatti, ha creato gli esseri umani sociali per natura; e poiché non vi può essere "società che si sostenga, se non c'è chi sovrasti gli altri, muovendo ognuno con efficacia ed unità di mezzi verso un fine comune, ne segue che alla convivenza civile è indispensabile l'autorità che la regga; la quale, non altrimenti che la società, è da natura, e perciò stesso viene da Dio" ». 799 L'autorità politica è pertanto necessaria 800 a motivo dei compiti che le sono attribuiti e deve essere una componente positiva e insostituibile della convivenza civile. 801
394 L'autorità politica deve garantire la vita ordinata e retta della comunità, senza sostituirsi alla libera attività dei singoli e dei gruppi, ma disciplinandola e orientandola, nel rispetto e nella tutela dell'indipendenza dei soggetti individuali e sociali, verso la realizzazione del bene comune. L'autorità politica è lo strumento di coordinamento e di direzione mediante il quale i singoli e i corpi intermedi si devono orientare verso un ordine le cui relazioni, istituzioni e procedure siano al servizio della crescita umana integrale. L'esercizio dell'autorità politica, infatti, « sia nella comunità come tale, sia negli organismi che rappresentano lo stato, deve sempre essere praticato entro i limiti dell'ordine morale, per procurare il bene comune — concepito però dinamicamente — secondo un ordinamento giuridico legittimamente definito o da definire. Allora i cittadini sono obbligati in coscienza ad obbedire ». 802
395 Il soggetto dell'autorità politica è il popolo, considerato nella sua totalità quale detentore della sovranità. Il popolo, in varie forme, trasferisce l'esercizio della sua sovranità a coloro che liberamente elegge suoi rappresentanti, ma conserva la facoltà di farla valere nel controllo dell'operato dei governanti e anche nella loro sostituzione, qualora essi non adempiano in maniera soddisfacente alle loro funzioni. Sebbene questo sia un diritto valido in ogni Stato e in qualsiasi regime politico, il sistema della democrazia, grazie alle sue procedure di controllo, ne permette e ne garantisce la migliore attuazione. 803 Il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell'autorità politica.
b) L'autorità come forza morale
396 L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale: tutta la sua dignità deriva dallo svolgersi nell'ambito dell'ordine morale, 804 « il quale si fonda in Dio, che ne è il primo principio e l'ultimo fine ». 805 In ragione del necessario riferimento a quest'ordine, che la precede e la fonda, delle sue finalità e dei destinatari, l'autorità non può essere intesa come una forza determinata da criteri di carattere puramente sociologico e storico: « In alcune... concezioni, purtroppo, non si riconosce l'esistenza dell'ordine morale: ordine trascendente, universale, assoluto, uguale e valevole per tutti. Viene meno così la possibilità di incontrarsi e di intendersi pienamente e sicuramente nella luce di una stessa legge di giustizia ammessa e seguita da tutti ». 806 Questo ordine « non si regge che in Dio: scisso da Dio si disintegra ». 807 Proprio da questo ordine l'autorità trae la virtù di obbligare  808 e la propria legittimità morale;  809 non dall'arbitrio o dalla volontà di potenza, 810 ed è tenuta a tradurre tale ordine nelle azioni concrete per raggiungere il bene comune. 811
397 L'autorità deve riconoscere, rispettare e promuovere i valori umani e morali essenziali. Essi sono innati, « scaturiscono dalla verità stessa dell'essere umano ed esprimono e tutelano la dignità della persona: valori, pertanto, che nessun individuo, nessuna maggioranza e nessuno Stato potranno mai creare, modificare o distruggere ». 812 Essi non trovano fondamento in provvisorie e mutevoli « maggioranze » di opinione, ma devono essere semplicemente riconosciuti, rispettati e promossi come elementi di una legge morale obiettiva, legge naturale iscritta nel cuore dell'uomo (cfr. Rm 2,15), e punto di riferimento normativo della stessa legge civile. 813 Quando, per un tragico oscuramento della coscienza collettiva, lo scetticismo giungesse a porre in dubbio persino i principi fondamentali della legge morale, 814 lo stesso ordinamento statale sarebbe scosso nelle sue fondamenta, riducendosi a un puro meccanismo di regolazione pragmatica dei diversi e contrapposti interessi. 815
398 L'autorità deve emanare leggi giuste, cioè conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione: « La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza ». 816 L'autorità che comanda secondo ragione pone il cittadino in rapporto non tanto di sudditanza rispetto a un altro uomo, quanto piuttosto di obbedienza all'ordine morale e, quindi, a Dio stesso che ne è la fonte ultima. 817 Chi rifiuta obbedienza all'autorità che agisce secondo l'ordine morale « si oppone all'ordine stabilito da Dio » (Rm 13,2). 818 Analogamente l'autorità pubblica, che ha il suo fondamento nella natura umana e appartiene all'ordine prestabilito da Dio, 819 qualora non si adoperi per realizzare il bene comune, disattende il suo fine proprio e perciò stesso si delegittima.
c) Il diritto all'obiezione di coscienza
399 Il cittadino non è obbligato in coscienza a seguire le prescrizioni delle autorità civili se sono contrarie alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. 820 Le leggi ingiuste pongono gli uomini moralmente retti di fronte a drammatici problemi di coscienza: quando sono chiamati a collaborare ad azioni moralmente cattive, hanno l'obbligo di rifiutarsi. 821 Oltre ad essere un dovere morale, questo rifiuto è anche un diritto umano basilare che, proprio perché tale, la stessa legge civile deve riconoscere e proteggere: « Chi ricorre all'obiezione di coscienza deve essere salvaguardato non solo da sanzioni penali, ma anche da qualsiasi danno sul piano legale, disciplinare, economico e professionale ». 822
È un grave dovere di coscienza non prestare collaborazione, neppure formale, a quelle pratiche che, pur ammesse dalla legislazione civile, sono in contrasto con la Legge di Dio. Tale collaborazione, infatti, non può mai essere giustificata, né invocando il rispetto della libertà altrui, né facendo leva sul fatto che la legge civile la prevede e la richiede. Alla responsabilità morale degli atti compiuti nessuno può mai sottrarsi e su tale responsabilità ciascuno sarà giudicato da Dio stesso (cfr. Rm 2,6; 14,12).
d) Il diritto di resistere
400 Riconoscere che il diritto naturale fonda e limita il diritto positivo significa ammettere che è legittimo resistere all'autorità qualora questa violi gravemente e ripetutamente i principi del diritto naturale. San Tommaso d'Aquino scrive che « si è tenuti a obbedire... per quanto lo esige l'ordine della giustizia ». 823 Il fondamento del diritto di resistenza è quindi il diritto di natura.
Diverse possono essere le manifestazioni concrete che la realizzazione di tale diritto può assumere. Diversi possono essere anche i fini perseguiti. La resistenza all'autorità mira a ribadire la validità di una diversa visione delle cose, sia quando si cerca di ottenere un mutamento parziale, modificando ad esempio alcune leggi, sia quando ci si batte per un radicale cambiamento della situazione.
401 La dottrina sociale indica i criteri per l'esercizio del diritto di resistenza: « La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori ». 824 La lotta armata è contemplata quale estremo rimedio per porre fine a una « tirannia evidente e prolungata che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un paese ». 825 La gravità dei pericoli che il ricorso alla violenza oggi comporta fa ritenere comunque preferibile la strada della resistenza passiva, « più conforme ai principi morali e non meno promettente di successo ». 826
e) Infliggere le pene
402 Per tutelare il bene comune, la legittima autorità pubblica ha il diritto e il dovere di comminare pene proporzionate alla gravità dei delitti. 827 Lo Stato ha il duplice compito di reprimere i comportamenti lesivi dei diritti dell'uomo e delle regole fondamentali di una civile convivenza, nonché di rimediare, tramite il sistema delle pene, al disordine causato dall'azione delittuosa. Nello Stato di diritto, il potere di infliggere le pene è correttamente affidato alla Magistratura: « Le Costituzioni degli Stati moderni, definendo i rapporti che devono esistere tra il potere legislativo, l'esecutivo e il giudiziario, garantiscono a quest'ultimo la necessaria indipendenza nell'ambito della legge ». 828
403 La pena non serve unicamente allo scopo di difendere l'ordine pubblico e di garantire la sicurezza delle persone: essa diventa, altresì, uno strumento per la correzione del colpevole, una correzione che assume anche il valore morale di espiazione quando il colpevole accetta volontariamente la sua pena. 829 La finalità cui tendere è duplice: da un lato favorire il reinserimento delle persone condannate; da un altro lato promuovere una giustizia riconciliatrice, capace di restaurare le relazioni di armonica convivenza spezzate dall'atto criminoso.
A questo riguardo, è importante l'attività che i cappellani delle carceri sono chiamati a svolgere, non solo sotto il profilo specificamente religioso, ma anche in difesa della dignità delle persone detenute. Purtroppo, le condizioni in cui esse scontano la loro pena non favoriscono sempre il rispetto della loro dignità; spesso le prigioni diventano addirittura teatro di nuovi crimini. L'ambiente degli istituti di pena offre, tuttavia, un terreno privilegiato sul quale testimoniare, ancora una volta, la sollecitudine cristiana in campo sociale: « ero... carcerato e siete venuti a trovarmi » (Mt 25,35-36).
404 L'attività degli uffici preposti all'accertamento della responsabilità penale, che è sempre di carattere personale, deve tendere alla rigorosa ricerca della verità e va condotta nel pieno rispetto della dignità e dei diritti della persona umana: si tratta di assicurare i diritti del colpevole come quelli dell'innocente. Si deve sempre avere presente il principio giuridico generale per cui non si può comminare una pena se prima non si è provato il delitto.
Nell'espletamento delle indagini va scrupolosamente osservata la regola che interdice la pratica della tortura, anche nel caso dei reati più gravi: « Il discepolo di Cristo respinge ogni ricorso a simili mezzi, che nulla potrebbe giustificare e in cui la dignità dell'uomo viene avvilita tanto in colui che viene colpito quanto nel suo carnefice ». 830 Gli strumenti giuridici internazionali relativi ai diritti dell'uomo indicano giustamente il divieto della tortura come un principio al quale non si può derogare in alcuna circostanza.
Va altresì escluso « il ricorso ad una detenzione motivata soltanto dal tentativo di ottenere notizie significative per il processo ». 831 Inoltre, va assicurata « la piena celerità dei processi: una loro eccessiva lunghezza diventa intollerabile per i cittadini e finisce per tradursi in una vera e propria ingiustizia ». 832
I magistrati sono tenuti a un doveroso riserbo nello svolgimento delle loro inchieste per non violare il diritto degli indagati alla riservatezza e per non indebolire il principio della presunzione d'innocenza. Poiché anche un giudice può sbagliarsi, è opportuno che la legislazione disponga un equo indennizzo per la vittima di un errore giudiziario.
405 La Chiesa vede come un segno di speranza « la sempre più diffusa avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte anche solo come strumento di "legittima difesa" sociale, in considerazione delle possibilità di cui dispone una moderna società di reprimere efficacemente il crimine in modi che, mentre rendono inoffensivo colui che l'ha commesso, non gli tolgono definitivamente la possibilità di redimersi ». 833 Seppure l'insegnamento tradizionale della Chiesa non escluda — supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole — la pena di morte « quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani », 834 i metodi non cruenti di repressione e di punizione sono preferibili in quanto « meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e più conformi alla dignità della persona umana ». 835 Il crescente numero di Paesi che adottano provvedimenti per abolire la pena di morte o per sospenderne l'applicazione è anche una prova del fatto che i casi in cui è assolutamente necessario sopprimere il reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti ». 836 La crescente avversione dell'opinione pubblica alla pena di morte e i vari provvedimenti in vista della sua abolizione, ovvero della sospensione della sua applicazione, costituiscono visibili manifestazioni di una maggiore sensibilità morale.

IV. IL SISTEMA DELLA DEMOCRAZIA

406 Un giudizio esplicito e articolato sulla democrazia è contenuto nell'enciclica « Centesimus annus »: « La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno. Essa, pertanto, non può favorire la formazione di gruppi dirigenti ristretti, i quali per interessi particolari o per fini ideologici usurpano il potere dello Stato. Un'autentica democrazia è possibile soltanto in uno Stato di diritto e sulla base di una retta concezione della persona umana. Essa esige che si verifichino le condizioni necessarie per la promozione sia delle singole persone mediante l'educazione e la formazione ai veri ideali, sia della "soggettività" della società mediante la creazione di strutture di partecipazione e di corresponsabilità ». 837
a) I valori e la democrazia
407 Un'autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche: la dignità di ogni persona umana, il rispetto dei diritti dell'uomo, l'assunzione del « bene comune » come fine e criterio regolativo della vita politica. Se non vi è un consenso generale su tali valori, si smarrisce il significato della democrazia e si compromette la sua stabilità.
La dottrina sociale individua uno dei rischi maggiori per le attuali democrazie nel relativismo etico, che induce a ritenere inesistente un criterio oggettivo e universale per stabilire il fondamento e la corretta gerarchia dei valori: « Oggi si tende ad affermare che l'agnosticismo e il relativismo scettico sono la filosofia e l'atteggiamento fondamentale rispondenti alle forme politiche democratiche, e che quanti sono convinti di conoscere la verità e aderiscono con fermezza ad essa non sono affidabili dal punto di vista democratico, perché non accettano che la verità sia determinata dalla maggioranza o sia variabile a seconda dei diversi equilibri politici. A questo proposito, bisogna osservare che, se non esiste nessuna verità ultima la quale guida ed orienta l'azione politica, allora le idee e le convinzioni possono esser facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia ». 838 La democrazia è fondamentalmente « un "ordinamento" e, come tale, uno strumento e non un fine. Il suo carattere "morale" non è automatico, ma dipende dalla conformità alla legge morale a cui, come ogni altro comportamento umano, deve sottostare: dipende cioè dalla moralità dei fini che persegue e dei mezzi di cui si serve ». 839
b) Istituzioni e democrazia
408 Il Magistero riconosce la validità del principio relativo alla divisione dei poteri in uno Stato: « È preferibile che ogni potere sia bilanciato da altri poteri e da altre sfere di competenza, che lo mantengano nel suo giusto limite. È, questo, il principio dello "Stato di diritto", nel quale è sovrana la legge, e non la volontà arbitraria degli uomini ». 840
Nel sistema democratico, l'autorità politica è responsabile di fronte al popolo. Gli organismi rappresentativi devono essere sottoposti ad un effettivo controllo da parte del corpo sociale. Questo controllo è possibile innanzi tutto tramite libere elezioni, che permettono la scelta nonché la sostituzione dei rappresentanti. L'obbligo, da parte degli eletti, di rendere conto del loro operato, garantito dal rispetto delle scadenze elettorali, è elemento costitutivo della rappresentanza democratica.
409 Nel loro campo specifico (elaborazione delle leggi, attività di governo e controllo su di essa), gli eletti devono impegnarsi nella ricerca e nell'attuazione di ciò che può giovare al buon andamento della convivenza civile nel suo complesso. 841 L'obbligo dei governanti di rispondere ai governati non implica affatto che i rappresentanti siano semplici agenti passivi degli elettori. Il controllo esercitato dai cittadini, infatti, non esclude la necessaria libertà di cui gli eletti devono godere nello svolgimento del loro mandato in relazione agli obiettivi da perseguire: questi non dipendono esclusivamente da interessi di parte, ma in misura molto maggiore dalla funzione di sintesi e di mediazione in vista del bene comune, che costituisce una delle finalità essenziali e irrinunciabili dell'autorità politica.
c) Le componenti morali della rappresentanza politica
410 Coloro che hanno responsabilità politiche non devono dimenticare o sottovalutare la dimensione morale della rappresentanza, che consiste nell'impegno di condividere le sorti del popolo e nel cercare la soluzione dei problemi sociali. In questa prospettiva, autorità responsabile significa anche autorità esercitata mediante il ricorso alle virtù che favoriscono la pratica del potere con spirito di servizio  842 (pazienza, modestia, moderazione, carità, sforzo di condivisione); un'autorità esercitata da persone in grado di assumere autenticamente come finalità del proprio operare il bene comune e non il prestigio o l'acquisizione di vantaggi personali.
411 Tra le deformazioni del sistema democratico, la corruzione politica è una delle più gravi, 843 perché tradisce al tempo stesso i principi della morale e le norme della giustizia sociale; compromette il corretto funzionamento dello Stato, influendo negativamente sul rapporto tra governanti e governati; introduce una crescente sfiducia nei confronti delle istituzioni pubbliche, causando una progressiva disaffezione dei cittadini nei confronti della politica e dei suoi rappresentanti, con il conseguente indebolimento delle istituzioni. La corruzione distorce alla radice il ruolo delle istituzioni rappresentative, perché le usa come terreno di scambio politico tra richieste clientelari e prestazioni dei governanti. In tal modo, le scelte politiche favoriscono gli obiettivi ristretti di quanti possiedono i mezzi per influenzarle e impediscono la realizzazione del bene comune di tutti i cittadini.
412 La pubblica amministrazione, a qualsiasi livello — nazionale, regionale, comunale —, quale strumento dello Stato, ha come finalità quella di servire i cittadini: « Posto al servizio dei cittadini, lo Stato è il gestore del bene del popolo, che deve amministrare in vista del bene comune ». 844 Contrasta con questa prospettiva l'eccesso di burocratizzazione, che si verifica quando « le istituzioni, diventando complesse nell'organizzazione e pretendendo di gestire ogni spazio disponibile, finiscono per essere rovinate dal funzionalismo impersonale, dall'esagerata burocrazia, dagli ingiusti interessi privati, dal disimpegno facile e generalizzato ». 845 Il ruolo di chi lavora nella pubblica amministrazione non va concepito come qualcosa di impersonale e di burocratico, bensì come un aiuto premuroso per i cittadini, esercitato con spirito di servizio.
d) Strumenti di partecipazione politica
413 I partiti politici hanno il compito di favorire una partecipazione diffusa e l'accesso di tutti a pubbliche responsabilità. I partiti sono chiamati ad interpretare le aspirazioni della società civile orientandole al bene comune, 846 offrendo ai cittadini la possibilità effettiva di concorrere alla formazione delle scelte politiche. I partiti devono essere democratici al loro interno, capaci di sintesi politica e di progettualità.
Strumento di partecipazione politica è anche il referendum, in cui si realizza una forma diretta di accesso alle scelte politiche. L'istituto della rappresentanza non esclude, infatti, che i cittadini possano essere interpellati direttamente per le scelte di maggiore rilievo della vita sociale.
e) Informazione e democrazia
414 L'informazione è tra i principali strumenti di partecipazione democratica. Non è pensabile alcuna partecipazione senza la conoscenza dei problemi della comunità politica, dei dati di fatto e delle varie proposte di soluzione. Occorre assicurare un reale pluralismo in questo delicato ambito della vita sociale, garantendo una molteplicità di forme e strumenti nel campo dell'informazione e della comunicazione e agevolando condizioni di uguaglianza nel possesso e nell'uso di tali strumenti mediante leggi appropriate. Tra gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione del diritto all'obiettività nell'informazione, 847 merita attenzione particolare il fenomeno delle concentrazioni editoriali e televisive, con pericolosi effetti per l'intero sistema democratico quando a tale fenomeno corrispondono legami sempre più stretti tra l'attività governativa, i poteri finanziari e l'informazione.
415 I mezzi di comunicazione sociale si devono utilizzare per edificare e sostenere la comunità umana, nei vari settori, economico, politico, culturale, educativo, religioso:  848 « L'informazione attraverso i mass-media è al servizio del bene comune. La società ha diritto ad un'informazione fondata sulla verità, la libertà, la giustizia e la solidarietà ». 849
La questione essenziale relativa all'attuale sistema informativo è se esso contribuisca a rendere la persona umana veramente migliore, cioè più matura spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperta agli altri, in particolare verso i più bisognosi e i più deboli. Un altro aspetto di grande importanza è la necessità che le nuove tecnologie rispettino le legittime differenze culturali.
416 Nel mondo dei mezzi di comunicazione sociale le difficoltà intrinseche della comunicazione spesso vengono ingigantite dall'ideologia, dal desiderio di profitto e di controllo politico, da rivalità e conflitti fra gruppi, e da altri mali sociali. I valori e i principi morali valgono anche per il settore delle comunicazioni sociali: « La dimensione etica tocca non solo il contenuto della comunicazione (il messaggio) e il processo di comunicazione (come viene fatta la comunicazione), ma anche questioni fondamentali strutturali e sistemiche, che spesso coinvolgono temi relativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie e dei prodotti sofisticati (chi sarà ricco e chi povero di informazioni?) ». 850
In tutte e tre le aree — del messaggio, del processo, delle questioni strutturali — è sempre valido un principio morale fondamentale: la persona e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale. Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono. 851 È necessaria una partecipazione al processo decisionale riguardante la politica delle comunicazioni. Tale partecipazione, di forma pubblica, deve essere autenticamente rappresentativa e non volta a favorire gruppi particolari, quando i mezzi di comunicazione sociale perseguono scopi di lucro. 852

V. LA COMUNITÀ POLITICA
A SERVIZIO DELLA SOCIETÀ CIVILE

a) Il valore della società civile
417 La comunità politica è costituita per essere al servizio della società civile, dalla quale deriva. Alla distinzione tra comunità politica e società civile la Chiesa ha contribuito soprattutto con la sua visione dell'uomo, inteso come essere autonomo, relazionale, aperto alla Trascendenza, contrastata sia dalle ideologie politiche di stampo individualistico, sia da quelle totalitarie tendenti ad assorbire la società civile nella sfera dello Stato. L'impegno della Chiesa in favore del pluralismo sociale mira a conseguire una più adeguata realizzazione del bene comune e della stessa democrazia, secondo i principi della solidarietà, della sussidiarietà e della giustizia.
La società civile è un insieme di relazioni e di risorse, culturali e associative, relativamente autonome dall'ambito sia politico sia economico: « Il fine della società civile è universale, perché è quello che riguarda il bene comune, a cui tutti e singoli i cittadini hanno diritto nella debita proporzione ». 853 Essa è caratterizzata da una propria capacità di progetto, orientata a favorire una convivenza sociale più libera e più giusta, in cui vari gruppi di cittadini si associano, mobilitandosi per elaborare ed esprimere i propri orientamenti, per far fronte ai loro bisogni fondamentali, per difendere legittimi interessi.
b) Il primato della società civile
418 La comunità politica e la società civile, seppure reciprocamente collegate e interdipendenti, non sono uguali nella gerarchia dei fini. La comunità politica è essenzialmente al servizio della società civile e, in ultima analisi, delle persone e dei gruppi che la compongono. 854 La società civile, dunque, non può essere considerata un'appendice o una variabile della comunità politica: anzi, essa ha la preminenza, perché nella stessa società civile trova giustificazione l'esistenza della comunità politica.
Lo Stato deve fornire una cornice giuridica adeguata al libero esercizio delle attività dei soggetti sociali ed essere pronto ad intervenire, quando sia necessario e rispettando il principio di sussidiarietà, per orientare verso il bene comune la dialettica tra le libere associazioni attive nella vita democratica. La società civile è composita e frastagliata, non priva di ambiguità e di contraddizioni: è anche luogo di scontro tra interessi diversi, con il rischio che il più forte prevalga sul più indifeso.
c) L'applicazione del principio di sussidiarietà
419 La comunità politica è tenuta a regolare i propri rapporti nei confronti della società civile secondo il principio di sussidiarietà:  855 è essenziale che la crescita della vita democratica prenda avvio nel tessuto sociale. Le attività della società civile — soprattutto volontariato e cooperazione nell'ambito del privato-sociale, sinteticamente definito « terzo settore » per distinguerlo dagli ambiti dello Stato e del mercato — costituiscono le modalità più adeguate per sviluppare la dimensione sociale della persona, che in tali attività può trovare spazio per esprimersi compiutamente. La progressiva espansione delle iniziative sociali al di fuori della sfera statale crea nuovi spazi per la presenza attiva e per l'azione diretta dei cittadini, integrando le funzioni svolte dallo Stato. Tale importante fenomeno si è spesso attuato per vie e con strumenti largamente informali, dando vita a modalità nuove e positive di esercizio dei diritti della persona che arricchiscono qualitativamente la vita democratica.
420 La cooperazione, anche nelle sue forme meno strutturate, si delinea come una delle risposte più forti alla logica del conflitto e della concorrenza senza limiti, che oggi appare prevalente. I rapporti che si instaurano in un clima cooperativo e solidale superano le divisioni ideologiche, spingendo alla ricerca di ciò che unisce al di là di quanto divide.
Molte esperienze del volontariato costituiscono un ulteriore esempio di grande valore, che spinge a considerare la società civile come luogo ove è sempre possibile la ricomposizione di un'etica pubblica centrata sulla solidarietà, sulla collaborazione concreta, sul dialogo fraterno. Alle potenzialità che così si manifestano tutti sono chiamati a guardare con fiducia e a prestare la propria opera personale per il bene della comunità in generale e, in particolare, per quello dei più deboli e dei più bisognosi. È anche così che si afferma il principio della « soggettività della società ». 856

 
VI. LO STATO E LE COMUNITÀ RELIGIOSE

A) LA LIBERTÀ RELIGIOSA, UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE
421 Il Concilio Vaticano II ha impegnato la Chiesa Cattolica nella promozione della libertà religiosa. La Dichiarazione « Dignitatis humanae » precisa nel sottotitolo che intende proclamare « il diritto della persona e delle comunità alla libertà sociale e civile in campo religioso ». Affinché tale libertà voluta da Dio e iscritta nella natura umana possa esercitarsi, non deve essere ostacolata, dato che « la verità non si impone altrimenti che in forza della verità stessa ». 857 La dignità della persona e la natura stessa della ricerca di Dio esigono per tutti gli uomini l'immunità da ogni coercizione nel campo religioso. 858 La società e lo Stato non devono costringere una persona ad agire contro la sua coscienza, né impedirle di operare in conformità ad essa. 859 La libertà religiosa non è licenza morale di aderire all'errore, né un implicito diritto all'errore. 860
422 La libertà di coscienza e di religione « riguarda l'uomo individualmente e socialmente »:  861 il diritto alla libertà religiosa deve essere riconosciuto nell'ordinamento giuridico e sancito come diritto civile, 862 tuttavia non è di per sé un diritto illimitato. I giusti limiti all'esercizio della libertà religiosa devono essere determinati per ogni situazione sociale con la prudenza politica, secondo le esigenze del bene comune, e ratificati dall'autorità civile mediante norme giuridiche conformi all'ordine morale oggettivo: tali norme sono richieste « dall'efficace tutela dei diritti di tutti i cittadini e della loro pacifica coesistenza, da una sufficiente cura di quella onesta pace pubblica che è ordinata convivenza nella vera giustizia, e dalla doverosa custodia della pubblica moralità ». 863
423 A motivo dei suoi legami storici e culturali con una Nazione, una comunità religiosa può ricevere uno speciale riconoscimento da parte dello Stato: tale riconoscimento non deve in alcun modo generare una discriminazione d'ordine civile o sociale per altri gruppi religiosi. 864 La visione dei rapporti tra gli Stati e le organizzazioni religiose, promossa dal Concilio Vaticano II, corrisponde alle esigenze dello Stato di diritto e alle norme del diritto internazionale. 865 La Chiesa è ben consapevole che tale visione non è condivisa da tutti: il diritto alla libertà religiosa, purtroppo, « è violato da numerosi Stati, fino al punto che dare, o far dare, o ricevere la catechesi diventa un delitto passibile di sanzione ». 866
B) CHIESA CATTOLICA E COMUNITÀ POLITICA
a) Autonomia e indipendenza
424 La Chiesa e la comunità politica, pur esprimendosi ambedue con strutture organizzative visibili, sono di natura diversa sia per la loro configurazione sia per le finalità che perseguono. Il Concilio Vaticano II ha riaffermato solennemente: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra ». 867 La Chiesa si organizza con forme atte a soddisfare le esigenze spirituali dei suoi fedeli, mentre le diverse comunità politiche generano rapporti e istituzioni al servizio di tutto ciò che rientra nel bene comune temporale. L'autonomia e l'indipendenza delle due realtà si mostrano chiaramente soprattutto nell'ordine dei fini.
Il dovere di rispettare la libertà religiosa impone alla comunità politica di garantire alla Chiesa lo spazio d'azione necessario. La Chiesa, d'altra parte, non ha un campo di competenza specifica per quanto riguarda la struttura della comunità politica: « La Chiesa rispetta la legittima autonomia dell'ordine democratico e non ha titolo per esprimere preferenze per l'una o l'altra soluzione istituzionale o costituzionale »  868 e non ha neppure il compito di entrare nel merito dei programmi politici, se non per le loro implicazioni religiose e morali.
b) Collaborazione
425 L'autonomia reciproca della Chiesa e della comunità politica non comporta una separazione che escluda la loro collaborazione: entrambe, anche se a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. La Chiesa e la comunità politica, infatti, si esprimono in forme organizzative che non sono fini a se stesse, ma al servizio dell'uomo, per consentirgli il pieno esercizio dei suoi diritti, inerenti alla sua identità di cittadino e di cristiano, e un corretto adempimento dei corrispondenti doveri. La Chiesa e la comunità politica pos-sono svolgere il loro servizio « a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe allacciano tra loro una sana collaborazione, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ». 869
426 La Chiesa ha diritto al riconoscimento giuridico della propria identità. Proprio perché la sua missione abbraccia tutta la realtà umana, la Chiesa, sentendosi « davvero e intimamente solidale con il genere umano e la sua storia », 870 rivendica la libertà di esprimere il suo giudizio morale su tale realtà ogniqualvolta ciò sia richiesto dalla difesa dei diritti fondamentali della persona o dalla salvezza delle anime. 871
La Chiesa pertanto chiede: libertà di espressione, di insegnamento, di evangelizzazione; libertà di manifestare il culto in pubblico; libertà di organizzarsi e avere propri regolamenti interni; libertà di scelta, di educazione, di nomina e di trasferimento dei propri ministri; libertà di costruire edifici religiosi; libertà di acquistare e di possedere beni adeguati alla propria attività; libertà di associazione per fini non solo religiosi, ma anche educativi, culturali, sanitari e caritativi. 872
427 Al fine di prevenire o attutire possibili conflitti tra Chiesa e comunità politica, l'esperienza giuridica della Chiesa e dello Stato ha variamente delineato forme stabili di rapporti e strumenti idonei a garantire relazioni armoniche. Tale esperienza è un punto di riferimento essenziale per tutti i casi in cui lo Stato ha la pretesa di invadere il campo d'azione della Chiesa, ostacolandone la libera attività fino a perseguitarla apertamente o, viceversa, nei casi in cui organizzazioni ecclesiali non agiscano correttamente nei confronti dello Stato.
  

CAPITOLO NONO
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
I. ASPETTI BIBLICI

a) L'unità della famiglia umana
428 I racconti biblici sulle origini mostrano l'unità del genere umano e insegnano che il Dio d'Israele è il Signore della storia e del cosmo: la Sua azione abbraccia tutto il mondo e l'intera famiglia umana, alla quale è destinata l'opera della creazione. La decisione di Dio di fare l'uomo a Sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26-27) conferisce alla creatura umana una dignità unica, che si estende a tutte le generazioni (cfr. Gen 5) e su tutta la terra (cfr. Gen 10). Il Libro della Genesi mostra, inoltre, che l'essere umano non è stato creato isolato, ma all'interno di un contesto di cui fanno parte integrante lo spazio vitale, che gli assicura la libertà (il giardino), la disponibilità di alimenti (gli alberi del giardino), il lavoro (il comando di coltivare) e soprattutto la comunità (il dono dell'aiuto simile a lui) (cfr. Gen 2,8-24). Le condizioni che assicurano pienezza alla vita umana sono, in tutto l'Antico Testamento, oggetto della benedizione divina. Dio vuole garantire all'uomo i beni necessari alla sua crescita, la possibilità di esprimersi liberamente, il positivo risultato del lavoro, la ricchezza di relazioni tra esseri simili.
429 L'alleanza di Dio con Noè (cfr. Gen 9,1-17), e in lui con tutta l'umanità, dopo la distruzione causata dal diluvio, manifesta che Dio vuole mantenere per la comunità umana la benedizione di fecondità, il compito di dominare il creato e l'assoluta dignità e intangibilità della vita umana che avevano caratterizzato la prima creazione, nonostante in essa si fosse introdotta, con il peccato, la degenerazione della violenza e dell'ingiustizia, punita con il diluvio. Il libro della Genesi presenta con ammirazione la varietà dei popoli, opera dell'azione creatrice di Dio (cfr. Gen 10,1-32) e, nel contempo, stigmatizza la non accettazione da parte dell'uomo della sua condizione di creatura, con l'episodio della torre di Babele (cfr. Gen 11,1-9). Tutti i popoli, nel piano divino, avevano « una sola lingua e le stesse parole » (Gen 11,1), ma gli uomini si dividono, volgendo le spalle al Creatore (cfr. Gen 11,4).
430 L'alleanza stabilita da Dio con Abramo, eletto « padre di una moltitudine di popoli » (Gen 17,4), apre la strada al ricongiungimento della famiglia umana al suo Creatore. La storia salvifica induce il popolo di Israele a pensare che l'azione divina sia ristretta alla sua terra, tuttavia si consolida a poco a poco la convinzione che Dio opera anche tra le altre Nazioni (cfr. Is 19,18-25). I Profeti annunceranno per il tempo escatologico il pellegrinaggio dei popoli al tempio del Signore e un'era di pace tra le Nazioni (cfr. Is 2,2-5; 66,18-23). Israele, disperso nell'esilio, prenderà definitivamente coscienza del suo ruolo di testimone dell'unico Dio (cfr. Is 44,6-8), Signore del mondo e della storia dei popoli (cfr. Is 44,24-28).
b) Gesù Cristo prototipo e fondamento della nuova umanità
431 Il Signore Gesù è il prototipo e il fondamento della nuova umanità. In Lui, vera « immagine di Dio » (2 Cor 4,4), trova compimento l'uomo creato da Dio a Sua immagine. Nella testimonianza definitiva di amore che Dio ha manifestato nella croce di Cristo, tutte le barriere di inimicizia sono già state abbattute (cfr. Ef 2,12-18) e per quanti vivono la vita nuova in Cristo le differenze razziali e culturali non sono più motivo di divisione (cfr. Rm 10,12; Gal 3,26-28; Col 3,11).
Grazie allo Spirito, la Chiesa conosce il disegno divino che abbraccia l'intero genere umano (cfr. At 17,26) e che è finalizzato a riunire, nel mistero di una salvezza realizzata sotto la signoria di Cristo (cfr. Ef 1,8-10), tutta la realtà creaturale frammentata e dispersa. Dal giorno di Pentecoste, quando la Risurrezione è annunciata ai diversi popoli e compresa da ciascuno nella propria lingua (cfr. At 2,6), la Chiesa adempie al proprio compito di restaurare e testimoniare l'unità perduta a Babele: grazie a questo ministero ecclesiale, la famiglia umana è chiamata a riscoprire la propria unità e a riconoscere la ricchezza delle sue differenze, per giungere alla « piena unità in Cristo ». 873
c) La vocazione universale del cristianesimo
432 Il messaggio cristiano offre una visione universale della vita degli uomini e dei popoli sulla terra, 874 che fa comprendere l'unità della famiglia umana. 875 Tale unità non va costruita con la forza delle armi, del terrore o del sopruso, ma è piuttosto l'esito di quel « supremo modello di unità, riflesso della vita intima di Dio, uno in tre Persone, ... che noi cristiani designiamo con la parola "comunione" », 876 e una conquista della forza morale e culturale della libertà. 877 Il messaggio cristiano è stato decisivo per far capire all'umanità che i popoli tendono ad unirsi non solo in ragione di forme di organizzazione, di vicende politiche, di progetti economici o in nome di un internazionalismo astratto e ideologico, ma perché liberamente si orientano verso la cooperazione, consapevoli « di essere membra vive di una comunità mondiale ». 878 La comunità mondiale deve proporsi sempre più e sempre meglio come figura concreta dell'unità voluta dal Creatore: « L'unità della famiglia umana è esistita in ogni tempo, giacché essa ha come membri gli esseri umani che sono tutti uguali per dignità naturale. Di conseguenza esisterà sempre l'esigenza obiettiva all'attuazione, in grado sufficiente, del bene comune universale, e cioè del bene comune dell'intera famiglia umana ». 879

II. LE REGOLE FONDAMENTALI
DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

a) Comunità internazionale e valori
433 La centralità della persona umana e la naturale attitudine delle persone e dei popoli a stringere relazioni tra loro sono gli elementi fondamentali per costruire una vera Comunità internazionale, la cui organizzazione deve tendere all'effettivo bene comune universale. 880 Nonostante sia ampiamente diffusa l'aspirazione verso un'autentica comunità internazionale, l'unità della famiglia umana non trova ancora realizzazione, perché ostacolata da ideologie materialistiche e nazionalistiche che negano i valori di cui è portatrice la persona considerata integralmente, in tutte le sue dimensioni, materiale e spirituale, individuale e comunitaria. In particolare, è moralmente inaccettabile ogni teoria o comportamento improntati al razzismo e alla discriminazione razziale. 881
La convivenza tra le Nazioni è fondata sui medesimi valori che devono orientare quella tra gli esseri umani: la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà. 882 L'insegnamento della Chiesa, sul piano dei principi costitutivi della Comunità internazionale, chiede che le relazioni tra i popoli e le comunità politiche trovino la loro giusta regolazione nella ragione, nell'equità, nel diritto, nella trattativa, mentre esclude il ricorso alla violenza e alla guerra, a forme di discriminazione, di intimidazione e di inganno. 883
434 Il diritto si pone come strumento di garanzia dell'ordine internazionale, 884 ovvero della convivenza tra comunità politiche che singolarmente perseguono il bene comune dei propri cittadini e che collettivamente devono tendere a quello di tutti i popoli, 885 nella convinzione che il bene comune di una Nazione è inseparabile dal bene dell'intera famiglia umana. 886
Quella internazionale è una comunità giuridica fondata sulla sovranità di ogni Stato membro, senza vincoli di subordinazione che ne neghino o ne limitino l'indipendenza. 887 Concepire in questo modo la comunità internazionale non significa affatto relativizzare e vanificare le differenti e peculiari caratteristiche di ogni popolo, ma favorirne l'espressione. 888 La valorizzazione delle differenti identità aiuta a superare le varie forme di divisione che tendono a separare i popoli e a farli portatori di un egoismo dagli effetti destabilizzanti.
435 Il Magistero riconosce l'importanza della sovranità nazionale, concepita anzitutto come espressione della libertà che deve regolare i rapporti tra gli Stati. 889 La sovranità rappresenta la soggettività  890 di una Nazione sotto il profilo politico, economico, sociale e anche culturale. La dimensione culturale acquista uno spessore particolare come punto di forza per la resistenza agli atti di aggressione o alle forme di dominio che condizionano la libertà di un Paese: la cultura costituisce la garanzia di conservazione dell'identità di un popolo, esprime e promuove la sua sovranità spirituale. 891
La sovranità nazionale non è però un assoluto. Le Nazioni possono rinunciare liberamente all'esercizio di alcuni loro diritti in vista di un obiettivo comune, nella consapevolezza di formare una « famiglia », 892 dove devono regnare reciproca fiducia, sostegno vicendevole e mutuo rispetto. In tale prospettiva, merita attenta considerazione la mancanza di un accordo internazionale che affronti in modo adeguato « i diritti delle Nazioni », 893 la cui preparazione potrebbe affrontare opportunamente le questioni relative alla giustizia e alla libertà nel mondo contemporaneo.
b) Relazioni fondate sull'armonia tra ordine giuridico e ordine morale
436 Per realizzare e consolidare un ordine internazionale che garantisca efficacemente la pacifica convivenza tra i popoli, la stessa legge morale che regge la vita degli uomini deve regolare anche i rapporti tra gli Stati: « legge morale, la cui osservanza deve venir inculcata e promossa dall'opinione pubblica di tutte le Nazioni e di tutti gli Stati con tale unanimità di voce e di forza, che nessuno possa osare di porla in dubbio o attenuarne il vincolo obbligante ». 894 È necessario che la legge morale universale, scritta nel cuore dell'uomo, venga considerata effettiva e inderogabile quale viva espressione della coscienza che l'umanità ha in comune, una « grammatica » 895 in grado di orientare il dialogo sul futuro del mondo.
437 Il rispetto universale dei principi che ispirano un « ordinamento giuridico in armonia con l'ordine morale »  896 è una condizione necessaria per la stabilità della vita internazionale. La ricerca di una simile stabilità ha favorito la graduale elaborazione di un diritto delle genti  897 (« ius gentium »), che può essere considerato come « l'antenato del diritto internazionale ». 898 La riflessione giuridica e teologica, ancorata al diritto naturale, ha formulato « principi universali che sono anteriori e superiori al diritto interno degli Stati », 899 come l'unità del genere umano, l'uguaglianza in dignità di ogni popolo, il rifiuto della guerra per superare le contese, l'obbligazione di cooperare per il bene comune, l'esigenza di tenere fede agli impegni sottoscritti (« pacta sunt servanda »). Quest'ultimo principio va particolarmente sottolineato per evitare « la tentazione di fare appello al diritto della forza piuttosto che alla forza del diritto ». 900
438 Per risolvere i conflitti che insorgono tra le diverse comunità politiche e che compromettono la stabilità delle Nazioni e la sicurezza internazionale, è indispensabile riferirsi a regole comuni affidate alla trattativa, rinunciando definitivamente all'idea di ricercare la giustizia mediante il ricorso alla guerra:  901 « la guerra può terminare senza vincitori né vinti in un suicidio dell'umanità, ed allora bisogna ripudiare la logica che conduce ad essa, l'idea che la lotta per la distruzione dell'avversario, la contraddizione e la guerra stessa siano fattori di progresso e di avanzamento della storia ». 902
La Carta delle Nazioni Unite ha interdetto non solo il ricorso alla forza, ma anche la sola minaccia di usarla:  903 tale disposizione è nata dalla tragica esperienza della Seconda Guerra Mondiale. Il Magistero non aveva mancato durante quel conflitto di individuare alcuni fattori indispensabili per edificare un rinnovato ordine internazionale: la libertà e l'integrità territoriale di ogni Nazione; la tutela dei diritti delle minoranze; un'equa condivisione delle risorse della terra; il rifiuto della guerra e l'attuazione del disarmo; l'osservanza dei patti concordati; la cessazione della persecuzione religiosa. 904
439 Per consolidare il primato del diritto, vale anzitutto il principio della fiducia reciproca. 905 In questa prospettiva, gli strumenti normativi per la soluzione pacifica delle controversie devono essere ripensati in modo da rafforzarne la portata e l'obbligatorietà. Gli istituti del negoziato, della mediazione, della conciliazione, dell'arbitrato, che sono espressione della legalità internazionale, devono essere sostenuti dalla creazione di « un'autorità giuridica pienamente efficiente in un mondo pacificato ». 906 Un avanzamento in questa direzione consentirà alla Comunità internazionale di proporsi non più come semplice momento di aggregazione della vita degli Stati, ma come una struttura in cui i conflitti possono essere pacificamente risolti: « Come all'interno dei singoli Stati ... il sistema della vendetta privata e della rappresaglia è stato sostituito dall'impero della legge, così è ora urgente che un simile progresso abbia luogo nella Comunità internazionale ». 907 In definitiva, il diritto internazionale « deve evitare che prevalga la legge del più forte ». 908

III. L'ORGANIZZAZIONE
DELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE

a) Il valore delle Organizzazioni internazionali
440 Il cammino verso un'autentica « comunità » internazionale, che ha assunto una precisa direzione con l'istituzione dell'Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1945, è accompagnato dalla Chiesa: tale Organizzazione « ha contribuito notevolmente a promuovere il rispetto della dignità umana, la libertà dei popoli e l'esigenza dello sviluppo, preparando il terreno culturale e istituzionale su cui costruire la pace ». 909 La dottrina sociale, in generale, considera positivamente il ruolo delle Organizzazioni inter-governative, in particolare di quelle operanti in settori specifici, 910 pur esprimendo riserve quando esse affrontano in modo scorretto i problemi. 911 Il Magistero raccomanda che l'azione degli Organismi internazionali risponda alle necessità umane nella vita sociale e negli ambiti rilevanti per la pacifica e ordinata convivenza delle Nazioni e dei popoli. 912
441 La sollecitudine per un'ordinata e pacifica convivenza della famiglia umana spinge il Magistero a mettere in rilievo l'esigenza di istituire « una qualche autorità pubblica universale, da tutti riconosciuta, che goda di un potere effettivo per garantire a tutti sia la sicurezza, sia l'osservanza della giustizia, sia il rispetto dei diritti ». 913 Nel corso della storia, nonostante i cambiamenti di prospettiva delle diverse epoche, si è avvertito costantemente il bisogno di una simile autorità per rispondere ai problemi di dimensione mondiale posti dalla ricerca del bene comune: è essenziale che tale autorità sia il frutto di un accordo e non di un'imposizione, e non venga intesa come « un super-stato globale ». 914
Un'autorità politica esercitata nel quadro della Comunità internazionale deve essere regolata dal diritto, ordinata al bene comune e rispettosa del principio di sussidiarietà: « I poteri pubblici della comunità mondiale non hanno lo scopo di limitare la sfera di azione ai poteri pubblici delle singole comunità politiche e tanto meno di sostituirsi ad essi; hanno invece lo scopo di contribuire alla creazione, sul piano mondiale, di un ambiente nel quale i poteri pubblici delle singole comunità politiche, i rispettivi cittadini e i corpi intermedi possano svolgere i loro compiti, adempiere i loro doveri, esercitare i loro diritti con maggiore sicurezza ». 915
442 Una politica internazionale volta verso l'obiettivo della pace e dello sviluppo mediante l'adozione di misure coordinate  916 è resa più che mai necessaria dalla globalizzazione dei problemi. Il Magistero rileva che l'interdipendenza tra gli uomini e tra le Nazioni acquista una dimensione morale e determina le relazioni nel mondo attuale sotto il profilo economico, culturale, politico e religioso. In tale contesto si auspica una revisione delle Organizzazioni internazionali, un processo che « suppone il superamento delle rivalità politiche e la rinuncia a ogni volontà di strumentalizzare le stesse Organizzazioni, che hanno per unica ragion d'essere il bene comune », 917 con lo scopo di conseguire « un grado superiore di ordinamento internazionale ». 918
In particolare, le strutture inter-governative devono esercitare efficacemente le loro funzioni di controllo e di guida nel campo dell'economia, poiché il raggiungimento del bene comune diventa un traguardo ormai precluso ai singoli Stati, anche se dominanti in termini di potenza, ricchezza, forza politica. 919 Gli Organismi internazionali devono, inoltre, garantire quell'eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo, nel rispetto delle legittime diversità. 920
443 Il Magistero valuta positivamente il ruolo dei raggruppamenti che si sono formati nella società civile per svolgere un'importante funzione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica ai diversi aspetti della vita internazionale, con una speciale attenzione per il rispetto dei diritti dell'uomo, come rivela « il numero di associazioni private, alcune di portata mondiale, di recente istituzione, e quasi tutte impegnate a seguire con grande cura e lodevole obiettività gli avvenimenti internazionali in un campo così delicato ». 921
I Governi dovrebbero sentirsi incoraggiati da un simile impegno, che mira a tradurre in pratica gli ideali che ispirano la comunità internazionale, « in particolare mediante i concreti gesti di solidarietà e di pace delle tante persone che operano anche nelle Organizzazioni non Governative e nei Movimenti per i diritti dell'uomo ». 922
b) La personalità giuridica della Santa Sede
444 La Santa Sede — o Sede Apostolica  923 — gode di piena soggettività internazionale in quanto autorità sovrana che realizza atti giuridicamente propri. Essa esercita una sovranità esterna, riconosciuta nel quadro della Comunità internazionale, che riflette quella esercitata all'interno della Chiesa e che è caratterizzata dall'unità organizzativa e dall'indipendenza. La Chiesa si avvale di quelle modalità giuridiche che risultino necessarie o utili al compimento della sua missione.
L'attività internazionale della Santa Sede si manifesta oggettivamente sotto diversi aspetti, tra cui: il diritto di legazione attivo e passivo; l'esercizio dello « ius contrahendi », con la stipulazione di trattati; la partecipazione a organizzazioni intergovernative, come ad esempio quelle appartenenti al sistema delle Nazioni Unite; le iniziative di mediazione in caso di conflitti. Tale attività intende offrire un servizio disinteressato alla Comunità internazionale, poiché non cerca vantaggi di parte, ma si propone il bene comune dell'intera famiglia umana. In tale contesto, la Santa Sede si giova particolarmente del proprio personale diplomatico.
445 Il servizio diplomatico della Santa Sede, frutto di un'antica e consolidata prassi, è uno strumento che opera non solo per la « libertas Ecclesiae », ma anche per la difesa e la promozione della dignità umana, nonché per un ordine sociale basato sui valori della giustizia, della verità, della libertà e dell'amore: « Per un nativo diritto inerente alla nostra stessa missione spirituale, favorito da un secolare sviluppo di avvenimenti storici, noi inviamo pure i nostri legati alle supreme autorità degli stati nei quali è radicata o presente in qualche modo la Chiesa Cattolica. È ben vero che le finalità della Chiesa e dello Stato sono di ordine diverso, e che ambedue sono società perfette, dotate, quindi, di mezzi propri, e sono indipendenti nella rispettiva sfera d'azione, ma è anche vero che l'una e l'altro agiscono a beneficio di un soggetto comune, l'uomo, da Dio chiamato alla salvezza eterna e posto sulla terra per permettergli, con l'aiuto della grazia, di conseguirla con una vita di lavoro, che porti a lui benessere, nella pacifica convivenza ». 924 Il bene delle persone e delle comunità umane è favorito da un dialogo strutturato tra la Chiesa e le autorità civili, che trova espressione anche tramite la stipula di mutui accordi. Tale dialogo tende a stabilire o rafforzare rapporti di reciproca comprensione e collaborazione, nonché a prevenire o sanare eventuali dissidi, con l'obiettivo di contribuire al progresso di ogni popolo e di tutta l'umanità nella giustizia e nella pace.

IV. LA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE
PER LO SVILUPPO

a) Collaborazione per garantire il diritto allo sviluppo
446 La soluzione del problema dello sviluppo richiede la cooperazione tra le singole comunità politiche: « Le comunità politiche si condizionano a vicenda, e si può asserire che ognuna riesce a sviluppare se stessa contribuendo allo sviluppo delle altre. Per cui tra esse si impone l'intesa e la collaborazione ». 925 Il sottosviluppo sembra una situazione impossibile da eliminare, quasi una fatale condanna, se si considera il fatto che esso non è solo il frutto di scelte umane sbagliate, ma anche il risultato di « meccanismi economici, finanziari e sociali »  926 e di « strutture di peccato »  927 che impediscono il pieno sviluppo degli uomini e dei popoli.
Queste difficoltà, tuttavia, devono essere affrontate con determinazione ferma e perseverante, perché lo sviluppo non è solo un'aspirazione, ma un diritto  928 che, come ogni diritto, implica un obbligo: « La collaborazione allo sviluppo di tutto l'uomo e di ogni uomo, infatti, è un dovere di tutti verso tutti e deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo: Est e Ovest, Nord e Sud ». 929 Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d'origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà.
447 La dottrina sociale incoraggia forme di cooperazione capaci di incentivare l'accesso al mercato internazionale dei Paesi segnati da povertà e sottosviluppo: « In anni non lontani è stato sostenuto che lo sviluppo dipendesse dall'isolamento dei Paesi più poveri dal mercato mondiale e dalla loro fiducia nelle sole proprie forze. L'esperienza recente ha dimostrato che i Paesi che si sono esclusi hanno conosciuto stagnazione e regresso, mentre hanno conosciuto lo sviluppo i Paesi che sono riusciti ad entrare nella generale interconnessione delle attività economiche a livello internazionale. Sembra, dunque, che il maggior problema sia quello di ottenere un equo accesso al mercato internazionale, fondato non sul principio unilaterale dello sfruttamento delle risorse naturali, ma sulla valorizzazione delle risorse umane ». 930 Tra le cause che maggiormente concorrono a determinare il sottosviluppo e la povertà, oltre all'impossibilità di accedere al mercato internazionale, 931 vanno annoverati l'analfabetismo, l'insicurezza alimentare, l'assenza di strutture e servizi, la carenza di misure per garantire l'assistenza sanitaria di base, la mancanza di acqua potabile, la corruzione, la precarietà delle istituzioni e della stessa vita politica. Esiste una connessione tra la povertà e la mancanza, in molti Paesi, di libertà, di possibilità di iniziativa economica, di amministrazione statale capace di predisporre un adeguato sistema di educazione e di informazione.
448 Lo spirito della cooperazione internazionale richiede che al di sopra della stretta logica del mercato vi sia consapevolezza di un dovere di solidarietà, di giustizia sociale e di carità universale; 932 infatti, esiste « qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità ». 933 La cooperazione è la via che la Comunità internazionale nel suo insieme deve impegnarsi a percorrere « secondo un'adeguata concezione del bene comune in riferimento all'intera famiglia umana ». 934 Ne deriveranno effetti molto positivi, come per esempio un aumento di fiducia nelle potenzialità delle persone povere e quindi dei Paesi poveri e un'equa distribuzione dei beni.
b) Lotta alla povertà
449 All'inizio del nuovo millennio, la povertà di miliardi di uomini e donne è « la questione che più di ogni altra interpella la nostra coscienza umana e cristiana ». 935 La povertà pone un drammatico problema di giustizia: la povertà, nelle sue diverse forme e conseguenze, si caratterizza per una crescita ineguale e non riconosce a ogni popolo « l'eguale diritto "ad assidersi alla mensa del banchetto comune" ». 936 Tale povertà rende impossibile la realizzazione di quell'umanesimo plenario che la Chiesa auspica e persegue, affinché le persone e i popoli possano « essere di più »  937 e vivere in « condizioni più umane ». 938
La lotta alla povertà trova una forte motivazione nell'opzione, o amore preferenziale, della Chiesa per i poveri. 939 In tutto il suo insegnamento sociale la Chiesa non si stanca di ribadire anche altri suoi fondamentali principi: primo fra tutti, quello della destinazione universale dei beni. 940 Con la costante riaffermazione del principio della solidarietà, la dottrina sociale sprona a passare all'azione per promuovere « il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti ». 941 Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d'iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri:  942 ai poveri si deve guardare « non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo ». 943
c) Il debito estero
450 Il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri. 944 Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale — fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico —, sia all'interno dei singoli Paesi indebitati — corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti. Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: pur riaffermando il principio che il debito contratto va onorato, bisogna trovare le vie per non compromettere il « fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso ». 945

   
CAPITOLO DECIMO
SALVAGUARDARE L'AMBIENTE
I. ASPETTI BIBLICI

451 L'esperienza viva della presenza divina nella storia è il fondamento della fede del popolo di Dio: « Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall'Egitto con mano potente » (Dt 6,21). La riflessione sulla storia permette di riassumere il passato e di scoprire l'opera di Dio fin nelle proprie radici: « Mio padre era un Arameo errante » (Dt 26,5); un Dio che può dire al Suo popolo: « Io presi il padre vostro Abramo da oltre il fiume » (Gs 24,3). È una riflessione che permette di volgersi con fiducia al futuro, grazie alla promessa e all'alleanza che Dio rinnova continuamente.
La fede d'Israele vive nel tempo e nello spazio di questo mondo, percepito non come un ambiente ostile o un male da cui liberarsi, ma piuttosto come il dono stesso di Dio, il luogo e il progetto che Egli affida alla responsabile guida e operosità dell'uomo. La natura, opera dell'azione creatrice divina, non è una pericolosa concorrente. Dio, che ha fatto tutte le cose, di ognuna di esse « vide che era cosa buona » (Gen 1,4.10.12. 18.21.25). Al vertice della Sua creazione, come « cosa molto buona » (Gen 1,31), il Creatore pone l'uomo. Solo l'uomo e la donna, tra tutte le creature, sono stati voluti da Dio « a sua immagine » (Gen 1,27): a loro il Signore affida la responsabilità di tutto il creato, il compito di tutelarne l'armonia e lo sviluppo (cfr. Gen 1,26-30). Lo speciale legame con Dio spiega la privilegiata posizione della coppia umana nell'ordine della creazione.
452 La relazione dell'uomo con il mondo è un elemento costitutivo dell'identità umana. Si tratta di una relazione che nasce come frutto del rapporto, ancora più profondo, dell'uomo con Dio. Il Signore ha voluto la persona umana come Sua interlocutrice: solo nel dialogo con Dio la creatura umana trova la propria verità, dalla quale trae ispirazione e norme per progettare il futuro del mondo, un giardino che Dio le ha dato affinché sia coltivato e custodito (cfr. Gen 2,15). Neppure il peccato elimina tale compito, pur gravando di dolore e di sofferenza la nobiltà del lavoro (cfr. Gen 3,17-19).
La creazione è sempre oggetto della lode nella preghiera di Israele: « Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza » (Sal 104,24). La salvezza è compresa come una nuova creazione, che ristabilisce quell'armonia e quella potenzialità di crescita che il peccato ha compromesso: « Io creo nuovi cieli e nuova terra » (Is 65,17) — dice il Signore — « allora il deserto diventerà un giardino... e la giustizia regnerà nel giardino... Il mio popolo abiterà in una dimora di pace » (Is 32,15-18).
453 La salvezza definitiva, che Dio offre a tutta l'umanità mediante il Suo stesso Figlio, non si attua fuori di questo mondo. Pur ferito dal peccato, esso è destinato a conoscere una radicale purificazione (cfr. 2 Pt 3,10) dalla quale uscirà rinnovato (cfr. Is 65,17; 66,22; Ap 21,1), diventando finalmente il luogo nel quale « avrà stabile dimora la giustizia » (2 Pt 3,13).
Nel Suo ministero pubblico Gesù valorizza gli elementi naturali. Della natura Egli è non solo sapiente interprete nelle immagini che ama offrirne e nelle parabole, ma anche dominatore (cfr. l'episodio della tempesta sedata in Mt 14,22-33; Mc 6,45-52; Lc 8,22-25; Gv 6,16-21): il Signore la pone al servizio del Suo disegno redentore. Egli chiede ai Suoi discepoli di guardare alle cose, alle stagioni e agli uomini con la fiducia dei figli che sanno di non poter essere abbandonati da un Padre provvidente (cfr. Lc 11,11-13). Lungi dal farsi schiavo delle cose, il discepolo di Cristo deve sapersene servire per creare condivisione e fraternità (cfr. Lc 16,9-13).
454 L'ingresso di Gesù Cristo nella storia del mondo ha il suo culmine nella Pasqua, dove la natura stessa partecipa al dramma del Figlio di Dio rifiutato e alla vittoria della Risurrezione (cfr. Mt 27,45.51; 28,2). Attraversando la morte e innestandovi la novità splendente della Risurrezione, Gesù inaugura un mondo nuovo in cui tutto è sottomesso a Lui (cfr. 1 Cor 15,20-28) e ristabilisce quei rapporti di ordine ed armonia che il peccato aveva distrutto. La coscienza degli squilibri tra l'uomo e la natura deve accompagnarsi alla consapevolezza che in Gesù è avvenuta la riconciliazione dell'uomo e del mondo con Dio, così che ogni essere umano, consapevole dell'Amore divino, può ritrovare la pace perduta: « Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove » (2 Cor 5,17). La natura, che nel Verbo era stata creata, per mezzo dello stesso Verbo, fattosi carne, viene riconciliata con Dio e rappacificata (cfr. Col 1,15-20).
455 Non solo l'interiorità dell'uomo è risanata, ma tutta la sua corporeità è toccata dalla forza redentrice di Cristo; l'intera creazione prende parte al rinnovamento che scaturisce dalla Pasqua del Signore, pur nei gemiti delle doglie del parto (cfr. Rm 8,19-23), in attesa di dare alla luce « un nuovo cielo e una nuova terra » (Ap 21,1) che sono il dono della fine dei tempi, della salvezza compiuta. Nel frattempo, nulla è estraneo a tale salvezza: in qualsiasi condizione di vita, il cristiano è chiamato a servire Cristo, a vivere secondo il Suo Spirito, lasciandosi guidare dall'amore, principio di una vita nuova, che riporta il mondo e l'uomo al progetto delle loro origini: « il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro! Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio » (1 Cor 3,22-23).

II. L'UOMO E L'UNIVERSO DELLE COSE

456 La visione biblica ispira gli atteggiamenti dei cristiani in relazione all'uso della terra, nonché allo sviluppo della scienza e della tecnica. Il Concilio Vaticano II afferma che l'uomo « partecipe della luce della mente divina, per la sua intelligenza ... ritiene giustamente di superare tutte le realtà »;  946 i Padri Conciliari riconoscono i progressi fatti grazie all'applicazione instancabile dell'ingegno umano lungo i secoli, nelle scienze empiriche, nelle arti tecniche e nelle discipline liberali. 947 L'uomo oggi, « specialmente per mezzo della scienza e della tecnica, ha esteso e continuamente estende il suo dominio su quasi tutta la natura ». 948
Poiché l'uomo, « creato ad immagine di Dio, ha ricevuto il mandato di governare il mondo nella giustizia e nella santità, sottomettendo a sé la terra con tutto quello che in essa è contenuto, e di rapportare a Dio se stesso e l'universo intero, riconoscendolo Creatore di tutte le cose, perché, nella sottomissione di tutte le cose all'uomo, sia grande il nome di Dio su tutta la terra », il Concilio insegna che « l'attività umana individuale e collettiva, ossia quell'ingente sforzo col quale gli uomini nel corso dei secoli cercano di migliorare le proprie condizioni di vita, considerato in se stesso corrisponde al progetto di Dio ». 949
457 I risultati della scienza e della tecnica sono, in se stessi, positivi: i cristiani « nemmeno pensano a contrapporre quello che gli uomini hanno prodotto con il proprio ingegno e la propria forza alla potenza di Dio, né che la creatura razionale sia quasi rivale del Creatore; al contrario, sono convinti piuttosto che le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile progetto ». 950 I Padri Conciliari sottolineano anche il fatto che « quanto più cresce la potenza degli uomini, tanto più largamente si estende la responsabilità sia degli individui che delle comunità », 951 e che ogni attività umana deve corrispondere, secondo il disegno di Dio e la Sua volontà, al vero bene dell'umanità. 952 In questa prospettiva, il Magistero ha più volte sottolineato che la Chiesa Cattolica non si oppone in alcun modo al progresso, 953 anzi considera « la scienza e la tecnologia... un prodotto meraviglioso della creatività umana che è un dono di Dio, dal momento che ci hanno fornito possibilità meravigliose, di cui beneficiamo con animo grato ». 954 Per questa ragione, « come credenti in Dio, che ha giudicato "buona" la natura da lui creata, noi godiamo dei progressi tecnici ed economici, che l'uomo con la sua intelligenza riesce a realizzare ». 955
458 Le considerazioni del Magistero sulla scienza e sulla tecnologia in generale valgono anche per le loro applicazioni all'ambiente naturale e all'agricoltura. La Chiesa apprezza « i vantaggi che derivano — e che possono ancora derivare — dallo studio e dalle applicazioni della biologia molecolare, completata dalle altre discipline come la genetica e la sua applicazione tecnologica nell'agricoltura e nell'industria ». 956 Infatti, « la tecnica potrebbe costituire, con una retta applicazione, un prezioso strumento utile a risolvere gravi problemi, a cominciare da quelli della fame e della malattia, mediante la produzione di varietà di piante più progredite e resistenti e di preziosi medicamenti ». 957 È importante, però, ribadire il concetto di « retta applicazione », perché « noi sappiamo che questo potenziale non è neutro: esso può essere usato sia per il progresso dell'uomo, sia per la sua degradazione ». 958 Per questa ragione, « è necessario ... mantenere un atteggiamento di prudenza e vagliare con occhio attento natura, finalità e modi delle varie forme di tecnologia applicata ». 959 Gli scienziati, dunque, devono « utilizzare veramente la loro ricerca e le loro capacità tecniche per il servizio all'umanità », 960 sapendo subordinarle « ai principi e valori morali che rispettano e realizzano nella sua pienezza la dignità dell'uomo ». 961
459 Punto di riferimento centrale per ogni applicazione scientifica e tecnica è il rispetto dell'uomo, che deve accompagnarsi ad un doveroso atteggiamento di rispetto nei confronti delle altre creature viventi. Anche quando si pensa a una loro alterazione, « occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato ». 962 In questo senso, le formidabili possibilità della ricerca biologica suscitano profonda inquietudine, in quanto « non si è ancora in grado di misurare i turbamenti indotti in natura da una indiscriminata manipolazione genetica e dallo sviluppo sconsiderato di nuove specie di piante e forme di vita animale, per non parlare di inaccettabili interventi sulle origini della stessa vita umana ». 963 Infatti, « si è constatato che l'applicazione di talune scoperte nell'ambito industriale ed agricolo produce, a lungo termine, effetti negativi. Ciò ha messo crudamente in rilievo come ogni intervento in un'area dell'ecosistema non possa prescindere dal considerare le sue conseguenze in altre aree e, in generale, sul benessere delle future generazioni ». 964
460 L'uomo, dunque, non deve dimenticare che « la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro ... si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio ». 965 Egli non deve « disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l'uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire ». 966 Quando si comporta in questo modo, « invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell'opera della creazione, l'uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui ». 967
Se l'uomo interviene sulla natura senza abusarne e senza danneggiarla, si può dire che « interviene non per modificare la natura ma per aiutarla a svilupparsi secondo la sua essenza, quella della creazione, quella voluta da Dio. Lavorando in questo campo, evidentemente delicato, il ricercatore aderisce al disegno di Dio. Dio ha voluto che l'uomo fosse il re della creazione ». 968 In fondo, è Dio stesso che offre all'uomo l'onore di cooperare con tutte le forze dell'intelligenza all'opera della creazione.

III. LA CRISI NEL RAPPORTO TRA UOMO E AMBIENTE

461 Il messaggio biblico e il Magistero ecclesiale costituiscono i punti di riferimento essenziali per valutare i problemi che si pongono nei rapporti tra l'uomo e l'ambiente. 969 Alle origini di tali problemi si può ravvisare la pretesa di esercitare un dominio incondizionato sulle cose da parte dell'uomo, un uomo incurante di quelle considerazioni di ordine morale che devono invece contraddistinguere ogni attività umana.
La tendenza allo sfruttamento « sconsiderato »  970 delle risorse del creato è il risultato di un lungo processo storico e culturale: « L'epoca moderna ha registrato una crescente capacità d'intervento trasformativo da parte dell'uomo. L'aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è diventato predominante e invasivo, ed è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell'ambiente: l'ambiente come "risorsa" rischia di minacciare l'ambiente come "casa". A causa dei potenti mezzi di trasformazione offerti dalla civiltà tecnologica, sembra talora che l'equilibrio uomo-ambiente abbia raggiunto un punto critico ». 971
462 La natura appare come uno strumento nelle mani dell'uomo, una realtà che egli deve costantemente manipolare, specialmente mediante la tecnologia. A partire dal presupposto, rivelatosi errato, che esiste una quantità illimitata di energia e di risorse da utilizzare, che la loro rigenerazione sia possibile nell'immediato e che gli effetti negativi delle manipolazioni dell'ordine naturale possono essere facilmente assorbiti, si è diffusa una concezione riduttiva che legge il mondo naturale in chiave meccanicistica e lo sviluppo in chiave consumistica; il primato attribuito al fare e all'avere piuttosto che all'essere causa gravi forme di alienazione umana. 972
Un simile atteggiamento non deriva dalla ricerca scientifica e tecnologica, ma da un'ideologia scientista e tecnocratica che tende a condizionarla. La scienza e la tecnica, con il loro progresso, non eliminano il bisogno di trascendenza e non sono di per sé causa della secolarizzazione esasperata che conduce al nichilismo; mentre avanzano nel loro cammino, esse suscitano domande circa il loro senso e fanno crescere la necessità di rispettare la dimensione trascendente della persona umana e della stessa creazione.
463 Una corretta concezione dell'ambiente, mentre da una parte non può ridurre utilitaristicamente la natura a mero oggetto di manipolazione e sfruttamento, dall'altra non deve assolutizzarla e sovrapporla in dignità alla stessa persona umana. In quest'ultimo caso, si arriva al punto di divinizzare la natura o la terra, come si può facilmente riscontrare in alcuni movimenti ecologisti che chiedono di dare un profilo istituzionale internazionalmente garantito alle loro concezioni. 973
Il Magistero ha motivato la sua contrarietà a una concezione dell'ambiente ispirata all'ecocentrismo e al biocentrismo, perché essa « si propone di eliminare la differenza ontologica e assiologica tra l'uomo e gli altri esseri viventi, considerando la biosfera come un'unità biotica di valore indifferenziato. Si viene così ad eliminare la superiore responsabilità dell'uomo in favore di una considerazione egualitaristica della "dignità" di tutti gli esseri viventi ». 974
464 Una visione dell'uomo e delle cose slegata da ogni riferimento alla trascendenza ha portato a rifiutare il concetto di creazione e ad attribuire all'uomo e alla natura un'esistenza completamente autonoma. Il legame che unisce il mondo a Dio è stato così spezzato: tale rottura ha finito per disancorare dalla terra anche l'uomo e, più radicalmente, ha impoverito la sua stessa identità. L'essere umano si è ritrovato a pensarsi estraneo al contesto ambientale in cui vive. È ben chiara la conseguenza che ne discende: « è il rapporto che l'uomo ha con Dio a determinare il rapporto dell'uomo con i suoi simili e con il suo ambiente. Ecco perché la cultura cristiana ha sempre riconosciuto nelle creature che circondano l'uomo altrettanti doni di Dio da coltivare e custodire con senso di gratitudine verso il Creatore. In particolare, la spiritualità benedettina e francescana hanno testimoniato questa sorta di parentela dell'uomo con l'ambiente creaturale, alimentando in lui un atteggiamento di rispetto verso ogni realtà del mondo circostante ». 975 Va messa maggiormente in risalto la profonda connessione esistente tra ecologia ambientale ed « ecologia umana ». 976
465 Il Magistero sottolinea la responsabilità umana di preservare un ambiente integro e sano per tutti:  977 « L'umanità di oggi, se riuscirà a congiungere le nuove capacità scientifiche con una forte dimensione etica, sarà certamente in grado di promuovere l'ambiente come casa e come risorsa a favore dell'uomo e di tutti gli uomini, sarà in grado di eliminare i fattori d'inquinamento, di assicurare condizioni di igiene e di salute adeguate per piccoli gruppi come per vasti insediamenti umani. La tecnologia che inquina può anche disinquinare, la produzione che accumula può distribuire equamente, a condizione che prevalga l'etica del rispetto per la vita e la dignità dell'uomo, per i diritti delle generazioni umane presenti e di quelle che verranno ». 978

IV. UNA COMUNE RESPONSABILITÀ

a) L'ambiente, un bene collettivo
466 La tutela dell'ambiente costituisce una sfida per l'umanità intera: si tratta del dovere, comune e universale, di rispettare un bene collettivo, 979 destinato a tutti, impedendo che si possa fare « impunemente uso delle diverse categorie di esseri, viventi o inanimati – animali, piante, elementi naturali – come si vuole, a seconda delle proprie esigenze ». 980 È una responsabilità che deve maturare in base alla globalità della presente crisi ecologica e alla conseguente necessità di affrontarla globalmente, in quanto tutti gli esseri dipendono gli uni dagli altri nell'ordine universale stabilito dal Creatore: « occorre tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione in un sistema ordinato, ch'è appunto il cosmo ». 981
Questa prospettiva riveste una particolare importanza quando si considera, nel contesto degli stretti legami che uniscono tra loro i vari ecosistemi, il valore ambientale della biodiversità, che va trattata con senso di responsabilità e adeguatamente protetta, perché costituisce una straordinaria ricchezza per l'intera umanità. A questo proposito, ognuno può facilmente avvertire, per esempio, l'importanza della regione amazzonica, « uno degli spazi più apprezzati del mondo per la sua diversità biologica, che lo rende vitale per l'equilibrio ambientale di tutto il pianeta ». 982 Le foreste contribuiscono a mantenere essenziali equilibri naturali indispensabili alla vita. 983 La loro distruzione, anche tramite sconsiderati incendi dolosi, accelera i processi di desertificazione con rischiose conseguenze per le riserve di acqua e compromette la vita di molti popoli indigeni e il benessere delle future generazioni. Tutti, individui e soggetti istituzionali, devono sentirsi impegnati a proteggere il patrimonio forestale e, dove necessario, promuovere adeguati programmi di riforestazione.
467 La responsabilità verso l'ambiente, patrimonio comune del genere umano, si estende non solo alle esigenze del presente, ma anche a quelle del futuro: « Eredi delle generazioni passate e beneficiari del lavoro dei nostri contemporanei, noi abbiamo degli obblighi verso tutti, e non possiamo disinteressarci di coloro che verranno dopo di noi ad ingrandire la cerchia della famiglia umana. La solidarietà universale, ch'è un fatto e per noi un beneficio, è altresì un dovere ». 984 Si tratta di una responsabilità che le generazioni presenti hanno nei confronti di quelle future, 985 una responsabilità che appartiene anche ai singoli Stati e alla Comunità internazionale.
468 La responsabilità verso l'ambiente deve trovare una traduzione adeguata a livello giuridico. È importante che la Comunità internazionale elabori regole uniformi, affinché tale regolamentazione consenta agli Stati di controllare con maggiore efficacia le diverse attività che determinano effetti negativi sull'ambiente e di preservare gli ecosistemi prevenendo possibili incidenti: « Spetta ad ogni Stato, nell'ambito del proprio territorio, il compito di prevenire il degrado dell'atmosfera e della biosfera, controllando attentamente, tra l'altro, gli effetti delle nuove scoperte tecnologiche o scientifiche, ed offrendo ai propri cittadini la garanzia di non essere esposti ad agenti inquinanti o a rifiuti tossici ». 986
Il contenuto giuridico del « diritto ad un ambiente sano e sicuro »  987 sarà il frutto di una graduale elaborazione, sollecitata dalla preoccupazione dell'opinione pubblica di disciplinare l'uso dei beni del creato secondo le esigenze del bene comune e in una comune volontà di introdurre sanzioni per coloro che inquinano. Le norme giuridiche, tuttavia, da sole non bastano;  988 accanto ad esse devono maturare un forte senso di responsabilità nonché un effettivo cambiamento nelle mentalità e negli stili di vita.
469 Le autorità chiamate a prendere decisioni per fronteggiare rischi sanitari ed ambientali talvolta si trovano di fronte a situazioni nelle quali i dati scientifici disponibili sono contradditori oppure quantitativamente scarsi: può essere opportuna allora una valutazione ispirata dal « principio di precauzione », che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Esso manifesta l'esigenza di una decisone provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte. La decisione deve essere proporzionata rispetto a provvedimenti già in atto per altri rischi. Le politiche cautelative, basate sul principio di precauzione, richiedono che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa, ivi compresa la decisione di non intervenire. All'approccio precauzionale è connessa l'esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l'assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza nel processo decisionale.
470 La programmazione dello sviluppo economico deve considerare attentamente « la necessità di rispettare l'integrità e i ritmi della natura », 989 poiché le risorse naturali sono limitate e alcune non sono rinnovabili. L'attuale ritmo di sfruttamento compromette seriamente la disponibilità di alcune risorse naturali per il tempo presente e per il futuro. 990 La soluzione del problema ecologico richiede che l'attività economica rispetti maggiormente l'ambiente, conciliando le esigenze dello sviluppo economico con quelle della protezione ambientale. Ogni attività economica che si avvalga delle risorse naturali deve anche preoccuparsi della salvaguardia dell'ambiente e prevederne i costi, che sono da considerare come « una voce essenziale dei costi dell'attività economica ». 991 In questo contesto vanno considerati i rapporti tra l'attività umana e i cambiamenti climatici che, data la loro estrema complessità, devono essere opportunamente e costantemente seguiti a livello scientifico, politico e giuridico, nazionale e internazionale. Il clima è un bene che va protetto e richiede che, nei loro comportamenti, i consumatori e gli operatori di attività industriali sviluppino un maggiore senso di responsabilità. 992
Un'economia rispettosa dell'ambiente non perseguirà unicamente l'obiettivo della massimizzazione del profitto, perché la protezione ambientale non può essere assicurata solo sulla base del calcolo finanziario di costi e benefici. L'ambiente è uno di quei beni che i meccanismi del mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente. 993 Tutti i Paesi, in particolare quelli sviluppati, devono avvertire come urgente l'obbligo di riconsiderare le modalità d'uso dei beni naturali. La ricerca di innovazioni capaci di ridurre l'impatto sull'ambiente provocato dalla produzione e dal consumo dovrà essere efficacemente incentivata.
Un'attenzione particolare dovrà essere riservata alle complesse problematiche riguardanti le risorse energetiche. 994 Quelle non rinnovabili, alle quali attingono i Paesi altamente industrializzati e quelli di recente industrializzazione, devono essere poste al servizio di tutta l'umanità. In una prospettiva morale improntata all'equità e alla solidarietà intergenerazionale, si dovrà, altresì, continuare, tramite il contributo della comunità scientifica, a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell'energia nucleare. 995 L'utilizzo dell'energia, per i legami che ha con le questioni dello sviluppo e dell'ambiente, chiama in causa le responsabilità politiche degli Stati, della comunità internazionale e degli operatori economici; tali responsabilità dovranno essere illuminate e guidate dalla ricerca continua del bene comune universale.
471 Una speciale attenzione merita la relazione che i popoli indigeni hanno con la loro terra e le sue risorse: si tratta di un'espressione fondamentale della loro identità. 996 Molti popoli hanno già perso o rischiano di perdere, a vantaggio di potenti interessi agro-industriali o in forza di processi di assimilazione e di urbanizzazione, le terre su cui vivono, 997 alle quali è legato il senso stesso della loro esistenza. 998 I diritti dei popoli indigeni devono essere opportunamente tutelati. 999 Questi popoli offrono un esempio di vita in armonia con l'ambiente che essi hanno imparato a conoscere e a preservare:  1000 la loro straordinaria esperienza, che è un'insostituibile ricchezza per tutta l'umanità, rischia di andare perduta insieme all'ambiente da cui trae origine.
b) L'uso delle biotecnologie
472 Negli ultimi anni si è imposta con forza la questione dell'uso delle nuove biotecnologie per scopi legati all'agricoltura, alla zootecnia, alla medicina e alla protezione dell'ambiente. Le nuove possibilità offerte dalle attuali tecniche biologiche e biogenetiche suscitano, da una parte, speranze ed entusiasmi e, dall'altra, allarme e ostilità. Le applicazioni delle biotecnologie, la loro liceità dal punto di vista morale, le loro conseguenze per la salute dell'uomo, il loro impatto sull'ambiente e sull'economia, formano oggetto di studio approfondito e di vivace dibattito. Si tratta di questioni controverse che coinvolgono scienziati e ricercatori, politici e legislatori, economisti ed ambientalisti, produttori e consumatori. I cristiani non sono indifferenti a queste problematiche, coscienti dell'importanza dei valori in gioco. 1001
473 La visione cristiana della creazione comporta un giudizio positivo sulla liceità degli interventi dell'uomo sulla natura, ivi inclusi anche gli altri esseri viventi, e, allo stesso tempo, un forte richiamo al senso di responsabilità. 1002 La natura non è, in effetti, una realtà sacra o divina, sottratta all'azione umana. È piuttosto un dono offerto dal Creatore alla comunità umana, affidato all'intelligenza e alla responsabilità morale dell'uomo. Per questo egli non compie un atto illecito quando, rispettando l'ordine, la bellezza e l'utilità dei singoli esseri viventi e della loro funzione nell'ecosistema, interviene modificando alcune loro caratteristiche e proprietà. Sono deprecabili gli interventi dell'uomo quando danneggiano gli esseri viventi o l'ambiente naturale, mentre sono lodevoli quando si traducono in un loro miglioramento. La liceità dell'uso delle tecniche biologiche e biogenetiche non esaurisce tutta la problematica etica: come per ogni comportamento umano, è necessario valutare accuratamente la loro reale utilità nonché le loro possibili conseguenze anche in termini di rischi. Nell'ambito degli interventi tecnico-scientifici di forte e ampia incisività sugli organismi viventi, con la possibilità di notevoli ripercussioni a lungo termine, non è lecito agire con leggerezza e irresponsabilità.
474 Le moderne biotecnologie hanno un forte impatto sociale, economico e politico, sul piano locale, nazionale e internazionale: vanno valutate secondo i criteri etici che devono sempre orientare le attività e i rapporti umani nell'ambito socio-economico e politico. 1003 Bisogna tener presenti soprattutto i criteri di giustizia e solidarietà, ai quali si devono attenere innanzi tutto gli individui ed i gruppi che operano nella ricerca e nella commercializzazione nel campo delle biotecnologie. Comunque, non si deve cadere nell'errore di credere che la sola diffusione dei benefici legati alle nuove biotecnologie possa risolvere tutti gli urgenti problemi di povertà e di sottosviluppo che assillano ancora tanti Paesi del pianeta.
475 In uno spirito di solidarietà internazionale, diverse misure possono essere attuate in relazione all'uso delle nuove biotecnologie. Va facilitato, in primo luogo, l'interscambio commerciale equo, libero da vincoli ingiusti. La promozione dello sviluppo dei popoli più svantaggiati non sarà però autentica ed efficace se si riduce all'interscambio di prodotti. È indispensabile favorire anche la maturazione di una necessaria autonomia scientifica e tecnologica da parte di quegli stessi popoli, promuovendo gli interscambi di conoscenze scientifiche e tecnologiche e il trasferimento di tecnologie verso i Paesi in via di sviluppo.
476 La solidarietà comporta anche un richiamo alla responsabilità che hanno i Paesi in via di sviluppo e in particolare, le loro autorità politiche, di promuovere una politica commerciale favorevole ai loro popoli e l'interscambio di tecnologie atte a migliorarne le condizioni alimentari e sanitarie. In tali Paesi deve crescere l'investimento nella ricerca, con speciale attenzione alle caratteristiche e alle necessità particolari del proprio territorio e della propria popolazione, soprattutto tenendo presente che alcune ricerche nel campo delle biotecnologie, potenzialmente benefiche, richiedono investimenti relativamente modesti. A tal fine sarebbe utile la creazione di Organismi nazionali deputati alla protezione del bene comune mediante un'accorta gestione dei rischi.
477 Gli scienziati e i tecnici impegnati nel settore delle biotecnologie sono chiamati a lavorare con intelligenza e perseveranza nella ricerca delle migliori soluzioni per i gravi e urgenti problemi dell'alimentazione e della sanità. Essi non devono dimenticare che le loro attività riguardano materiali, viventi e non, appartenenti all'umanità come un patrimonio, destinato anche alle generazioni future; per i credenti si tratta di un dono ricevuto dal Creatore, affidato all'intelligenza e alla libertà umane, anch'esse dono dell'Altissimo. Sappiano gli scienziati impegnare le loro energie e le loro capacità in una ricerca appassionata, guidata da una coscienza limpida e onesta. 1004
478 Gli imprenditori e i responsabili degli enti pubblici che si occupano della ricerca, della produzione e del commercio dei prodotti derivati dalle nuove biotecnologie devono tener conto non solo del legittimo profitto, ma anche del bene comune. Questo principio, valido per ogni tipo di attività economica, diventa particolarmente importante quando si tratta di attività che hanno a che fare con l'alimentazione, la medicina, la custodia della salute e dell'ambiente. Con le loro decisioni, imprenditori e responsabili degli enti pubblici interessati possono orientare gli sviluppi nel settore delle biotecnologie verso traguardi molto promettenti per quanto riguarda la lotta contro la fame, specialmente nei Paesi più poveri, la lotta contro le malattie e la lotta per la salvaguardia dell'ecosistema, patrimonio di tutti.
479 I politici, i legislatori e i pubblici amministratori hanno la responsabilità di valutare le potenzialità, i vantaggi e gli eventuali rischi connessi all'uso delle biotecnologie. Non è auspicabile che le loro decisioni, a livello nazionale o internazionale, vengano dettate da pressioni provenienti da interessi di parte. Le autorità pubbliche devono favorire anche una corretta informazione dell'opinione pubblica e saper prendere comunque le decisioni più convenienti per il bene comune.
480 Anche i responsabili dell'informazione hanno un compito importante, da svolgere con prudenza e obiettività. La società si aspetta da loro un'informazione completa e obiettiva, che aiuti i cittadini a formarsi una corretta opinione sui prodotti biotecnologici, soprattutto perché si tratta di qualcosa che li concerne in prima persona in quanto possibili consumatori. Si deve evitare, pertanto, di cadere nella tentazione di una informazione superficiale, alimentata da facili entusiasmi o da ingiustificati allarmismi.
c) Ambiente e condivisione dei beni
481 Anche nel campo dell'ecologia la dottrina sociale invita a tener presente che i beni della terra sono stati creati da Dio per essere sapientemente usati da tutti: tali beni vanno equamente condivisi, secondo giustizia e carità. Si tratta essenzialmente di impedire l'ingiustizia di un accaparramento delle risorse: l'avidità, sia essa individuale o collettiva, è contraria all'ordine della creazione. 1005 Gli attuali problemi ecologici, di carattere planetario, possono essere affrontati efficacemente solo grazie ad una cooperazione internazionale capace di garantire un maggiore coordinamento sull'uso delle risorse della terra.
482 Il principio della destinazione universale dei beni offre un fondamentale orientamento, morale e culturale, per sciogliere il complesso e drammatico nodo che lega insieme crisi ambientale e povertà. L'attuale crisi ambientale colpisce particolarmente i più poveri, sia perché vivono in quelle terre che sono soggette all'erosione e alla desertificazione o coinvolti in conflitti armati o costretti a migrazioni forzate, sia perché non dispongono dei mezzi economici e tecnologici per proteggersi dalle calamità.
Moltissimi di questi poveri vivono nei sobborghi inquinati delle città in alloggiamenti di fortuna o in agglomerati di case fatiscenti e pericolose (slums, bidonvilles, barrios, favelas). Nel caso si debba procedere al loro trasferimento e per non aggiungere sofferenza a sofferenza, è necessario fornire un'adeguata e previa informazione, offrire alternative di alloggi dignitosi e coinvolgere direttamente gli interessati.
Si tenga presente, inoltre, la situazione dei Paesi penalizzati dalle regole di un commercio internazionale non equo, nei quali permane una scarsità di capitali spesso aggravata dall'onere del debito estero: in questi casi la fame e la povertà rendono quasi inevitabile uno sfruttamento intensivo ed eccessivo dell'ambiente.
483 Lo stretto legame che esiste tra lo sviluppo dei Paesi più poveri, mutamenti demografici e un uso sostenibile dell'ambiente, non va utilizzato come pretesto per scelte politiche ed economiche poco conformi alla dignità della persona umana. Nel Nord del pianeta si assiste ad una « caduta del tasso di natalità, con ripercussioni sull'invecchiamento della popolazione, incapace perfino di rinnovarsi biologicamente », 1006 mentre nel Sud la situazione è diversa. Se è vero che l'ineguale distribuzione della popolazione e delle risorse disponibili crea ostacoli allo sviluppo e ad un uso sostenibile dell'ambiente, va riconosciuto che la crescita demografica è pienamente compatibile con uno sviluppo integrale e solidale:  1007 « Siamo tutti d'accordo che una politica demografica è soltanto una parte di una strategia di sviluppo globale. Di conseguenza è importante che tutti i dibattiti sulle politiche demografiche prendano in considerazione lo sviluppo attuale e futuro delle nazioni e delle regioni. Allo stesso tempo è impossibile non tener conto dell'autentica natura del significato del termine "sviluppo". Qualsiasi sviluppo degno di questo nome deve essere completo, ossia rivolto al bene autentico di ogni persona e dell'intera persona ». 1008
484 Il principio della destinazione universale dei beni si applica naturalmente anche all'acqua, considerata nelle Sacre Scritture come simbolo di purificazione (cfr. Sal 51,4, Gv 13,8) e di vita (cfr. Gv 3,5; Gal 3,27): « In quanto dono di Dio, l'acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e, pertanto, un diritto di tutti ». 1009 L'utilizzazione dell'acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà. Un limitato accesso all'acqua potabile incide sul benessere di un numero enorme di persone ed è spesso causa di malattie, sofferenze, conflitti, povertà e addirittura di morte: per essere adeguatamente risolta, tale questione « deve essere inquadrata in modo da stabilire criteri morali basati proprio sul valore della vita e sul rispetto dei diritti e della dignità di tutti gli esseri umani ». 1010
485 L'acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l'acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato. Il diritto all'acqua, 1011 come tutti i diritti dell'uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l'acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all'acqua è un diritto universale e inalienabile.
d) Nuovi stili di vita
486 I gravi problemi ecologici richiedono un effettivo cambiamento di mentalità che induca ad adottare nuovi stili di vita, 1012 « nei quali la ricerca del vero, del bello e del buono e la comunione con gli altri uomini per una crescita comune siano gli elementi che determinano le scelte dei consumi, dei risparmi e degli investimenti ». 1013 Tali stili di vita devono essere ispirati alla sobrietà, alla temperanza, all'autodisciplina, sul piano personale e sociale. Bisogna uscire dalla logica del mero consumo e promuovere forme di produzione agricola e industriale che rispettino l'ordine della creazione e soddisfino i bisogni primari di tutti. Un simile atteggiamento, favorito da una rinnovata consapevolezza dell'interdipendenza che lega tra loro tutti gli abitanti della terra, concorre ad eliminare diverse cause di disastri ecologici e garantisce una tempestiva capacità di risposta quando tali disastri colpiscono popoli e territori. 1014 La questione ecologica non deve essere affrontata solo per le agghiaccianti prospettive che il degrado ambientale profila: essa deve tradursi, soprattutto, in una forte motivazione per un'autentica solidarietà a dimensione mondiale.
487 L'atteggiamento che deve caratterizzare l'uomo di fronte al creato è essenzialmente quello della gratitudine e della riconoscenza: il mondo, infatti, rinvia al mistero di Dio che lo ha creato e lo sostiene. Se si mette tra parentesi la relazione con Dio, si svuota la natura del suo significato profondo, depauperandola. Se invece si arriva a riscoprire la natura nella sua dimensione di creatura, si può stabilire con essa un rapporto comunicativo, cogliere il suo significato evocativo e simbolico, penetrare così nell'orizzonte del mistero, che apre all'uomo il varco verso Dio, Creatore dei cieli e della terra. Il mondo si offre allo sguardo dell'uomo come traccia di Dio, luogo nel quale si disvela la Sua potenza creatrice, provvidente e redentrice.

CAPITOLO UNDICESIMO
LA PROMOZIONE DELLA PACE
I. ASPETTI BIBLICI

488 Prima di essere un dono di Dio all'uomo e un progetto umano conforme al disegno divino, la pace è anzitutto un attributo essenziale di Dio: « Signore-Pace » (Gdc 6,24). La creazione, che è un riflesso della gloria divina, aspira alla pace. Dio crea ogni cosa e tutto il creato forma un insieme armonico, buono in ogni sua parte (cfr. Gen 1,4.10.12.18.21.25.31).
La pace si fonda sulla relazione primaria tra ogni essere umano e Dio stesso, una relazione improntata a rettitudine (cfr. Gen 17,1). In seguito all'atto volontario con cui l'uomo altera l'ordine divino, il mondo conosce spargimenti di sangue e divisione: la violenza si manifesta nei rapporti interpersonali (cfr. Gen 4,1-16) e in quelli sociali (cfr. Gen 11,1-9). La pace e la violenza non possono abitare nella stessa dimora, dove c'è violenza non può esserci Dio (cfr. 1 Cr 22,8-9).
489 Nella Rivelazione biblica, la pace è molto più della semplice assenza di guerra: essa rappresenta la pienezza della vita (cfr. Ml 2,5); lungi dall'essere una costruzione umana, è un sommo dono divino offerto a tutti gli uomini, che comporta l'obbedienza al piano di Dio. La pace è l'effetto della benedizione di Dio sul Suo popolo: « Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace » (Nm 6,26). Tale pace genera fecondità (cfr. Is 48,19), benessere (cfr. Is 48,18), prosperità (cfr. Is 54,13), assenza di paura (cfr. Lv 26,6) e gioia profonda (cfr. Pr 12,20).
490 La pace è il traguardo della convivenza sociale, come appare in maniera straordinaria nella visione messianica della pace: quando tutti i popoli si recheranno nella casa del Signore ed Egli indicherà loro le Sue vie, essi potranno camminare lungo i sentieri della pace (cfr. Is 2,2-5). Un mondo nuovo di pace, che abbraccia tutta la natura, è promesso per l'era messianica (cfr. Is 11,6-9) e lo stesso Messia è definito « Principe della pace » (Is 9,5). Laddove regna la Sua pace, laddove essa viene anche parzialmente anticipata, nessuno potrà più gettare il popolo di Dio nella paura (cfr. Sof 3,13). La pace sarà allora duratura, poiché quando il re governa secondo la giustizia di Dio, la rettitudine germoglia e la pace abbonda « finché non si spenga la luna » (Sal 72,7). Dio anela a dare la pace al Suo popolo: « egli annunzia la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il cuore » (Sal 85,9). Il Salmista, ascoltando ciò che Dio ha da dire al Suo popolo sulla pace, ode queste parole: « Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno » (Sal 85,11).
491 La promessa di pace, che percorre tutto l'Antico Testamento, trova il suo compimento nella Persona di Gesù. La pace, infatti, è il bene messianico per eccellenza, nel quale vengono compresi tutti gli altri beni salvifici. La parola ebraica « shalom », nel senso etimologico di « completezza », esprime il concetto di « pace » nella pienezza del suo significato (cfr. Is 9,5s.; Mi 5,1-4). Il regno del Messia è appunto il regno della pace (cfr. Gb 25,2; Sal 29,11; 37,11; 72,3.7; 85,9.11; 119,165; 125,5; 128,6; 147,14; Ct 8,10; Is 26,3.12; 32,17s.; 52,7; 54,10; 57,19; 60,17; 66,12; Ag 2,9; Zc 9,10 et alibi). Gesù « è la nostra pace » (Ef 2,14), Egli che ha abbattuto il muro divisorio dell'inimicizia tra gli uomini, riconciliandoli con Dio (cfr. Ef 2,14-16): così san Paolo, con efficacissima semplicità, indica la ragione radicale che spinge i cristiani ad una vita e ad una missione di pace.
Alla vigilia della Sua morte, Gesù parla della Sua relazione d'amore con il Padre e della forza unificatrice che questo amore irradia sui discepoli; è un discorso di commiato che mostra il senso profondo della Sua vita e che può essere considerato una sintesi di tutto il Suo insegnamento. Sigilla il Suo testamento spirituale il dono della pace: « Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi » (Gv 14,27). Le parole del Risorto non risuoneranno diversamente; ogni volta che Egli incontrerà i Suoi, essi riceveranno da Lui il saluto e il dono della pace: « Pace a voi! » (Lc 24,36; Gv 20,19.21.26).
492 La pace di Cristo è innanzi tutto la riconciliazione con il Padre, che si attua mediante la missione apostolica affidata da Gesù ai Suoi discepoli; questa inizia con un annuncio di pace: « In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa » (Lc 10,5; cfr. Rm 1,7). La pace è poi riconciliazione con i fratelli, perché Gesù, nella preghiera che ci ha insegnato, il « Padre nostro », associa il perdono chiesto a Dio a quello accordato ai fratelli: « rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori » (Mt 6,12). Con questa duplice riconciliazione il cristiano può diventare artefice di pace e quindi partecipe del Regno di Dio, secondo quanto Gesù stesso proclama: « Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio » (Mt 5,9).
493 L'azione per la pace non è mai disgiunta dall'annuncio del Vangelo, che è appunto « la buona novella della pace » (At 10,36; cfr. Ef 6,15), indirizzata a tutti gli uomini. Al centro del « vangelo della pace » (Ef 6,15) resta il mistero della Croce, perché la pace è insita nel sacrificio di Cristo (cfr. Is 53,5: « Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti »): Gesù crocifisso ha annullato la divisione, instaurando la pace e la riconciliazione proprio « per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia » (Ef 2,16) e donando agli uomini la salvezza della Risurrezione.

II. LA PACE: FRUTTO DELLA GIUSTIZIA E DELLA CARITÀ

494 La pace è un valore  1015 e un dovere universale  1016 e trova il suo fondamento nell'ordine razionale e morale della società che ha le sue radici in Dio stesso, « fonte primaria dell'essere, verità essenziale e bene supremo ». 1017 La pace non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie, 1018 ma si fonda su una corretta concezione della persona umana  1019 e richiede l'edificazione di un ordine secondo giustizia e carità.
La pace è frutto della giustizia (cfr. Is 32,17), 1020 intesa in senso ampio come il rispetto dell'equilibrio di tutte le dimensioni della persona umana. La pace è in pericolo quando all'uomo non è riconosciuto ciò che gli è dovuto in quanto uomo, quando non viene rispettata la sua dignità e quando la convivenza non è orientata verso il bene comune. Per la costruzione di una società pacifica e per lo sviluppo integrale di individui, popoli e Nazioni, risultano essenziali la difesa e la promozione dei diritti umani. 1021
La pace è frutto anche dell'amore: « vera pace è cosa piuttosto di carità che di giustizia, perché alla giustizia spetta solo rimuovere gli impedimenti della pace: l'offesa e il danno; ma la pace stessa è atto proprio e specifico di carità ». 1022
495 La pace si costruisce giorno per giorno nella ricerca dell'ordine voluto da Dio  1023 e può fiorire solo quando tutti riconoscono le proprie responsabilità nella sua promozione. 1024 Per prevenire conflitti e violenze, è assolutamente necessario che la pace cominci ad essere vissuta come valore profondo nell'intimo di ogni persona: così può estendersi nelle famiglie e nelle diverse forme di aggregazione sociale, fino a coinvolgere l'intera comunità politica. 1025 In un clima diffuso di concordia e di rispetto della giustizia, può maturare un'autentica cultura di pace, 1026 capace di diffondersi anche nella Comunità internazionale. La pace è, pertanto, « il frutto dell'ordine immesso nella società umana dal suo Fondatore e che deve essere attuato dagli uomini assetati di una giustizia sempre più perfetta ». 1027 Tale ideale di pace « non si può ottenere se non è messo al sicuro il bene delle persone e gli uomini con fiducia non si scambiano spontaneamente le ricchezze del loro animo e del loro ingegno ». 1028
496 La violenza non costituisce mai una risposta giusta. La Chiesa proclama, con la convinzione della sua fede in Cristo e con la consapevolezza della sua missione, « che la violenza è male, che la violenza come soluzione ai problemi è inaccettabile, che la violenza è indegna dell'uomo. La violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità. La violenza distrugge ciò che sostiene di difendere: la dignità, la vita, la libertà degli esseri umani ». 1029
Anche il mondo attuale ha bisogno della testimonianza di profeti non armati, purtroppo oggetto di scherno in ogni epoca:  1030 « Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, rinunciano all'azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica, purché ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti ». 1031

III. IL FALLIMENTO DELLA PACE: LA GUERRA

497 Il Magistero condanna « l'enormità della guerra »  1032 e chiede che sia considerata con un approccio completamente nuovo:  1033 infatti, « riesce quasi impossibile pensare che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia ». 1034 La guerra è un « flagello »  1035 e non rappresenta mai un mezzo idoneo per risolvere i problemi che sorgono tra le Nazioni: « Non lo è mai stato e mai lo sarà », 1036 perché genera conflitti nuovi e più complessi. 1037 Quando scoppia, la guerra diventa una « inutile strage », 1038 una « avventura senza ritorno », 1039 che compromette il presente e mette a rischio il futuro dell'umanità: « Nulla è perduto con la pace. Tutto può essere perduto con la guerra ». 1040 I danni causati da un conflitto armato non sono solamente materiali, ma anche morali. 1041 La guerra è, in definitiva, « il fallimento di ogni autentico umanesimo », 1042 « è sempre una sconfitta dell'umanità »:  1043 « non più gli uni contro gli altri, non più, mai! ... non più la guerra, non più la guerra! ». 1044
498 La ricerca di soluzioni alternative alla guerra per risolvere i conflitti internazionali ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché « la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto ». 1045 È quindi essenziale la ricerca delle cause che originano un conflitto bellico, anzitutto quelle collegate a situazioni strutturali di ingiustizia, di miseria, di sfruttamento, sulle quali bisogna intervenire con lo scopo di rimuoverle: « Per questo, l'altro nome della pace è lo sviluppo. Come esiste la responsabilità collettiva di evitare la guerra, così esiste la responsabilità collettiva di promuovere lo sviluppo ». 1046
499 Gli Stati non sempre dispongono degli strumenti adeguati per provvedere efficacemente alla propria difesa: da qui la necessità e l'importanza delle Organizzazioni internazionali e regionali, che devono essere in grado di collaborare per far fronte ai conflitti e favorire la pace, instaurando relazioni di fiducia reciproca capaci di rendere impensabile il ricorso alla guerra:  1047 « È lecito... sperare che gli uomini, incontrandosi e negoziando, abbiano a scoprire meglio i vincoli che li legano, provenienti dalla loro comune umanità, e abbiano pure a scoprire che una fra le più profonde esigenze della loro comune umanità è che tra essi e tra i rispettivi popoli regni non il timore, ma l'amore: il quale tende ad esprimersi nella collaborazione leale, multiforme, apportatrice di molti beni ». 1048
a) La legittima difesa
500 Una guerra di aggressione è intrinsecamente immorale. Nel tragico caso in cui essa si scateni, i responsabili di uno Stato aggredito hanno il diritto e il dovere di organizzare la difesa anche usando la forza delle armi. 1049 L'uso della forza, per essere lecito, deve rispondere ad alcune rigorose condizioni: « — che il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; — che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; — che ci siano fondate condizioni di successo; — che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione. Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della "guerra giusta". La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune ». 1050
Se tale responsabilità giustifica il possesso di mezzi sufficienti per esercitare il diritto alla difesa, resta per gli Stati l'obbligo di fare tutto il possibile per « garantire le condizioni della pace non soltanto sul proprio territorio, ma in tutto il mondo ». 1051 Non bisogna dimenticare che « altro è ricorrere alle armi perché i popoli siano legittimamente difesi, altro voler soggiogare altre nazioni. Né la potenza bellica rende legittimo ogni suo impiego militare o politico. Né diventa tutto lecito tra i belligeranti quando la guerra è ormai disgraziatamente scoppiata ». 1052
501 La Carta della Nazioni Unite, scaturita dalla tragedia della Seconda Guerra Mondiale e volta a preservare le generazioni future dal flagello della guerra, si basa sull'interdizione generalizzata del ricorso alla forza per risolvere le contese tra gli Stati, fatti salvi due casi: la legittima difesa e le misure prese dal Consiglio di Sicurezza nell'ambito delle sue responsabilità per mantenere la pace. In ogni caso, l'esercizio del diritto a difendersi deve rispettare « i tradizionali limiti della necessità e della proporzionalità ». 1053
Quanto, poi, a un'azione bellica preventiva, lanciata senza prove evidenti che un'aggressione stia per essere sferrata, essa non può non sollevare gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico. Pertanto, solo una decisione dei competenti organismi, sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni, può dare legittimazione internazionale all'uso della forza armata, identificando determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un'ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato.
b) Difendere la pace
502 Le esigenze della legittima difesa giustificano l'esistenza, negli Stati, delle forze armate, la cui azione deve essere posta al servizio della pace: coloro i quali presidiano con tale spirito la sicurezza e la libertà di un Paese danno un autentico contributo alla pace. 1054 Ogni persona che presta servizio nelle forze armate è concretamente chiamata a difendere il bene, la verità e la giustizia nel mondo; non pochi sono coloro che in tale contesto hanno sacrificato la propria vita per questi valori e per difendere vite innocenti. Il crescente numero di militari che operano in seno a forze multinazionali, nell'ambito delle « missioni umanitarie e di pace », promosse dalle Nazioni Unite, è un fatto significativo. 1055
503 Ogni membro delle forze armate è moralmente obbligato ad opporsi agli ordini che incitano a compiere crimini contro il diritto delle genti e i suoi principi universali. 1056 I militari rimangono pienamente responsabili degli atti che compiono in violazione dei diritti delle persone e dei popoli o delle norme del diritto internazionale umanitario. Tali atti non si possono giustificare con il motivo dell'obbedienza a ordini superiori.
Gli obiettori di coscienza, i quali rifiutano in via di principio di effettuare il servizio militare nei casi in cui sia obbligatorio, poiché la loro coscienza li porta a respingere qualsiasi uso della forza oppure la partecipazione ad un determinato conflitto, devono essere disponibili a svolgere altri tipi di servizio: « Sembra ... giusto che le leggi provvedano con comprensione al caso di chi per motivi di coscienza ricusa di usare le armi, mentre accetta un'altra forma di servizio alla comunità umana ». 1057
c) Il dovere di proteggere gli innocenti
504 Il diritto all'uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall'aggressione. Nei conflitti dell'era moderna, frequentemente interni ad uno stesso Stato, le disposizioni del diritto internazionale umanitario devono essere pienamente rispettate. In troppe circostanze la popolazione civile è colpita, a volte perfino come obiettivo bellico. In alcuni casi viene brutalmente massacrata o sradicata dalle proprie case e dalla propria terra con trasferimenti forzati, sotto il pretesto di una « pulizia etnica »  1058 inaccettabile. In tali tragiche circostanze, è necessario che gli aiuti umanitari raggiungano la popolazione civile e che non siano mai utilizzati per condizionare i beneficiari: il bene della persona umana deve avere la precedenza sugli interessi delle parti in conflitto.
505 Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l'obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra: « Quel minimo di protezione della dignità di ogni essere umano, garantito dal diritto internazionale umanitario, è troppo spesso violato in nome di esigenze militari o politiche, che mai dovrebbero avere il sopravvento sul valore della persona umana. Si avverte oggi la necessità di trovare un nuovo consenso sui principi umanitari e di rafforzarne i fondamenti per impedire il ripetersi di atrocità e abusi ». 1059
Una particolare categoria di vittime della guerra è quella dei rifugiati, costretti dai combattimenti a fuggire dai luoghi in cui vivono abitualmente, fino a trovare riparo in Paesi diversi da quelli in cui sono nati. La Chiesa è loro vicina, non solo con la presenza pastorale e con il soccorso materiale, ma anche con l'impegno a difendere la loro dignità umana: « La sollecitudine per i rifugiati deve spingersi a riaffermare e a sottolineare i diritti umani, universalmente riconosciuti, e a chiedere che anche per essi siano effettivamente realizzati ». 1060
506 I tentativi di eliminazione di interi gruppi nazionali, etnici, religiosi o linguistici sono dei delitti contro Dio e contro la stessa umanità e i responsabili di tali crimini devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia. 1061 Il secolo XX è stato contrassegnato tragicamente da diversi genocidi: da quello degli armeni a quello degli ucraini, da quello dei cambogiani a quelli avvenuti in Africa e nei Balcani. Tra essi spicca l'olocausto del popolo ebraico, la Shoah: « i giorni della Shoah hanno segnato una vera notte nella storia, registrando crimini inauditi contro Dio e contro l'uomo ». 1062
La Comunità internazionale nel suo complesso ha l'obbligo morale di intervenire in favore di quei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti. Gli Stati, in quanto parte di una Comunità internazionale, non possono restare indifferenti: al contrario, se tutti gli altri mezzi a disposizione si dovessero rivelare inefficaci, è « legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l'aggressore ». 1063 Il principio della sovranità nazionale non può essere addotto come motivo per impedire l'intervento in difesa delle vittime. 1064 Le misure adottate devono essere attuate nel pieno rispetto del diritto internazionale e del fondamentale principio dell'uguaglianza tra gli Stati.
La Comunità internazionale si è anche dotata di una Corte Penale Internazionale per punire i responsabili di atti particolarmente gravi: crimine di genocidio, crimini contro l'umanità, crimini di guerra, crimine di aggressione. Il Magistero non ha mancato di incoraggiare ripetutamente tale iniziativa. 1065
d) Misure contro chi minaccia la pace
507 Le sanzioni, nelle forme previste dall'ordinamento internazionale contemporaneo, mirano a correggere il comportamento del governo di un Paese che viola le regole della pacifica ed ordinata convivenza internazionale o che mette in pratica gravi forme di oppressione nei confronti della popolazione. Le finalità delle sanzioni devono essere precisate in modo inequivocabile e le misure adottate devono essere periodicamente verificate dagli organismi competenti della Comunità internazionale, per un'obiettiva valutazione della loro efficacia e del loro reale impatto sulla popolazione civile. Il vero scopo di tali misure è quello di aprire la strada alle trattative e al dialogo. Le sanzioni non devono mai costituire uno strumento di punizione diretto contro un'intera popolazione: non è lecito che per le sanzioni abbiano a soffrire intere popolazioni e specialmente i loro membri più vulnerabili. Le sanzioni economiche, in particolare, sono uno strumento da utilizzare con grande ponderazione e da sottoporre a rigidi criteri giuridici ed etici. 1066 L'embargo economico deve essere limitato nel tempo e non può essere giustificato quando gli effetti che produce si rivelano indiscriminati.
e) Il disarmo
508 La dottrina sociale propone la meta di un « disarmo generale, equilibrato e controllato ». 1067 L'enorme aumento delle armi rappresenta una minaccia grave per la stabilità e la pace. Il principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa, deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono. 1068 Qualsiasi accumulo eccessivo di armi, o il loro commercio generalizzato, non possono essere giustificati moralmente; tali fenomeni vanno valutati anche alla luce della normativa internazionale in materia di non-proliferazione, produzione, commercio e uso dei differenti tipi di armamenti. Le armi non devono mai essere considerate alla stregua di altri beni scambiati a livello mondiale o sui mercati interni. 1069
Il Magistero, inoltre, ha espresso una valutazione morale del fenomeno della deterrenza: « L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle ». 1070 Le politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda, devono essere sostituite con concrete misure di disarmo, basate sul dialogo e sul negoziato multilaterale.
509 Le armi di distruzione di massa — biologiche, chimiche e nucleari — rappresentano una minaccia particolarmente grave; coloro che le possiedono hanno una responsabilità enorme davanti a Dio e all'umanità intera. 1071 Il principio della non-proliferazione delle armi nucleari, insieme alle misure per il disarmo nucleare, come anche il divieto di test nucleari, sono obiettivi tra loro strettamente legati, che devono essere raggiunti nel più breve tempo tramite controlli efficaci a livello internazionale. 1072 Il divieto di sviluppo, di produzione, di accumulo e di impiego delle armi chimiche e biologiche, nonché i provvedimenti che ne impongono la distruzione, completano il quadro normativo internazionale per mettere al bando tali armi nefaste, 1073 il cui uso è esplicitamente riprovato dal Magistero: « Ogni azione bellica che indiscriminatamente mira alla distruzione di intere città o di vaste regioni con i loro abitanti è un crimine contro Dio e contro l'uomo, che deve essere condannato con fermezza e senza esitazione ». 1074
510 Il disarmo deve estendersi all'interdizione di armi che infliggono effetti traumatici eccessivi o che colpiscono indiscriminatamente, nonché delle mine antipersona, un tipo di piccoli ordigni, disumanamente insidiosi, poiché continuano a colpire anche molto tempo dopo il termine delle ostilità: gli Stati che le producono, le commercializzano o le usano ancora, si assumono la responsabilità di ritardare gravemente la totale eliminazione di tali strumenti mortiferi. 1075 La Comunità internazionale deve continuare ad impegnarsi nell'attività di sminamento, promuovendo un'efficace cooperazione, compresa la formazione tecnica, con i Paesi che non dispongono di mezzi propri adatti ad effettuare l'urgentissima bonifica dei loro territori e che non sono in grado di fornire un'assistenza adeguata alle vittime delle mine.
511 Misure appropriate sono necessarie per il controllo della produzione, della vendita, dell'importazione e dell'esportazione di armi leggere e individuali, che facilitano molte manifestazioni di violenza. La vendita e il traffico di tali armi costituiscono una seria minaccia per la pace: esse sono quelle che uccidono di più e sono usate maggiormente nei conflitti non internazionali; la loro disponibilità fa aumentare il rischio di nuovi conflitti e l'intensità di quelli in corso. L'atteggiamento degli Stati che applicano severi controlli sul trasferimento internazionale di armi pesanti, mentre non prevedono mai, o solo in rare occasioni, restrizioni sul commercio delle armi leggere e individuali, è una contraddizione inaccettabile. È indispensabile ed urgente che i Governi adottino regole adeguate per controllare la produzione, l'accumulo, la vendita e il traffico di tali armi, 1076 così da contrastarne la crescente diffusione, in larga parte tra gruppi di combattenti che non appartengono alle forze militari di uno Stato.
512 L'utilizzazione di bambini e adolescenti come soldati in conflitti armati — nonostante il fatto che la loro giovanissima età non ne deve permettere il reclutamento — va denunciata. Essi sono costretti con la forza a combattere, oppure lo scelgono di propria iniziativa senza essere pienamente consapevoli delle conseguenze. Si tratta di bambini privati non solo dell'istruzione che dovrebbero ricevere e di un'infanzia normale, ma anche addestrati ad uccidere: tutto ciò costituisce un crimine intollerabile. Il loro impiego nelle forze combattenti di qualsiasi tipo deve essere fermato; contemporaneamente, bisogna fornire tutto l'aiuto possibile per la cura, l'educazione e la riabilitazione di coloro che sono stati coinvolti nei combattimenti. 1077
f) La condanna del terrorismo
513 Il terrorismo è una delle forme più brutali della violenza che oggi sconvolge la Comunità internazionale: esso semina odio, morte, desiderio di vendetta e di rappresaglia. 1078 Da strategia sovversiva tipica soltanto di alcune organizzazioni estremistiche, finalizzata alla distruzione delle cose e all'uccisione delle persone, il terrorismo si è trasformato in una rete oscura di complicità politiche, utilizza anche sofisticati mezzi tecnici, si avvale spesso di ingenti risorse finanziarie ed elabora strategie su vasta scala, colpendo persone del tutto innocenti, vittime casuali delle azioni terroristiche. 1079 Bersagli degli attacchi terroristici sono, in genere, i luoghi della vita quotidiana e non obiettivi militari nel contesto di una guerra dichiarata. Il terrorismo agisce e colpisce al buio, al di fuori delle regole con cui gli uomini hanno cercato di disciplinare, per esempio mediante il diritto internazionale umanitario, i loro conflitti: « In molti casi il ricorso ai metodi del terrorismo è considerato un nuovo sistema di guerra ». 1080 Non vanno trascurate le cause che possono motivare tale inaccettabile forma di rivendicazione. La lotta contro il terrorismo presuppone il dovere morale di contribuire a creare le condizioni affinché esso non nasca o si sviluppi.
514 Il terrorismo va condannato nel modo più assoluto. Esso manifesta un disprezzo totale della vita umana e nessuna motivazione può giustificarlo, in quanto l'uomo è sempre fine e mai mezzo. Gli atti di terrorismo colpiscono profondamente la dignità umana e costituiscono un'offesa all'intera umanità: « Esiste perciò un diritto a difendersi dal terrorismo ». 1081 Tale diritto non può tuttavia essere esercitato nel vuoto di regole morali e giuridiche, poiché la lotta contro i terroristi va condotta nel rispetto dei diritti dell'uomo e dei principi di uno Stato di diritto. 1082 L'identificazione dei colpevoli va debitamente provata, perché la responsabilità penale è sempre personale e quindi non può essere estesa alle religioni, alle Nazioni, alle etnie, alle quali i terroristi appartengono. La collaborazione internazionale contro l'attività terroristica « non può esaurirsi soltanto in operazioni repressive e punitive. È essenziale che il pur necessario ricorso alla forza sia accompagnato da una coraggiosa e lucida analisi delle motivazioni soggiacenti agli attacchi terroristici ». 1083 È necessario anche un particolare impegno sul piano « politico e pedagogico »  1084 per risolvere, con coraggio e determinazione, i problemi che, in alcune drammatiche situazioni, possono alimentare il terrorismo: « Il reclutamento dei terroristi, infatti, è più facile nei contesti sociali in cui si semina l'odio, i diritti vengono conculcati e le situazioni di ingiustizia troppo a lungo tollerate ». 1085
515 È profanazione e bestemmia proclamarsi terroristi in nome di Dio:  1086 così si strumentalizza anche Dio e non solo l'uomo, in quanto si ritiene di possedere totalmente la Sua verità anziché cercare di esserne posseduti. Definire « martiri » coloro i quali muoiono compiendo atti terroristici è stravolgere il concetto di martirio, che è testimonianza di chi si fa uccidere per non rinunciare a Dio e al Suo amore e non di chi uccide in nome di Dio.
Nessuna religione può tollerare il terrorismo e, ancor meno, predicarlo. 1087 Le religioni sono impegnate, piuttosto, a collaborare per rimuovere le cause del terrorismo e per promuovere l'amicizia tra i popoli. 1088

IV. IL CONTRIBUTO DELLA CHIESA ALLA PACE

516 La promozione della pace nel mondo è parte integrante della missione con cui la Chiesa continua l'opera redentrice di Cristo sulla terra. La Chiesa, infatti, è, in Cristo, « "sacramento", cioè segno e uno strumento della pace nel mondo e per il mondo ». 1089 La promozione della vera pace è un'espressione della fede cristiana nell'amore che Dio nutre per ogni essere umano. Dalla fede liberante nell'amore di Dio derivano una nuova visione del mondo e un nuovo modo di avvicinarsi all'altro, sia esso una singola persona o un popolo intero: è una fede che cambia e rinnova la vita, ispirata dalla pace che Cristo ha lasciato ai Suoi discepoli (cfr. Gv 14,27). Mossa unicamente da tale fede, la Chiesa intende promuovere l'unità dei cristiani e una feconda collaborazione con i credenti delle altre religioni. Le differenze religiose non possono e non devono costituire una causa di conflitto: la ricerca comune della pace da parte di tutti i credenti è piuttosto un forte fattore di unità tra i popoli. 1090 La Chiesa esorta persone, popoli, Stati e Nazioni a farsi partecipi della sua preoccupazione per il ristabilimento e il consolidamento della pace sottolineando, in particolare, l'importante funzione del diritto internazionale. 1091
517 La Chiesa insegna che una vera pace è resa possibile soltanto dal perdono e dalla riconciliazione. 1092 Non è facile perdonare di fronte alle conseguenze della guerra e dei conflitti, perché la violenza, specialmente quando conduce « sino agli abissi della disumanità e della desolazione », 1093 lascia sempre in eredità un pesante fardello di dolore, che può essere alleviato solo da una riflessione approfondita, leale e coraggiosa, comune ai contendenti, capace di affrontare le difficoltà del presente con un atteggiamento purificato dal pentimento. Il peso del passato, che non può essere dimenticato, può essere accettato solo in presenza di un perdono reciprocamente offerto e ricevuto: si tratta di un percorso lungo e difficile, ma non impossibile. 1094
518 Il perdono reciproco non deve annullare le esigenze della giustizia né, tanto meno, precludere il cammino che porta alla verità: giustizia e verità rappresentano, invece, i requisiti concreti della riconciliazione. Risultano opportune le iniziative tendenti ad istituire Organismi giudiziari internazionali. Simili Organismi, avvalendosi del principio della giurisdizione universale e sorretti da procedure adeguate, rispettose dei diritti degli imputati e delle vittime, possono accertare la verità sui crimini perpetrati durante i conflitti armati. 1095 È necessario, tuttavia, andare oltre la determinazione dei comportamenti delittuosi, sia attivi che omissivi, e oltre le decisioni in merito alle procedure di riparazione, per giungere al ristabilimento di relazioni di reciproca accoglienza tra i popoli divisi, nel segno della riconciliazione. 1096 È necessario, inoltre, promuovere il rispetto del diritto alla pace: tale diritto « favorisce la costruzione di una società all'interno della quale ai rapporti di forza subentrano rapporti di collaborazione, in vista del bene comune ». 1097
519 La Chiesa lotta per la pace con la preghiera. La preghiera apre il cuore non solo ad un profondo rapporto con Dio, ma anche all'incontro con il prossimo all'insegna del rispetto, della fiducia, della comprensione, della stima e dell'amore. 1098 La preghiera infonde coraggio e dà sostegno a tutti « i veri amici della pace », 1099 i quali cercano di promuoverla nelle varie circostanze in cui si trovano a vivere. La preghiera liturgica è « il culmine verso cui tende l'azione della Chiesa e insieme la fonte da cui
promana tutta la sua forza »;  1100 in particolare la celebrazione eucaristica, « fonte e apice di tutta la vita cristiana », 1101 è sorgente inesauribile di ogni autentico impegno cristiano per la pace. 1102
520 Le Giornate Mondiali della Pace sono celebrazioni di particolare intensità per la preghiera di invocazione della pace e per l'impegno di costruire un mondo di pace. Il Papa Paolo VI le istituì allo scopo di « dedicare ai pensieri ed ai propositi della pace una particolare celebrazione nel primo giorno dell'anno civile ». 1103 I Messaggi pontifici per tale annuale occasione costituiscono una ricca fonte di aggiornamento e di sviluppo della dottrina sociale e mostrano la costante azione pastorale della Chiesa in favore della pace: « La Pace si afferma solo con la pace, quella non disgiunta dai doveri della giustizia, ma alimentata dal sacrificio proprio, dalla clemenza, dalla misericordia, dalla carità ». 1104

. www.vitaecultura.it Centro culturale online "la Vita e la Cultura" di Paolo Autelitano - Agosto 2004 .
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